
Chi è il fondatore della scuola di barbiana
da brera al mugello
Lorenzo Milani nasce a Firenze il 27 maggio 1923. Il padre, Albano, viene da una famiglia di intellettuali e scienziati di origini venete. La madre, Alice Weiss, da una famiglia di ebrei laici di origini boeme trapiantata a Trieste, profondamente radicata nella cultura mitteleuropea (il nonno, Emilio Weiss, è amico di Italo Svevo, nonna Alice studia inglese con James Joyce). Presa la maturità classica, per qualche tempo Lorenzo si dedica alla pittura, iscrivendosi anche all’Accademia di Brera a Milano. Poi, nel novembre del ’43, apparentemente improvvise e mai spiegate, la conversione e la decisione di entrare in seminario. Ordinato sacerdote il 13 luglio del 1947, don Milani viene mandato come cappellano a San Donato a Cadenzano, dove avvia una scuola serale aperta a tutti, purché di origine operaia e popolare. La scuola gli attira critiche sempre più severe, finché nel dicembre del ’54 viene trasferito a Barbiana (frazione di Vicchio nel Mugello), più che un paese, una chiesa con tre case intorno e una manciata di abitazioni sparse nei boschi circostanti. Qui, nella canonica, incomincia a radunare i primi ragazzi che hanno finito le elementari e a dare loro un’istruzione professionale (con la “media unica” introdotta nel ’62 diventerà una scuola media). Inizia così la “scuola di Barbiana”. Si fa lezione dall’alba al tramonto, 365 giorni all’anno. Ai visitatori che gli chiedono come faccia a tenere i ragazzi sempre lì, don Milani risponde con le parole di uno di loro: «La scuola sarà sempre meglio della merda». Per i suoi allievi, infatti, l’alternativa alle lezioni è pur sempre il lavoro nelle stalle e nei campi.
Nel 1958 esce Esperienze pastorali, il libro in cui il priore ripercorre l’esperienza della scuola popolare a San Donato: uscito inizialmente con l’imprimatur dell’arcivescovo di Firenze, viene in seguito considerato “inopportuno” dal sant’Offizio. Aspre polemiche seguono poi la pubblicazione de L’obbedienza non è più una virtù, in cui il sacerdote rivendica il diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare. In risposta agli attacchi di un gruppo di cappellani militari nel febbraio del ’65 scrive una Lettera ai cappellani militari che sarà condannata per istigazione a disobbedire alle leggi. In occasione del dibattimento in tribunale, cui don Milani non può partecipare a causa del morbo di Hodgkin che dal 1960 sta minando il suo corpo, viene letta la sua autodifesa, poi pubblicata come Lettera ai giudici. Muore a Firenze, in casa della madre, il 26 giugno 1967, poche settimane dopo l’uscita della Lettera a una professoressa.
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