Chi ha ucciso l’impresa?

Di Mariarosaria Marchesano
26 Maggio 2017
Un gruppo di giuristi ed economisti guidati da Claudio Patalano ha fondato un osservatorio per indagare sul fenomeno della distruzione di aziende

Non uccidere: è un comandamento e una legge che riguarda gli uomini. Mai nessuno ha pensato di estendere il divieto di porre termine alla vita a categorie che non appartengono al genere umano. Ma un’impresa è fatta di persone, del loro lavoro e dei lori sforzi per farla nascere e svilupparsi sul mercato generando ricchezza a vantaggio anche della collettività. Quando quest’impresa viene uccisa da comportamenti che sono il frutto del cattivo funzionamento del sistema economico, relazionale e istituzionale del nostro paese, si può dire che si è trattato di un omicidio?

La risposta arriverà da un gruppo di esperti – avvocati, commercialisti, magistrati, accademici – che i primi di maggio ha fondato l’associazione No Odi (No Omicidi di impresa) con l’obiettivo di avviare un ambizioso progetto di ricerca sul fenomeno. A guidare l’iniziativa è l’economista e consulente d’impresa Claudio Patalano, che vanta esperienze come ispettore della Banca d’Italia, direttore della Banca nazionale del lavoro e commissario liquidatore della Sicilcassa. Patalano, che ha una profonda conoscenza del mondo bancario e finanziario e delle problematiche di management e delle aziende in default (ha partecipato, tra l’altro, alle indagini sui fondi neri dell’Iri e a quella sull’affaire Atlanta della Bnl), è anche autore del libro Omicidio d’impresa. Il caso del gruppo bancario Delta edito da Rubbettino e pubblicato lo scorso novembre. «Proprio il racconto di questa vicenda vissuta in prima persona è stato lo spunto per avviare una riflessione e condividerla con tanti amici e colleghi che, nell’ambito delle loro attività professionali, sono stati testimoni di storie come quelle del gruppo bolognese Delta che si sono trasformati da imprese di successo – era diventato uno dei principali operatori del paese nel settore del credito al consumo con oltre 1.000 addetti – in casi di fallimento a causa del corto circuito di funzioni e poteri dei soggetti pubblici e privati a vario titolo coinvolti». Secondo l’autore, il caso Delta sintetizza diversi aspetti tipici dell’omicidio d’impresa che avviene quando si creano concatenazioni di eventi e reazioni che – anche a prescindere dalla volontà dei soggetti coinvolti (dagli stakeholder ai tribunali alle autorità di mercato) – possono causare ingiustificata distruzione di valore.

Indifferenza e rassegnazione
Di casi analoghi a quello del gruppo bolognese se ne sono verificati diversi altri in Italia negli ultimi decenni: ne è sicuro il gruppo di lavoro di No Odi (che vede tra i soci sostenitori nomi noti come il magistrato Gioacchino Romeo, l’economista Maurizio Baravelli, il giurista Bruno Assumma e il fiscalista Roberto Raiola). Quali sono? «Il punto è arrivare a definire una griglia di criteri oggettivi che serviranno a identificare un certo numero di casi di omicidio oppure di azioni o episodi finalizzati a questo scopo, che potremmo definire tentativi di omicidio», continua Patalano. Insomma, si tratta di una vera attività di ricerca scientifica che sarà realizzata attraverso fatti documentati di crisi di imprese che non sono state scatenate dai mercati di riferimento o da scelte manageriali. Un percorso che prevede anche alcuni momenti di riflessione pubblica attraverso seminari che partiranno dopo l’estate presso sedi universitarie e istituzionali di diverse città (si comincia da Cosenza per proseguire con Salerno, Roma e Bologna).

«L’incremento negli ultimi decenni di comportamenti che portano a distruggere un’azienda, adottati persino da attori istituzionali, impone una riflessione anche di carattere socio-psicologico sul tessuto culturale e sociale da cui si originano questi comportamenti. Dobbiamo domandarci come nascono meccanismi di deresponsabilizzazione, indifferenza, rassegnazione, spregio delle regole», continua Patalano. «È innegabile che a determinare questo fenomeno concorrano l’eccesso di burocratizzazione del nostro ordinamento, l’inadeguatezza di taluni strumenti giuridici che dovrebbero garantire la tutela del bene-impresa finanche a discapito del management e degli azionisti, e anche lo svolgimento di processi mediatici con inevitabili danni reputazionali».

@MRosariaMarche2

Foto Ansa

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