
Chi ha paura dell’impresa sociale?
La notizia è di quelle succulente, ma ancora ci hanno scavato dentro poco: la settimana scorsa la Compagnia delle Opere (CdO) Non Profit ha annunciato la sua uscita dal Forum permanente del Terzo Settore, organizzazione-ombrello di coordinamento del mondo del volontariato, dell’associazionismo, della cooperazione sociale e della solidarietà internazionale italiani. È la prima volta, da quando il Forum è stato creato, che una componente se ne va sbattendo la porta. Pietra dello scandalo: il rifiuto, da parte del Forum, di stringere i tempi sul varo di una normativa circa la cosiddetta “impresa sociale”, per la quale la CdO Non Profit è impegnatissima da tempo. All’ultima riunione col ministro degli Affari sociali Maroni il Forum avrebbe invitato il Governo a non affrettare i tempi, perché la materia andava prima approfondita. Da qui la drastica reazione della CdO Non Profit, a cui il Forum ha replicato esprimendo «sconcerto e stupore» e difendendosi: «Abbiamo conosciuto il testo della nuova normativa pochissimi giorni fa. Ci è parso naturale aver chiesto la possibilità di aprire un tavolo di confronto in tempi accettabili. È legittimo che ogni associazione proponga propri disegni di legge, improbabile pretendere che le proprie opinioni rappresentino il sentire di tutti». Massimo Ferlini, presidente della CdO di Milano e vicepresidente della CdO nazionale, non accetta giustificazioni: «Sono solo scuse, è una risposta puramente strumentale. La nostra proposta era nota da tempo, per essa abbiamo raccolto 60mila firme durante l’ultima campagna elettorale e organizzato decine di incontri. E all’incontro con Maroni non si trattava di dare il via libera ad una normativa dettagliata, ma di far partire subito l’iter legislativo attraverso lo strumento della delega al Governo: per discutere lo specifico della normativa ci sarebbero state tutte le occasioni dopo. L’ostruzionismo del Forum, in realtà, ha motivazioni politiche»
Ferlini, ci aiuti a capire anzitutto qual è la materia del contendere: cos’è questa “impresa sociale”? Non lo sanno mica tutti.
È quella parte del Terzo Settore che produce beni e servizi socialmente utili con uno stile e un impegno di tipo imprenditoriale. Che definisce i propri obiettivi sociali da perseguire in una logica non profit, accetta vincoli di controllo sul suo patrimonio, non distribuisce dividendi, ecc., ma è però un’impresa a tutti gli effetti. Per avere un’idea, pensate alle realtà del non profit dell’area anglosassone: grandi realtà dell’assistenza, della sanità, della ricerca scientifica, della protezione ambientale che operano senza scopo di lucro entro norme molto precise, per non interferire col funzionamento dell’economia di mercato. Se vogliamo che decolli anche in Italia, bisogna normarlo con regole diverse da quelle delle altre Onlus.
E perché il Forum del Terzo Settore sarebbe tiepido verso questo genere di imprese?
Principalmente perché al suo interno prevale l’egemonia di una certa cultura catto-comunista che concepisce il Non profit solo come volontariato, che è ferma allo slogan del “piccolo è bello”, che diffida della logica imprenditoriale. Questa posizione condanna il Non profit ad uno stato di minorità permanente, ad affrontare con mezzi piccoli bisogni grandi, a mantenere un basso profilo. Certo, il basso profilo permette rendite di posizione: ci si garantisce una tutela da parte della Pubblica Amministrazione, una riserva indiana fatta di appalti e finanziamenti pubblici. Si finge di poter rispondere a grandi bisogni con piccole imprese. Noi invece vorremmo far corrispondere grandi imprese a grandi bisogni.
Però fino a ieri siete andati a braccetto con chi stava su queste posizioni.
Sì, abbiamo condiviso varie battaglie: quella per la legge sull’associazionismo, quella per la valorizzazione della sussidiarietà, ecc. Ma adesso è venuto al pettine il nodo decisivo, occorre sciogliere l’equivoco.
E di quale equivoco si tratta, di grazia?
Dell’equivoco che tiene insieme sotto lo stesso ombrello realtà profondamente diverse come il volontariato e l’impresa sociale, l’associazionismo e le realtà produttive non profit. Non esiste che realtà diverse come i Centri sociali e la CdO, l’Arci e il Non profit che produce servizi assistenziali o sanitari, siano rappresentati davanti al governo e al mondo politico da un medesimo organo di rappresentanza. Non per ragioni politiche o ideologiche, ma semplicemente perché sono due cose diverse. E pretendere di tenere mischiate queste realtà diverse significa soltanto voler esercitare un’egemonia culturale indebita e difendere gli assetti di un centro di potere. Vogliono ritardare l’iter legislativo dell’impresa sociale perché vogliono attenuare l’impatto che la nostra idea di impresa sociale avrebbe su tutto il mondo del non profit italiano, che è tuttora immerso in questa confusione fra solidarietà, volontariato e imprenditoria.
State ponendo la questione dell’effettiva rappresentatività del Forum del Terzo Settore.
Esatto! La nostra uscita dal Forum mira ad un chiarimento sulla questione della rappresentatività. Perché se il Forum non ridiscute le sue forme di rappresentanza, se non introduce elementi di democrazia rispetto a quelli di assemblearismo che lo caratterizzano, se non introduce una separazione almeno organizzativa fra quelle che sono associazioni di volontariato e quelle che invece sono realtà produttive non profit, rischia di implodere. Credo che la nostra scelta di uscire debba essere vista proprio come un’occasione di discussione e di crescita collettiva, non come uno schiaffo di tipo politico. Non ha nessuna valenza di questo tipo.
Il Forum ha sabotato la vostra iniziativa, ma mi pare che anche Confindustria non scherza: vi accusano di voler ottenere vantaggi indebiti per le vostre imprese con la scusa del sociale, come un tempo si faceva con le cooperative rosse. Cosa rispondete?
Che non vogliamo vantaggi indebiti, tali da falsare gli equilibri dell’economia di mercato. Che non vogliamo quote di appalti riservate o altri vantaggi in sede di gare pubbliche. Chiediamo solo i tipici vantaggi fiscali che l’impresa sociale ha in tutto il mondo: chi fa donazioni al non profit deve poter avere un reale vantaggio fiscale da questa sua decisione. Adesso non è così. Vogliamo arrivare ad un nuovo assetto coinvolgendo tutti gli interessati. Una volta assegnata la delega al governo, dovrà esserci un tavolo di consultazione che riunisca sia le associazioni delle imprese profit che i rappresentanti del non profit produttivo. Lì si potrà discutere una normativa dettagliata che da una parte garantisca una legislazione a prova di furbo, cioè pensata in modo che nessuno possa nascondere mire affaristiche dietro il paravento dell’impresa sociale, e che dall’altra permetta alla vera impresa sociale di galoppare, anziché correre stentatamente come avviene oggi.
Bene, ma intanto Maroni ha accettato di rinviare a fine gennaio la discussione sulla nuova normativa, come convenuto con il Forum del Terzo Settore. Voi che farete?
Batteremo una strada diversa. Per noi l’importante è il risultato, non l’etichetta sotto cui si può ottenere. Se il ministero per gli Affari Sociali non prende l’iniziativa, possiamo passare attraverso un altro ministero, per esempio quello per le Attività produttive, a capo del quale è ministro Antonio Marzano. Se non potrà essere un collegato alla Finanziaria, sarà comunque un qualcosa che parte subito, e non soltanto quando farà comodo a certuni. Per noi il punto politico di tutta la questione è proprio questo: non rimandare a domani quello che può e deve essere fatto oggi.
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