
Chi era Paolo VI, il Papa della bellezza
«E pensiamo anche a Giovanni Battista Montini, Paolo VI: noi siamo abituati, giustamente, a ricordarlo come Papa; ma prima è stato un giovane, un ragazzo come voi, di un paese della vostra terra. Io vorrei darvi un compito, un “compito a casa”: scoprire com’era Giovanni Battista Montini da giovane; com’era nella sua famiglia, da studente, com’era nell’oratorio; quali erano i suoi “sogni”. Ecco, provate a cercare questo». Così, papa Francesco, ricevendo in udienza 3000 ragazzi della diocesi di Brescia accompagnati dal vescovo Pierantonio Tremolada.
Un consiglio per svolgere al meglio il “compito”? Visitare la casa natale di Giambattista Montini con la straordinaria Collezione d’Arte contemporanea annessa. Un’uscita didattica sicuramente da dieci e lode con destinazione Concesio, Val Trompia, 10 chilometri da Brescia. La casa conserva il ricordo del pontefice bambino, accanto ai genitori e ai fratelli, intento a fare i compiti e a imparare il catechismo sulle ginocchia di mamma Giuditta, orgogliosa ma anche afflitta dai continui malanni del figlio. «Il mio Battista ha una salute pessima», andava ripetendo. Ma proprio quella che ribattezzarono scherzosamente una «pessima salute di ferro» avrebbe aiutato Battista Montini a vivere per 81 lunghi anni, raggiungendo coi suoi viaggi apostolici (primo papa nella storia a prendere l’aereo!) i popoli di tutti e cinque i continenti durante 15 difficili anni di pontificato.
La casa natale è il luogo perfetto dove scoprire sogni e aspirazioni del papa bresciano: ricorda i suoi giochi, le corse sui prati, le vacanze dopo i mesi di scuola, le letterine in cui il piccolo Giambattista scriveva alla mamma promettendo di essere «la tua consolazione». Ai pellegrini (e agli studenti) che si recano in quella casa, viene tutto amabilmente presentato da una frizzante salesiana, suor Teresina Rosanna, conoscitrice di ogni piccolo episodio della vita e delle opere del papa bresciano (e per questo ricercatissima dai tesisti di ogni latitudine). Dalle foto ai cimeli, dalle camere ai libri (anzi, alle loro personalissime sottolineature), fino al letto dove Gianbattista Montini vide la luce.
Ecco come i ragazzi, almeno quelli delle scuole lombarde, potrebbero facilmente toccare con mano le vicende del più illustre figlio della Valtrompia, che a ottobre dalla Chiesa sarà dichiarato santo. Un papa nella tempesta, come recita il titolo di un film a lui dedicato, stretto tra scelte impopolari ma lungimiranti (l’enciclica Humanae vitae sulla contraccezione, volta a non separare unione e procreazione); dal dolore per la morte del suo caro amico Aldo Moro (assassinato da quelle Brigate Rosse invano da lui implorate a rilasciare lo statista); e infine scosso dagli anni turbolenti che seguirono il Concilio Vaticano II, anni di confusione, segnati dall’abbandono della vita consacrata di tanti sacerdoti e suore. «Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di incertezza. Com’è avvenuto questo?». Così Paolo VI in un famoso discorso del giugno ‘72.
L’itinerario montiniano delle classi, però, non potrà non toccare lo splendido Museo d’arte contemporanea situato proprio nei pressi dell’abitazione. Qui ci vorrà tutta la preparazione della professoressa d’Arte per introdurre alle strepitose opere della Collezione d’arte contemporanea donate a Paolo VI dai più celebri artisti. Dai ragazzi – avvisiamo – la domanda a questo punto sorgerà spontanea: come mai così tanti capolavori d’arte moderna sono raccolti in quel di Concesio, paese di 15.000 abitanti? E sì, perché parliamo di Morandi, Sironi, Dalì, Pomodoro, Magritte, Fontana, Matisse, Chagall, Picasso: settemila opere per le quali il “Guggenheim” di Bilbao o il “Moma” di New York farebbero carte false. Per spiegare il mistero la “prof” dovrà riavvolgere il nastro, andare al maggio del 1964 e raccontare quello che Paolo VI confidò agli artisti da lui riuniti nella splendida cornice della Cappella Sistina. Qui, con un discorso la cui umiltà è pari solo alla grandezza, il papa bresciano chiese a pittori, scultori, musicisti e poeti di ristabilire l’amicizia tra la Chiesa e l’arte. Li pregò di ricomporre quel “divorzio” tra fede e bellezza che dopo tanti secoli di feconda alleanza – fatta di cattedrali, affreschi, arazzi, mosaici, pale d’altare – si era andata consumando.
È il grande tema della bellezza quello tirato fuori dal pontefice di Concesio (tema che sta a cuore agli studenti di ieri e di oggi) che in quel frangente ebbe l’ardire di accompagnare la mano tesa agli artisti da un’inaudita richiesta di scuse a nome della Chiesa intera. «Vi abbiamo fatto tribolare, perché vi abbiamo imposto l’imitazione di uno stile, di una tradizione; siamo ricorsi ai surrogati, all’oleografia, all’opera d’arte di pochi pregi e di poca spesa, a voi che siete creatori, sempre vivaci, zampillanti di mille idee». Per concludere poi così: «Ma ora rifacciamo la pace; il Papa ridiventa ancora l’amico degli artisti?». Parole volutamente semplici, pure, “ingenue”. L’apertura di credito di Paolo VI a quello strano “conclave degli artisti”, sotto l’abbacinante bellezza del Giudizio michelangiolesco, ha finito per smuovere i cuori, e ha fatto sì che gli artisti, coinvolti e forse turbati da tanta fiducia, finalmente compresi nel loro genio, abbiano fatto a gara nel donare le loro opere ad un papa che aveva capito tutto: l’atto creativo viene da Dio, e l’artista, assecondandolo, diviene un con-creatore.
Foto Ansa
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!