Chi è Ales’ Bjaljacki, il cattolico bielorusso Premio Nobel per la Pace

Ales’ Bjaljacki, Premio Nobel per la Pace 2022

Del detenuto politico bielorusso Ales’ Bjaljacki, uno dei tre premi Nobel per la pace di quest’anno, si sottolinea abitualmente che ha alle spalle una lunga militanza a favore dei diritti umani. Poco si è detto della sua attività a favore della rinascita della comunità cattolica in Bielorussia e di come questo acuisca la persecuzione nei suoi confronti.

Cattolico, sessant’anni appena compiuti, Bjaljacki ha alle spalle studi filologici e letterari, e si è avvicinato al dissenso proprio perché appassionato al recupero della lingua e della tradizione nazionali, strumenti di resistenza all’omologazione culturale sovietica. Per questo è finito nel mirino delle autorità, quelle sovietiche di allora, e quelle di oggi.

La rivista “Il pensiero cristiano”

Alla fine degli anni ’80 Bjaljacki si coinvolge con le attività del «Martirologio bielorusso», una delle prime organizzazioni informali che si occupa delle vittime del totalitarismo sovietico. Negli stessi anni, con il dissolvimento dell’Urss e il ripristino degli Stati nazionali post-sovietici, con un gruppetto di amici pubblica la rivista Christjanskaja Dumka (Il pensiero cristiano) e ristampa alcuni libri che erano usciti nel periodo tra le due guerre.

Oltre a discutere di libertà di coscienza e dell’uso della lingua nazionale, nel giugno del 1990 fondano la Comunità cattolica, organizzazione che farà da punto di riferimento per l’intelligencija cattolica bielorussa.
La Comunità si impegna per la restituzione delle chiese ai fedeli, la reintroduzione delle festività religiose, l’utilizzo della lingua bielorussa nelle celebrazioni liturgiche, la preparazione culturale dei sacerdoti polacchi venuti in aiuto alla Chiesa locale. «Ci ho messo tutta la mia forza e la mia anima», ha ricordato Bjaljacki, il quale è stato anche presidente del consiglio parrocchiale di San Rocco a Minsk, la prima chiesa della capitale in cui si è tornati a celebrare in bielorusso e il cui ambiente ha fatto da catalizzatore per scienziati, artisti e scrittori.

La condanna per “evasione fiscale”

Dopo i primi entusiasmi per l’indipendenza del 1991, la Bielorussia non è riuscita a scrollarsi di dosso il fardello totalitario, e già alla metà degli anni ’90 l’ascesa di Lukašenko ha portato con sé repressioni e violazioni dei diritti umani. Quando nella primavera del 1996 si è prospettata l’ipotesi di unione tra Russia e Bielorussia, che agli occhi degli oppositori politici rappresentava una nuova perdita dell’identità nazionale, il paese è stato attraversato da una serie di manifestazioni, represse con la forza.

È in questa situazione che Ales’ ha lanciato il progetto «Vjasna», un’associazione che intende contribuire alla formazione della società civile basata sul rispetto dei diritti umani. Di nuovo, oltre ad occuparsi della tutela legale dei cittadini, intende curare la promozione della rinascita spirituale e culturale nazionale. Per questi motivi molti attivisti sono finiti in carcere.

Lo stesso Bjaljacki nel 2011 è stato condannato a 4 anni e mezzo con l’accusa pretestuosa di «evasione fiscale» per aver depositato in banche lituane e polacche dei soldi destinati all’attività di «Vjasna». Durante la prigionia gli ha fatto visita l’allora nunzio apostolico Claudio Gugerotti, che gli ha trasmesso la benedizione di papa Benedetto XVI.

Cristiani perseguitati

Paese storicamente orientato al pluralismo religioso, la Bielorussia ha subìto una dura politica antireligiosa in epoca sovietica, mirata anche contro la componente cattolica, considerata la longa manus del Vaticano. Attualmente sono poco meno di un milione e mezzo i fedeli cattolici, che rappresentano il 15% della popolazione. Se da parte ortodossa il legame con lo Stato è storicamente più forte, da parte cattolica c’è sempre stata maggiore indipendenza.

Negli ultimi anni il regime di Lukašenko ha cercato di tenere le Chiese sotto controllo, tanto più che nelle prime settimane di proteste del 2020 si erano tenute a Minsk e a Grodno due preghiere ecumeniche pubbliche per la pacificazione sociale, cui avevano partecipato ortodossi, cattolici e protestanti.

«Cari sacerdoti – aveva detto nell’agosto 2020 durante un comizio, – non agitatevi e fatevi gli affari vostri, in chiesa si dovrebbe andare per pregare». Dal fatidico 2020 infatti, l’anno delle elezioni-farsa, sono una trentina i sacerdoti sottoposti a condanne amministrative e brevi detenzioni.

Sempre da quell’agosto, ortodossi e cattolici sono rimasti per alcuni mesi senza guide: il metropolita ortodosso Pavel, allontanato dopo i suoi inviti a fermare la violenza, e l’allora arcivescovo cattolico di Minsk Tadeusz Kondrusiewicz al quale è stato addirittura impedito di rientrare in patria, reo anch’egli di essersi espresso criticamente nei confronti del governo.

In carcere a Minsk

Attualmente è in corso la controversia sul destino della «chiesa rossa» di Minsk, elegante edificio neoromanico in mattoni, ancora di proprietà statale ma usato gratuitamente dalla comunità cattolica. Qui nella notte del 26 settembre è scoppiato un incendio, probabilmente doloso, che ha portato alla chiusura dell’intero complesso sia ai fedeli che ai religiosi. È stato anche impedito ai parrocchiani di pregare fuori dall’edificio che, durante le manifestazioni del 2020, come altre chiese aveva offerto rifugio e protezione dai manganelli della polizia.
Come se non bastasse, è di questi giorni l’arresto a Brest del sacerdote greco-cattolico Igor’ Kondrat’ev e del direttore del notiziario greco-cattolico «Carkva». Secondo il canale indipendente Belsat, durante le proteste Kondrat’ev era solito uscire in strada a parlare con i manifestanti, rassicurarli e pregare con loro.

Intanto il premio Nobel Bjaljacki è in carcere a Minsk, ancora in attesa di giudizio e rischia dai 7 ai 12 anni di detenzione, assieme ad altri due attivisti di «Vjasna»: il vicepresidente della Federazione Internazionale per i Diritti Umani, Valjancin Stefanovič, e l’avvocato Uladzimir Labkovič.

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