Che veniate da destra o da sinistra, vagliate tutto, trattenete ciò che vale

Di Alessandro Giuli
21 Luglio 2005
UNO E' UN GIOVANE POLITEISTA INVIATO DAL FOGLIO A SEGUIRE IL SUO PRIMO MEETING. L'ALTRO E' UN ATEO OPERAIO RIFONDAROLO CHE COLLABORA STABILMENTE CON TEMPI. UNO L'HA CONVINTO L'ACCOGLIENZA E LA STATISTICA, L'ALTRO LA FORZA DELLA RAGIONE. L'UNO E L'ALTRO SONO ANIMATI DA UNA CURIOSITA' PAOLINA CHE NON SI ACCONTENTA DELLE ETICHETTE

Domanda: cosa ci va a fare al Meeting di Rimini un politeista trentenne con alle spalle sedici anni di altalenante ma onorata attività nelle catacombe nere (dal Fronte della gioventù alla Fondazione Evola passando per l’extraparlamentarismo residuale)? Andarci ci va perché ce lo manda il quotidiano per il quale lavora (il Foglio). Il punto allora è un altro: perché lui ci va volentieri, e per la prima volta, al festival estivo di Comunione e Liberazione? Certo, la curiosità. Ma non basta o non è questo il motivo essenziale. Il motivo essenziale ha qualcosa a che vedere con l’eroismo e con la statistica.

L’ORGOGLIO DELLA MINORANZA
Premessa. Arrivandoci da destra si diventa politeisti seguendo una logica. Scelta la destra per ragioni principalmente estetico-familiari, si finisce per apprezzare nel totalitarismo di riferimento quel (poco?) sempre vivo che in questo totalitarismo non si esaurì. Qualcosa che ne precedeva, sovrastandola, la manifestazione storica e che questa manifestazione ha oltrepassato indenne. Cosa? Il senso di appartenenza a una comunità ideale e fisica; il rifiuto della materia bruta come orizzonte unico, alfa e omega dell’umano; il senso delle origini, della gerarchia e della fedeltà come espressione di un ordine superiore e spirituale, una visione eroica della storia e dei suoi attori (nella certezza che se un uomo non è disposto a correre dei rischi per le proprie idee, queste idee non valgono nulla oppure non vale nulla lui. Ma anche con la convinzione che nell’universo ci sia posto per le idee tutte); sopra tutto la bellezza, meglio se condivisa con chi può e vuole farlo. In una parola, la Tradizione: l’insieme di ciò che fa dell’uomo l’erede dei suoi padri, il fratello dei suoi contemporanei e il custode di quelli che verranno. L’insieme di ciò che si eredita e si tramanda. A forza poi di ricercare le origini si risale sempre più in alto e si supera ampiamente la data di nascita del cristianesimo. A forza di risalire si comincia a paragonare il passato al presente e ci s’imbatte nell’idea di decadenza. Dapprincipio intuita, poi geometricamente dimostrata. Sullo sfondo avanza l’impressione che la storia non abbia una direzione prestabilita in sé, dal meno al più, dal peggio al meglio, che sia quella della resurrezione dei corpi o quella del socialismo scientifico pervenuto a coscienza di sé. Arrivati qui, battezzati o meno, per me si è fuori dalla grazia cristiana. E si può esplorare un paesaggio nuovo ma antichissimo in cui lo spirito si manifesta in altri numerosi modi. A questo punto, di regola, sorge un deciso sentimento antimonoteistico, caratteristico di coloro che nel gergo del dio unico sono chiamati apostati. Se poi uno cresce sano e tollerante a sufficienza, il sentimento passa.
La realtà esperita alle origini è invero molto prosaica. Si entrò nelle sezioni dell’Msi e ci si ritrovò presto con un bastone in una mano e nell’altra i libri di Julius Evola dispensati a seconda del peso e del volume. Dai più piccini ai più ponderosi nel passare dei mesi. La tradizione un tanto al chilo. Senza metodo. Il resto bisognava farlo da sé. Compresa l’immersione in un universo umano per lo più popolato da monadi frastornate che predicano ad alta voce il comunitarismo e intanto praticano invece il solipsismo escludente. A metà tra la setta e un club di unici stirneriani. Avvolti dall’orgoglio della minoranza ed ebbri di nobiltà della sconfitta. Spesso in conflitto con sette gemelle o parrocchie cugine, così chiamate non a caso in quanto sette speculari di ex fascisti cattolici preconciliari. Una cosa da non crederci. Anche se non tutto è così desolante e più di qualcosa, nell’insieme, va salvato. Sullo sfondo rimane il sospetto che occorra una dose di eroismo per abbandonare il sentiero dell’infanzia religiosa e incamminarsi verso l’erta di un mondo che, fatte certe scelte, poi si deve conoscere appieno e portarselo dentro. Sennò si finisce sradicati.

NON CONOSCO CL, CONOSCO I CIELLINI
Io di Cl non sapevo praticamente nulla. Salvo i pregiudizi orecchiati qua e là intorno a una presunta, ‘potentissima lobby di galilei affamati di anime’. In chi come me proviene dal mondo delle ‘monadi frastornate che predicano il comunitarismo e praticano il solipsismo escludente’, inoltre, il pregiudizio intellettuale doveva per forza estendersi agli uomini e alle loro opere. Uomini di Chiesa per opere di Curia. Guardati con il pathos della distanza coltivato secondo un pericoloso senso di superiorità. Poi è sopraggiunta la statistica.
La statistica dice che in meno di un anno e mezzo ho conosciuto almeno mezza dozzina di ciellini. Ecco, se la statistica ha un valore (e ce l’ha), il 100 per cento dei ciellini avvicinati ha messo in questione i pregiudizi. Anzitutto attraverso una pratica semplice semplice, l’accoglienza. Il gesto di chi apre il suo sorriso come la sua casa e dice sempre benvenuto anche senza dirlo, fa sempre un certo effetto (nel caso, per la monade politeista appena giunta in un ambiente nuovo, fu uno stupore grande). L’accoglienza, avrei scoperto, di chi la comunità non ha bisogno di teorizzarla a ogni occasione, perché la realizza nella semplicità con cui respira. Ma questo è un tratto che accomuna ogni lobby consapevole. Epperò son bastati pochi giorni per annusarsi e scoprire che questi ciellini pensano pure cose sane, dicono cose belle e il più delle volte si comportano all’altezza di pensieri e parole. Lo fanno senza infliggere sempre il loro vessillo di cui pure vanno giustamente orgogliosi. Eppoi, riassumendo un poco a caso, hanno il pregio di essere motivati e freschi in tempi stazzonati, sono forti pur essendo minoranza contro il nemico nichilista. Sono vivi in un occidente che pare smarrito e stanco. Hanno dalla loro la forza della gioventù e in questo sono simili agli islamici. Forse non a caso. Come loro hanno questa fantastica qualità di sposarsi giovani collezionando un sacco di figli e di sacrifici. Non si dedicano ad astrazioni familistiche senza la certezza d’esser una concretissima famiglia di famiglie. Convincono con il gesto. Prussiani quando necessario nella proposizione laica del messaggio evangelico, sanno anche essere molto mondani (e cazzeggiare perfino con noialtri politeisti). Sono ironici, si fanno comprendere e questo pare un altro segreto del loro successo. Eppoi li abbiamo visti in battaglia. Quella recente antireferendaria, per dire, li ha rivelati come una potenza tranquilla e persuasiva. Per quanto piantati nel recinto della confessione religiosa, si sono scoperti alleati formidabili di chi ama la vita obbedendole e predilige la dimensione verticale dell’esistenza senza necessariamente verniciarla di teologia. Certo anche i ciellini fanno molta politica, si candidano alle elezioni, frequentano parlamentari, esprimono classi dirigenti sostenute da un sontuoso club di giornalisti bravi e ben sparpagliati. Ma fanno tutto questo, credo, secondo una nota geometria per cui tutto è politico quando è impegno liberalmente condiviso. Su tutto prevale il dato antropologico. Sembra che al di sopra del sorriso abbiano tutti degli occhi profondi, gli occhi di chi ha trovato la pietra su cui costruire un destino. Se non ci si spaventa, li si può riconoscere, senza offesa, come sodali.
In realtà di Cl continuo a sapere poco e niente, però alcuni ciellini li ho conosciuti quanto basta per capire che non barano quando pretendono di seguire l’invito paolino a vagliare tutto e trattenere il valore. A Roma d’inverno li vedo così. A Rimini d’estate, quando la vetrina si fa istituzionale e l’affollamento ne rivela la scientificità nell’agire, sarà doveroso osservarli.

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