Che spettacolo, la bolla che si sente offesa da Ricolfi dà ragione a Ricolfi

Di Caterina Giojelli
03 Novembre 2021
L'articolo di esordio su Repubblica del sociologo sugli ossessionati del linguaggio politicamente corretto manda ai matti la sinistra. Che reagisce come da ossessione di rito. Dai fascisti di Raimo al maschio bianco etero di Murgia fino ai cuori alle schwa su Twitter
La sinistra disprezza Ricolfi chiamandolo “maschio bianco etero”, categoria che per i pro Ddl Zan ha i giorni contati (foto Ansa)

Ma come fa Luca Ricolfi ad avere sempre ragione? Non fa in tempo ad accomodarsi a Repubblica – e quindi neppure noi a metabolizzare la scelta suicida di Repubblica – che i grandi spernacchiati dal suo primo, formidabile, articolo contro le varianti del politicamente corretto vanno ai matti, escono allo scoperto, fanno tutto ciò che ci si aspetta facciano degli «autoproclamati legislatori del linguaggio che si arrogano il diritto di dirci come dovremmo cambiare il nostro modo di esprimerci» così ben descritti dal sociologo liberal-progressista più amato dai conservatori reazionari: fanno la predica, fanno gli isterici, fanno gli offesi, in altre parole gli danno ragione.

«Cari collegh*, gentilu ascoltatoru»

Premesso che Ricolfi riesce l’1 novembre con un solo pezzo a scrivere su un giornale di sinistra tutto quello che vuole leggere la destra, ad attaccare su Repubblica il metodo Repubblica, a svelare, attraverso la riforma del linguaggio, il compiersi di una parabola liberal iniziata negli States a fine anni 70 in qualcosa di pericoloso per la convivenza democratica, «sconfiggere le discriminazioni con l’eguaglianza, si capovolge nel suo contrario: instaurare l’eguaglianza attraverso le discriminazioni» – il tutto sfottendo le vestali della dottrina del “misgendering”, della cancel culture e dell’identity politics.

Premesso, insomma, che Ricolfi la dice giusta, cioè come la dicono in America i Boghossian o le Bari Weiss, e la dice anche bene, cioè come si può dire in Italia dove il film «è ancora alle prime battute» ma non mancano i mozzatori di statue né quelli del linguaggio come le Murgia: «Secondo le versioni più demenziali della correttezza politica in materia di generi, assai diffuse nelle università americane, i professori dovrebbero chiedere ad ogni singolo allievo come preferisce essere indicato: he, she, zee, they, eccetera – scrive Ricolfi -. Gli epigoni meno dotati di senso del ridicolo, da qualche tempo attivi anche in Italia, aggiungono regole di comunicazione scritta tipo usare come carattere finale l’asterisco * (cari collegh*), la vocale u (gentilu ascoltatoru), o la cosiddetta schwa (?) (benvenut? in Italia) per essere più “inclusivi”, ovvero non escludere o offendere nessuno».

Raimo, Lerner e l’ossessione della destra

Premessi dunque gli applausi a Ricolfi, è nel post pubblicazione di Ricolfi che da quel «brodo di coltura delle suscettibilità individuali» – leggi i social – sono emersi i pretoriani di gelatina del politicamente corretto in tutte le sue splendide varianti. «Repubblica diventa sempre di più un giornale minoritario di destra» cinguetta Christian Raimo, scrittore antifascista col pallino delle liste di proscrizione, retweetando Gad Lerner col pallino di Repubblica, «Complimenti a Luca Ricolfi. Il suo odierno approdo al giornale della sinistra “antipatica” contro cui ha condotto una coerente battaglia culturale, è a suo modo una vittoria. Può compiacersi di avere espugnato la roccaforte nemica. Metamorfosi di un giornale…».

https://twitter.com/christianraimo/status/1455145984653250564

Probabilmente portatori sani di quella che Ricolfi identificava nel suo articolo come “quarta mutazione” (o variante delta del politicamente corretto), cioè della “discriminazione nei confronti dei non allineati” all’ortodossia politica dominante soprattutto in materia di “politica delle assunzioni”, Raimo e Lerner si sono giocati il pulpito con Michela Murgia, alias miss variante beta.

Murgia e la fissa per clitoride e maschio bianco etero

Portatrice sana di schwa e di asterischi e indubbiamente la madre di tutte le seconde mutazioni individuate da Ricolfi sul misgendering e i suoi codici deliranti: «Leggo Ricolfi su Repubblica e non posso fare a meno di pensare che il clitoride ha 8000 terminazioni nervose, ma ancora non è sensibile quanto un editorialista italiano maschio bianco eterosessuale quando sente minacciato il suo privilegio».

L’ha proprio scritto. Non “il clitoride” al posto di “la clitoride” (ebbene sì, il suo tweet ha generato un dibattito anche sul genere del clitoride), ma che uno studioso, docente presidente della Fondazione Hume di anni 71 se non pensa e dice come lei allora è solo un maschio bianco etero italiano col privilegio minacciato. Paragonabile a un clitoride. Il professor Tomaso Montanari, sempre capace di grandi sintesi quali Maria Vergine «era marxista» e «la cultura è il vaccino contro il fascismo», avalla la tesi: «Riassunto dell’articolo con cui Ricolfi esordisce su (vabbè, manca solo che la rubrica della Aspesi passi a Berlusconi…): «a me – maschio bianco, anziano e benestante – il mondo va bene così: non rompete i coglioni». Non sarà quinta mutazione in purezza (dove non conta che persona sei ma a quale minoranza oppressa appartieni, e se non appartieni a una minoranza non solo non puoi denunciare alcuna oppressione ma se discendi dall’uomo bianco dovrai pagare a vita per le colpe di antenati «colonialisti, oppressori, schiavisti, in ogni caso privilegiati», ma la combo anziano e benestante funziona: la sinistra va nel pallone.

Le capriole di Repubblica su Ricolfi

Tanto che il giorno seguente all’uscita di Ricolfi, il 2 novembre, Repubblica è riuscita a mandare tutto in vacca con un pezzo firmato Chiara Valerio su tutto in prima persona con testatina “dibattito” e un incipit originalissimo: «Uno spettro si aggira sui maschi bianchi eterosessuali italiani: il politicamente corretto nelle sue “varianti” elencate ieri sulle pagine di questo giornale da Luca Ricolfi». Valerio, firma di Repubblica e che a differenza di Ricolfi non ha bisogno di presentazioni ai lettori, scrive cose così: «Dal punto di vista insiemistico la descrizione è “maschio bianco eterosessuale” uguale “U – Insieme Universo” nel quale sono contenuti, intersecantisi o meno, altri sottoinsiemi, con etichette varie», «Non siamo razzisti, omofobi o misogini, siamo insiemisti», «Mi spaventano la violenza e ancora di più lo scherno verso chi cerca di portare avanti battaglie e simboli per rendere il linguaggio più inclusivo», «penso a Nicola Santangelo (…) avrebbe dovuto, anche per convenienza commerciale, promuovere il sistema metrico (che vigeva in Francia già da cinque anni). Santangelo però non lo fa, anzi propone come unità di misura universale il palmo napoletano “che riunisce in sé le stesse condizioni del metro, unità della misura francese”».

Rinunciare alla briciole, non ai cinguettii

E per finire, «le etichette, anche quelle che dicono bella e brava, giusto e buono, corretto e intelligente, sono briciole. La rivoluzione comincia quando si rinuncia alle briciole. Rinunciare alle briciole non significa volere la pagnotta, significa rinunciare alle briciole».

Dopo di che Valerio ha passato il 2 novembre a retwettare i complimenti ricevuti su Twitter sul pezzo e sul palmo napoletano. Tipo quelli di Alessandro Giammei, professore di letteratura italiana della squadra di Domani: «Gli editoriali de sinistra cringe di questi giorni ci rammentano quanto 20 anni di Berlusconi ci abbiano obnubilato, persuadendoci che certə vecchiə miracolatə e buonsensaiə senza arte né parte fossero (1) intellettuali, e (2) nostrə alleatə. Per fortuna esiste Chiara Valerio». Luca Ricolfi non aveva ragione solo l’1 novembre, ma anche il 2 novembre.

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