Che fine ha fatto il federalismo fiscale? Intervista a Luca Antonini

Di Carlo Candiani
25 Febbraio 2012
“Il processo sta andando avanti” risponde a tempi.it il maggiore esperto italiano. La crisi e gli interventi del Governo hanno cambiato le carte in tavola. “Il governo è stato costretto ad intervenire con una serie di misure che implicavano una maggior concertazione con le autonomie locali. In particolare il provvedimento sulla tesoreria unica e quello sull’abolizione delle province".

Le associazioni che rappresentano gli enti locali (Regioni, Comuni e Province), si sono arrese: ormai i riflettori sul federalismo fiscale si sono spenti. Conferenza delle Regioni, Anci e Upi, presenti, mercoledì 22 febbraio, nella Commissione bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale, si sono domandate se abbia senso continuare a parlare di federalismo fiscale, autonomia e responsabilità davanti alla posizione del Governo Monti, dopo le ultime decisioni, ritenute centralistiche, sulla tesoreria unica. Che succede al progetto federalista, che tanto ha impegnato gli esecutivi politici degli ultimi anni?
“Il processo sta andando avanti”. Così risponde a tempi.it, il professore Luca Antonini, fra i maggiori esperti di federalismo fiscale, attualmente presidente della Commissione tecnica per l’attuazione della riforma. “Questo è evidentemente un momento acuto di emergenza economica e proprio per la velocità con cui il governo è stato costretto ad intervenire, una serie di misure che forse implicava una maggior concertazione con le autonomie locali. In particolare il provvedimento sulla tesoreria unica, oppure quello sull’abolizione delle province; provvedimenti dei quali si capisce lo scopo, cioè recuperare al più possibile risorse per fronteggiare la crisi, si potevano seguire modalità che fossero più rispettose dell’autonomia costituzionale. Per esempio, il provvedimento sulla tesoreria unica fa tornare indietro le lancette dell’orologio al 1984, quando eravamo in ambito di una finanza sostanzialmente derivata. Nel 1997 si è arrivati alla tesoreria mista, che consentiva gli enti locali a trattenere risorse presso una banca autorizzata consentiva di avere una serie di vantaggi: interessi più alti, passivi più convenienti, poter chiedere un’anticipazione di cassa e anche servizi sul credito alle imprese, ecco tutto questo viene annullato. Da questo punto di vista sarebbe utile istituire un momento di raccordo tra le parti: era prevista una conferenza per il coordinamento per la finanza pubblica, già da settembre e che non è stata ancora attivata. Sarebbe molto utile metterla in pista”.

Come mai il federalismo fiscale è stato accantonato così velocemente? Esiste nell’attuale esecutivo una filosofia, diciamo, più attendista, rispetto alla riforma federalista?
Penso sia stata la contingenza, la fretta con cui sono stati adottati i provvedimenti degli ultimi mesi. Non ultimo l’intervento sull’Imu, imposta municipale che sostituisce l’Ici che, anticipata, una parte la incasserebbe lo Stato, una cosa non molto compatibile con i principi del federalismo fiscale. Il problema però si sta ponendo. La reazione critica degli enti locali con anche numerosi ricorsi alla Corte Costituzionale è un dato che non si può trascurare e richiede che venga preso in considerazione. Non si può ignorare la riforma dell’articolo V nel 2001 e la legge delega con al seguito otto decreti legislativi per quanto riguarda l’attuazione del federalismo fiscale. Bisognerà portarli avanti.

Dalle pagine di Tempi, l’economista Oscar Giannino ha lanciato l’allarme dopo l’episodio di malasanità accaduto nel pronto soccorso di ospedale romano. Neanche la riforma federalista – scrive – potrà rassicurarci nel breve periodo e invoca, per quanto riguarda la sanità, il federalismo differenziato.
Il federalismo differenziato può essere una soluzione, tra l’altro è previsto dalla Costituzione, nell’articolo 116. Bisogna rilevare che il federalismo fiscale, se attuato, prevede passaggi importanti: nel 2013 dovrebbero partire i costi standard e inoltre è già partito un processo di razionalizzazione delle contabilità e anche questo porterà effetto. Da quest’anno dovrebbero partire le certificazioni dei bilanci, cioè, gli inventari di fine legislatura e di fine mandato che permettono di evidenziare quello che oggi è parecchio oscuro, per esempio i debiti pregressi. Ciò dovrebbe attivare la responsabilità di quei presidenti di Regione che hanno delle sanità disastrate, dove occorre interventi di programmazione molto incisivi: occorre la chiusura di ospedali piccoli, la ristrutturazione della rete territoriale evitando l’eccessiva ospedalizzazione. La situazione vede situazioni positive accanto a situazioni pessime.

Il nodo irrisolto è l’annosa questione tra la spesa storica e la spesa standard.
La spesa standard servirà a responsabilizzare quelle sanità che sono governate male emettere in evidenza davanti agli elettori anche le responsabilità politiche, in modo che venga tolta l’aspettativa del ripiano statale, venga evidenziata la spesa della sanità attraverso certificazione e si crei una spinta sugli amministratori ad affrontare i processi che vengono evitati per non ingenerare scontri sindacali o altro. Quindi il presidente di Regione si troverebbe davanti all’alternativa di affrontare o i sindacati o gli elettori. Avendo dalla sua dati finalmente trasparenti; questo è lo scopo del federalismo fiscale.

Il presidente della Commissione per l’attuazione del federalismo fiscale Enrico La Loggia, ascoltate le critiche dei rappresentanti degli enti locali ha proposto una risoluzione da presentare al più presto in Parlamento, affinchè provocare una risposta formale. Quali le probabilità di successo?
Sul federalismo fiscale c’è in ballo la gestione di un terzo della spesa pubblica: allora razionalizzarlo, evitando gli sprechi e gli otto decreti legislativi torneranno molto utili e quindi meritano tutta l’attenzione possibile. Anche il presidente Napolitano ha ammonito che l’attuazione del federalismo fiscale è un dovere costituzionale.

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