
Che finale deve avere la guerra in Ucraina? Il dilemma non si può più eludere

«Due possibili scenari si profilano per i prossimi sei mesi di guerra» in Ucraina, e nessuno dei due dovrebbe lasciare tranquilla la comunità internazionale perché «entrambi comportano grossi rischi». È la tesi esposta sabato 14 maggio sul New York Times da Ross Douthat, in una “opinion” già segnalata ieri da Lodovico Festa nella sua quotidiana rassegna ragionata dal web. Commentatore non organico rispetto alla linea prevalente del quotidiano liberal americano, Douthat non può certo tuttavia essere tacciato di “putinismo”, anzi la sua riflessione intende fare meditare proprio quanti hanno ben chiaro che il nome del colpevole della tragedia in corso è Vladimir Putin.
Il tono sorprendentemente cauto e non trionfalista scelto dal presidente russo il 9 maggio scorso per il suo discorso nel Giorno della vittoria, osserva Douthat, in un certo senso rende giustizia alla strategia adottata finora dagli Stati Uniti nel sostegno all’Ucraina. Nonostante le preoccupazioni che iniziano a emergere sempre più esplicitamente anche tra gli americani, il temuto annuncio di un’escalation irreparabile del conflitto non c’è stato.
Il “conflitto congelato”
Se questo si può chiamare “successo”, però, i motivi per festeggiare non si vedono ancora. Perché ora, come detto, secondo Douthat si prospettano due possibili scenari per niente rassicuranti. Il primo è quello in cui Russia e Ucraina restino impigliate in un cosiddetto “conflitto congelato” (situazione per altro già vista in altri paesi confinanti con la Russia). In questo caso, si legge nel commento, «qualunque accordo per una pace duratura richiederebbe probabilmente di concedere a Mosca il controllo su alcuni dei territori conquistati, in Crimea e nel Donbass, se non la lingua di terra che collega le due regioni, attualmente in gran parte in mano alle forze russe».
Si tratterebbe in sostanza di concedere a Putin «una chiara ricompensa per la sua aggressione», insomma una vittoria, malgrado le perdite subite; mentre l’Ucraina si vedrebbe mutilata «nonostante i suoi successi militari». Ecco perché un simile accordo «potrebbe apparire inaccettabile a Kiev o a Washington, oppure a entrambe». Ma l’alternativa accettabile «non sarebbe un investimento saggio» secondo Douthat, poiché si tratterebbe di mantenere il “conflitto congelato” per un tempo indefinito, con tutto quello che ciò comporterebbe in termini di risorse e sofferenze. Non solo per gli ucraini, ma anche per l’Occidente (Washington in testa), dal cui sostegno Kiev non potrebbe prescindere, presumibilmente molto a lungo.
La sconfitta di Putin
L’altro scenario possibile è quello in cui lo stallo nelle ostilità si rompa «a favore dell’Ucraina», prosegue Douthat. È la “fine del gioco” che ovviamente si augura Volodymyr Zelensky, stando alle dichiarazioni da lui ripetute più volte («L’operazione speciale russa è già fallita», ha annunciato proprio domenica scorsa il presidente ucraino), ma è una possibilità concreta anche secondo il capo della Nato («L’Ucraina può vincere questa guerra», insiste Jens Stoltenberg).
Che le forze di Kiev riescano a respingere l’esercito nemico «non solo dietro le linee precedenti all’inizio della guerra, ma potenzialmente fuori dai confini ucraini», è secondo l’opinionista del New York Times «chiaramente il futuro che l’America dovrebbe desiderare». Se non fosse per un «caveat estremamente importante», e cioè il fatto che questo scenario sarebbe visto da Putin come una sconfitta, e dunque come una minaccia per il suo stesso regime. «E noi sappiamo», ricorda Douthat, «che la dottrina militare russa prevede l’utilizzo di armi nucleari tattiche a fini difensivi, con l’obiettivo di invertire il corso di una guerra che si sta perdendo». Ecco insomma che la temuta minaccia di escalation nucleare prenderebbe corpo.
Un dilemma non più rinviabile
Dal punto di vista americano il sostegno all’Ucraina non è in discussione, sottolinea Douthat. Resta però fondamentale sciogliere il «dilemma» su quale sia il finale della guerra che l’Occidente si immagina. Per ora la reazione ucraina non ha ancora ottenuto successi tali da scatenare da parte russa un attacco a base di armi nucleari tattiche, ma quel dilemma, conclude Douthat, deve essere affrontato con urgenza, «dal momento che stiamo armando gli ucraini su scala apparentemente sufficiente a rendere possibile una controffensiva».
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