Che differenza c’è tra il politico che si ingozza a spese nostre e il circuito mediatico-giudiziario che a spese nostre prospera?

Di Luigi Amicone
19 Maggio 2014
In Italia c'è una casta che ha prodotto la sistematica distorsione della competizione politica, non eliminando la corruzione, ma contribuendo ad aggravarla

fatto-quotidiano-manettePer favore, smettiamola di raccontarci la favola ventennale che qualcuno ha la professionalità “pistarola” più lunga degli altri, le fonti sono fonti e quando ci si imbatte in una notizia, la notizia si dà, punto. Il fatto che occorra leggere Luigi Ferrarella per immergersi nella procura di Milano, Fiorenza Sarzanini per incorporarsi a quella di Roma, Marco Travaglio per compulsare le carte giudiziarie di tutta Italia secondo le inchieste in corso o in culla, è un segno non soltanto della destrezza dei nostri colleghi condottieri della cronaca politico-giudiziaria. È un segno anche del carattere poco trasparente che hanno i rapporti tra certa magistratura e certa informazione.

Dell’attività di queste procure noi sappiamo tutto, o meglio, sappiamo quanto ci è fatto grazia di sapere dai nostri colleghi (si contano sulle dita di una mano) che hanno accesso a carte e confidenze a cui la gran massa di giornalisti non può accedere. Perché? Come mai capita che solo una ristrettissima cerchia di cronisti e di rispettivi editori di giornali e tv abbiano accesso a notizie che hanno il potere di rovesciare governi, condizionare le leggi del parlamento, influire sulla Borsa, provocare reazioni internazionali? Ci sono casi in cui è difficile distinguere dove inizia il lavoro di giornalista e dove finisce quello di insider. Non è questa una plateale distorsione della correttezza e trasparenza dell’informazione?

Viste le cose dalla parte del cittadino lettore (ed elettore) si potrebbe francamente constatare che non si vede la ragione per cui lo stesso giornalismo che predica uguaglianza, pari opportunità, non discriminazione, diritto alla verità per ogni piega della società (politici in primis, ma finanche nei servizi segreti), pratichi o comunque accetti acriticamente questa idea che, esclusivamente in relazione alla giustizia, nella fattoria del giornalismo ci debbano essere animali più uguali degli altri, più paritari degli altri, più garanti degli altri nella non discriminazione delle notizie, più legittimati degli altri a raccontare la verità.

Nel resto d’Europa esiste una cesura netta tra giornalismo e magistratura. Non esiste da nessuna parte che un ristretto pool di cronisti  e un ristretto pool di procuratori esercitino due diversi mestieri quasi in perfetta osmosi e sintonia. Al punto che in casi (quasi) all’ordine del giorno (l’avvocato che non ha visto le carte che ha già visto il cronista e il direttore che non ha ancora letto l’articolo che uscirà domani sul suo giornale ma che ha già letto il procuratore) è persino difficile distinguere un mestiere dall’altro.

Di questa situazione in cui solo ad alcuni (pochi) giornalisti è consentito quello che non è consentito alla maggioranza, cioè una perfetta aderenza e osmosi con coloro i quali, al pari delle altre categorie, dovrebbero essere i controllati dal Quarto Potere (per dire, solo a Marco Travaglio è consentito farsi fotografare sotto l’ombrellone in compagnia di Ingroia quando Ingroia era ancora la star della procura di Palermo, cioè ancora lo scorso anno), nessun Ordine dei giornalisti, nessuna associazione magistrati e, men che meno, nessun Csm, nessun parlamento e nessun governo hanno mai avuto il coraggio e la dignità di esprimere un giudizio e assumersene le responsabilità davanti ai cittadini.

Così, i media che traggono vantaggio competitivo da questo andazzo, possono tranquillamente continuare a nascondersi dietro l’alibi del “diritto di informazione”. Ma questo non è “diritto di informazione”, questo è uno “stare in combutta” da parte di una “casta di privilegiati”. Che non soltanto rischiano di inquinare l’informazione, ma di fatto arricchiscono le casse loro e dei loro editori.

In questo modo le imprese commerciali private, quali sono tv, giornali e case editrici, usufruiscono “a gratis” del lavoro e dei materiali prodotti con fondi erogati dallo Stato. Cioè usano le tasse dei cittadini per vendere i propri prodotti editoriali e fare soldi. Ora, che differenza c’è tra il consigliere regionale che accolla sulle spalle del contribuente le sue spese private e il magistrato che mette in conto al Ministero di grazia e giustizia le spese per riversare un’inchiesta sui giornali (imprese commerciali private) prima che l’inchiesta arrivi e sia utilizzata nella sua sede legittima, il processo? Quanto alla concussione, non configura una pressione indebita sul parlamento, sul governo e, in generale, sulle istituzioni e sull’economia, la spregiudicata istruzione dei processi sui giornali e sulle televisioni prima che nelle aule di giustizia?

In Svizzera, e in tutti i paesi civili dove giornalismo e magistratura sono cose serie, ma separate da un muro invalicabile, nei tribunali sono previsti impiegati e uffici addetti ai rapporti e alla comunicazione con la stampa. Questi uffici sono gli unici autorizzati a fornire ai media informazioni sullo stato delle inchieste e dei processi. In questo modo vengono garantiti trasparenza, correttezza dell’informazione e parità di accesso alle carte a tutti i giornalisti. Indistintamente tutti, compreso i giornalisti di testate minori. In questo modo si evita la creazione di caste e affinità elettive che sfiorano la mafiosità; si evita la distorsione delle notizie per campagne politiche e per interessi economici di parte, e si evitano, infine, eventuali speculazioni finanziarie e/o di carattere internazionale contro la propria Nazione.

Questo è il punto: se l’Italia fosse davvero uno stato europeo e uno stato di diritto, parlamento, governo e istituzioni della giustizia e dell’informazione esigerebbero la fine dell’opacità del circuito mediatico-giudiziario e del dominio di una piccola grande casta di procuratori e di giornalisti al seguito. Una casta che in Italia ha prodotto la sistematica distorsione della competizione politica e un “regime di colonnelli” che non soltanto non ha eliminato la corruzione, ma ha contribuito ad aggravarla. E l’ha aggravata perché è lo stesso sistema mediatico-giudiziario un paradigma solido ed eloquente di una corruzione sistemica fondata sulla diseguaglianza delle opportunità, sui privilegi di pochi e sulla sistematica violazione delle regole dell’informazione e della legge in nome dell’Informazione e della Legge.

@LuigiAmicone

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4 commenti

  1. Ale

    Il punto non è il processo mediatico ma la LUNGAGGINE dei processi in Tribunale ed il fatto che Gente “Tangentara” negli anni ’90 e condannata per questo sia stata ricandidata e posta in luoghi dove esercitare ancora pressioni per avere tangenti. Sbagliare e’ umano ma Perseverare e’ diabolico.

  2. Martino

    Due facce della stessa medaglia…o lo stesso tumore nello stesso malato…. Cossiga docet

  3. Michele

    Grande Amicone! Analisi coraggiosa ma corretta. Una “cupola” che non ha nulla da indiviare delle altre cupole e consorterie

  4. Controcorrente

    Cosa ne pensa il direttore, che un giorno si e un altro pure l’ex giornalista delle procure che diede la notizia dell’iscrizione di Berlusconi nel registro degli indagati nel 1994 e ora (direttore zerbino) attacca CL e Compagnia delle Opere sul Gionale della famiglia del ex cavalliere?

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