
La preghiera del mattino
Cavalleri mi ha salvato dal nichilismo dilagante tra noi naufraghi delle ideologie

Sulla Nuova Bussola quotidiana Riccardo Caniato scrive: «“L’importante è che la morte ci trovi vivi”. Lo scrisse Marcello Marchesi, brillante paroliere del Novecento, perché vale la pena vivere in pienezza ogni istante, fino all’ultimo. Questo suo augurio calza a pennello in questo saluto a Cesare Cavalleri, storico direttore delle Edizioni Ares e del mensile Studi cattolici, per inciso “il mio caro direttore” dal 16 febbraio 1996 fino al pomeriggio di mercoledì 28 dicembre che ha segnato il suo passaggio al Cielo. Alcune settimane prima di morire ha inviato una lettera ad Avvenire, di cui era stato cofondatore e su cui teneva tuttora una rubrica settimanale: il verdetto dei medici gli imponeva il commiato dai lettori».
Così Caniato ricorda in un articolo, che inizia con questa frase, quel grande intellettuale che è stato Cavalleri e che ha fatto quello che Cesare stesso ha definito “il grande salto” ieri. Ho conosciuto il direttore di Studi cattolici verso il 2010 e sono stato subito sedotto dalla sua incredibile curiosità culturale, da come si rivolgeva a me, povero naufrago delle ideologie novecentesche, per avere chiavi di lettura e per interpretare alcuni degli aspetti (quelli di cui soprattutto da giornalista politico mi sono occupato) di quel che stava accadendo in Italia e nel mondo. La sua attenzione naturalmente mi ha lusingato, ma soprattutto il suo interrogarmi e interrogarsi mi ha aiutato molto a resistere a quella forte ondata nichilistica che sta investendo ampiamente la nostra civilizzazione e che è una terribile tentazione per chiunque si senta perduto e isolato. Gliene sarò eternamente grato.
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Su Fanpage Luca Pons scrive: «“La strategia della Meloni di far finta che il Covid non esiste più, e che tutto sommato dei vaccini si può fare a meno” è “fallita”. Sono le parole di Roberto Speranza, deputato di Articolo uno ed ex ministro della Salute nel secondo governo Conte e nel governo Draghi. Il riferimento è alla decisione presa oggi dall’attuale ministro della Salute, Orazio Schillaci, di rendere obbligatorio il tampone per chi arriva dalla Cina».
Usare da parte di Speranza le notizie sull’evoluzione e sulla nuova esplosione di Covid in Cina per lasciarsi andare alla propaganda fa molta tristezza. Il governo Meloni al contrario del governo Conte 2 si è subito messo in movimento per contrastare i contagi che arrivano dall’Impero celeste. La strategia dei lockdown durissimi, poi, scelta da Pechino si è rivelata sbagliata, perché l’epidemia non va solo contrastata ma anche assorbita. La nuova recrudescenza dei contagi e la possibilità di nuove varianti, delle cui caratteristiche non siamo ancora pienamente consapevoli, richiederà possibili modificazioni nelle scelte dei provvedimenti sanitari: di questo si tratta di discutere, con anche punti di vista diversi, e con scelte innanzi tutto ispirate dalla comunità scientifica, limitando possibilmente gli show e facendo crescere invece la discussione più informata e civile possibile.
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Su Startmag Paola Sacchi scrive: «C’era una volta il Msi. Era definito al massimo post-fascista e non fascista anche dalla stessa Unità, il quotidiano ex organo del Pci, negli anni Novanta, quelli della cosiddetta Seconda Repubblica, della “pacificazione nazionale”, della Bicamerale di Massimo D’Alema dove con Silvio Berlusconi, che aveva portato per la prima volta la destra al governo nel ’94, l’alleato Gianfranco Fini, ultimo segretario del Msi poi autore della svolta di Fiuggi, fu uno dei principali protagonisti».
Corteggiatissimo era Fini, allora, dalla sinistra, che cercò di creare un cuneo tra lui e Berlusconi, che poi, non solo certamente per questo, ma soprattutto sulla giustizia, rovesciò il tavolo delle riforme già non molto benvoluto da Romano Prodi.
Nel 1956 lo sturziano Mario Scelba voleva mettere fuori legge il Msi, a questa scelta si oppose il Partito comunista, non solo e non tanto perché questo poteva preludere a provvedimenti anche contro il Pci (assai difficili contro un partito così consistente), ma soprattutto perché a Botteghe Oscure temeva una saldatura tra conservatori radicali missini e moderati democristiani come in qualche modo aveva perseguito Luigi Sturzo, poi bloccato da Alcide De Gasperi (e da Giovanni Battista Montini), in un’elezione per il Comune di Roma del 1952. In Germania Ovest, invece, i neonazisti (ma anche i comunisti) furono messi fuori legge e non ebbero più alcun ruolo politico. La storia italiana si modifica poi radicalmente dopo il 1989-1991 con la fine della Guerra fredda, ma il vizio della sinistra di usare strumentalmente missini ed ex missini per impedire una democrazia italiana compiuta e capace di alternanze di governo prosegue con la santificazione dell’ex segretario nazionale del Fronte della gioventù Gianfranco Fini, usato per frantumare l’iniziativa di ricomposizione unitaria del centrodestra tentata da Silvio Berlusconi. È opportuno avere ben presente questo quadro per valutare la serietà degli strilli antimissini di oggi da parte della Repubblica e di alcuni ambienti di sinistra.
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Su Formiche Raffaele Bonanni scrive: «A tal proposito la sciagurata decisione di indebolire il finanziamento pubblico dei partiti ha prodotto risultati disastrosi e ci ha sempre più esposti a corruttori indigeni e stranieri. Cosicché la qualità e l’autonomia degli eletti ne ha pericolosamente risentito; il funzionamento dei partiti è nei fatti degenerato verso modelli non sempre funzionali alla partecipazione dei cittadini. E allora si impone il ripristino del finanziamento pubblico per migliorare la qualità della democrazia ma anche per indurre i partiti a pratiche interne più virtuose attraverso la pubblicità costante sul loro funzionamento interno. Molti sono stati i segni di un tempo cambiato; questi che si sono già presentati ed altri che eventualmente si presenteranno in futuro dovranno essere contrastati con decisioni e pratiche che non possano ritorcersi contro le nostre stesse libertà».
Come al solito Bonanni prende una posizione di grande buon senso, che però non tiene abbastanza conto dei guasti recati da trenta anni di crisi dello Stato e dall’espoloderedi varie demagogie che da questa crisi derivano e hanno creato forti ostilità nell’opinione pubblica al finanziamento pubblico dei partiti. Per superare queste ostilità bisogna avanzare idee che non incontrino l’opposizione della maggioranza dei cittadini. Per esempio si potrebbe studiare come finanziare le primarie per la scelta dei candidati nelle liste, a sindaco, a presidente della Regione. L’invocazione di maggiore partecipazione dei cittadini alla vita dei partiti diventerebbe così un fatto concreto e aprirebbe un ragionevole sostegno a scelte di finanziamento pubblico.
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