Centrafrica. «Io, vescovo, che ho usato il mio corpo come scudo umano per difendere i musulmani»

Di Leone Grotti
31 Maggio 2017
Intervista a monsignor Aguirre, vescovo di Bangassou, dove gli anti-balaka hanno trucidato oltre 100 musulmani «abbandonati dai soldati Onu»: «In 2.000 rifugiati nel seminario. Siamo in pericolo»

bangassou-aguirre

«Non uccideteli, non uccideteli!». Così ha gridato monsignor Juan Jose Aguirre Muños, vescovo di Bangassou (Centrafrica), 470 chilometri a est della capitale Bangui, frapponendosi «come scudo umano» insieme ai suoi sacerdoti tra la moschea della città, piena di musulmani indifesi abbandonati dai soldati Onu, e l’orda di anti-balaka che volevano trucidarli. Nell’attacco del 14 maggio, secondo la Croce rossa centrafricana, sono morte almeno 115 persone e la situazione, dichiara il vescovo a tempi.it, è ancora drammatica.

MUSULMANI PROTETTI DAI CRISTIANI. Attualmente circa 2.000 musulmani sono rifugiati nel seminario minore cattolico vicino alla Cattedrale, «accerchiati da 700-800 anti-balaka con intenzioni molto brutte», spiega monsignor Aguirre. Anche molti cristiani sono rifugiati nelle strutture della Chiesa ma i musulmani «sono gli unici a non poter mettere piede fuori dalla missione cattolica: verrebbero immediatamente uccisi».

SOLDATI ONU IMPOTENTI. In città è presente un contingente della missione Onu Minusca, che conta circa 12.500 soldati in tutto il paese, «ma i soldati del Marocco di stanza a Bangassou stanno facendo molto poco per la sicurezza». Attualmente «non sono in grado di fronteggiare gli anti-balaka, che sono tanti e determinati, anche se male armati con machete e fucili artigianali». Queste milizie animiste e cristiane, essenzialmente non musulmane, «sono diventate dei veri gruppi criminali. Solo pochi giorni fa abbiamo assistito a come hanno ucciso una madre e i suoi cinque figli: il più grande aveva dodici anni, il più piccolo appena due anni e mezzo». In un altro episodio, una donna è stata sepolta viva.

LE VIOLENZE DEI SELEKA. È impossibile capire la terribile violenza che è riesplosa all’improvviso a Bangassou, dopo mesi di relativa calma, senza ritornare alle radici del conflitto deflagrato nel 2013. Il 24 marzo di quell’anno, una coalizione di mercenari islamici provenienti dal Ciad e dal Sudan, i Seleka, guidati dal presidente golpista Michel Djotodia, con un colpo di Stato ha conquistato la capitale Bangui. Dovunque passavano i Seleka, che non parlavano né sango né francese, ma arabo, hanno razziato le concessioni cattoliche, derubato, torturato e ucciso cristiani. Alcuni dicono che volessero instaurare un califfato, ma i più pensano che si tratti di una faccenda politico-militare manovrata dall’estero: l’ex presidente, François Bozizé, aveva promesso i ricchi giacimenti di petrolio del nord ai cinesi, facendo così infuriare Ciad e Sudan, che li volevano per loro.

This photo taken Friday May 26, 2017, shows  UN peacekeepers patrolling outside Bria, Central African republic. The U.N. humanitarian agency said the unprecedented violence emptied Bria of its population, sending an “uninterrupted stream” of residents toward makeshift camps.The largest has been set up near the local U.N. base, swelling to over 25,000 people in just two days. (AP Photo/Cassandra Vinograd)

IL RUOLO DEI MUSULMANI. Parte della popolazione musulmana del paese, circa il 15 per cento del totale, ha appoggiato i Seleka, approfittando della situazione per prendersi rivincite personali o arricchirsi. Le violenze contro i cristiani si sono susseguite senza sosta per otto mesi, fino a quando, nell’estate del 2013, si sono formati dei gruppi di auto-difesa animisti e cristiani, gli anti-balaka, “antidoto” in sango, che hanno sferrato attacchi violentissimi contro la popolazione musulmana per vendicarsi e ristabilire la normalità. Dopo i massacri di fine 2013 e inizio 2014 la situazione è parzialmente migliorata, un nuovo governo è stato eletto, molte zone si sono riappacificate ma la coalizione Seleka, che si è sciolta in tante milizie, ha ancora il controllo di oltre il 60 per cento del paese.

«L’IMAM È MORTO DI FIANCO A ME». Qui a Bangassou, racconta monsignor Aguirre, «la gente ha sofferto immensamente l’arrivo dei Seleka. Qui il sentimento anti-musulmano è molto forte e ora questi anti-balaka hanno sete di vendetta e vogliono vendicarsi contro i civili musulmani, perché li identificano con i Seleka». Quando il 14 maggio centinaia di miliziani sono entrati in città, la Minusca ha consigliato ai musulmani di radunarsi nella moschea locale. Peccato che dopo poche ore, i soldati Onu siano scappati lasciando i musulmani alla mercé degli anti-balaka. Molti sono stati massacrati. Quando il vescovo Aguirre è intervenuto in loro difesa rischiando la vita, l’imam è uscito dalla moschea per unirsi a lui ma è stato assassinato immediatamente. «È morto di fianco a me e nonostante mi gridassero di non toccarlo, mi sono subito adoperato per portare via il suo corpo e dargli una degna sepoltura». L’intervento del vescovo, insieme al successivo arrivo dei soldati Onu di nazionalità portoghese, ha salvato la vita a migliaia di musulmani, che sono stati trasferiti nelle strutture cattoliche. «Ma per due giorni i musulmani sono rimasti nella moschea, vivi e morti insieme, terrorizzati».

Central African Republic Abandonned Town

L’OPERA DEL VESCOVO. Se monsignor Aguirre non è stato ammazzato quel giorno davanti alla moschea, ipotizza, «è perché questi criminali mi conoscono e mi rispettano per quello che ho fatto qui. È più di un mese infatti che cerco di convincerli a deporre le armi: li ho incontrati più volte, ho spiegato che con la guerra non si guadagna niente, che con la pace si può migliorare tutto ma non mi ascoltano. Mi rispondono che non capisco niente e che “ora è arrivato il nostro turno di uccidere”. Vogliono vendetta».
Ora i cristiani si prendono cura dei musulmani al meglio delle loro possibilità. C’è da dare da mangiare a tutti e fortunatamente molti musulmani sono scappati con dei beni e le ong aiutano. Ma la situazione resta drammatica: «Che cosa succederà domani? Non lo sappiamo. Dove andranno queste persone sfollate? Non lo sappiamo. Hanno perso tutto: i loro negozi sono stati razziati, le loro case distrutte. Chi ci aiuterà? Non lo sappiamo». Non solo i rifugiati rischiano la vita, «anche noi siamo molto vulnerabili e siamo in pericolo perché abbiamo accettato di aiutare i musulmani e questo agli anti-balaka non è piaciuto», continua il vescovo. «Però non sta a noi proteggerli. È il governo che deve trovare una soluzione, insieme all’Onu e magari alle Ong. Adesso si deve muovere la politica».

SCONTRO FOMENTATO DALLA POLITICA. Monsignor Aguirre è convinto che nella sua città non si stia consumando una guerra di religione, ma uno scontro settario fomentato dalla politica: «C’è qualcuno all’estero che paga queste persone per combattere, c’è qualcuno che vuole prendere il controllo del territorio per sfruttare le sue ricchissime risorse e farne un feudo». La città, infatti, si trova nel sud del paese e si affaccia sul fiume Mbomou, limite naturale che separa il Centrafrica dalla Repubblica democratica del Congo, ed è un luogo strategico per condurre i traffici illeciti che si svolgono lungo il confine.

«ACCOGLIERE TUTTI È LA MIA MISSIONE». La determinazione e il coraggio con cui monsignor Aguirre ha difeso i musulmani sono incredibili. Il vescovo è un missionario spagnolo appartenente all’ordine dei comboniani. È in Centrafrica da 37 anni e da 20 è stato ordinato vescovo di Bangassou. Non solo la sua vita potrebbe essere presa da un anti-balaka in ogni momento, ma con tre infarti già subiti e nove stent applicati la guerra non è esattamente la situazione più indicata per il suo fisico. «Questo non è il posto migliore per me, non dovrei trovarmi qui», ammette il vescovo. «Ma io sono un comboniano e devo seguire il mio carisma». Quale? «Accogliere tutti, cristiani o musulmani non fa differenza, stare al fianco dei più piccoli, i più poveri, quelli schiacciati, coloro che non hanno voce. Noi afferriamo ogni mano che si protende verso di noi e aiutiamo tutti. Questa è la nostra vocazione cristiana».

@LeoneGrotti

Foto Ansa/Ap

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