
Cento anni di Milite Ignoto che «tutto sopportò e tutto vinse»

Esattamente il 4 novembre di 100 anni fa, il corpo del Milite Ignoto, simbolo di tutte le seicentomila vite perse nella Prima Guerra mondiale, veniva tumulato nell’Altare della Patria. Era partito quattro giorni prima, il 28 ottobre 1921 dalla Basilica di Aquileia, dove una donna, Maria Bergamas, in rappresentanza di tutte le madri italiane che avevano perso un figlio nella Grande Guerra, aveva scelto tra undici bare allineate, quella del soldato sconosciuto da portare a Roma. La proposta era stata lanciata dal colonnello d’aviazione Giulio Douhet, a tre anni dalla fine della guerra, sulla scia di quel che avevano già fatto in Francia e Germania.
«Al soldato il sommo onore»
Queste le parole di Douhet, scritte con un pathos che scosse e preparò all’operazione: «Tutto sopportò e vinse il nostro soldato. Tutto. Dall’ingiuria gratuita dei politicanti e dei giornalastri che sin dal principio cominciarono a meravigliarsi del suo valore, quasi che gli italiani fossero dei pusillanimi, alla calunnia feroce diramata per il mondo a scarico di una terribile responsabilità. Tutto sopportò e tutto vinse, da solo, nonostante. Perciò al soldato bisogna conferire il sommo onore, quello cui nessuno dei suoi condottieri può aspirare, neppure nei suoi più folli sogni di ambizione. Nel Pantheon deve trovare la sua degna tomba alla stessa altezza dei Re e del Genio».
Quello del colonnello Giulio Douhet era un evidente riferimento al bollettino di guerra steso dal generale Cadorna dopo Caporetto. Questi, infatti, lungi dal fare autocritica sugli errori di strategia commessi o sulle sue circolari, ossessive e vessatorie, mirate a moltiplicare le punizioni nei confronti dei soldati, li incolpava di tradimento e scarsa combattività (il Capo di Stato maggiore arrivò a tacciare di «viltà» alcuni reparti che si sarebbero rifiutati di combattere «preferendo all’onore e alla morte l’onta della resa»).
Mater dolorosa
Il colonnello Douhet fu ascoltato, la sua idea divenne legge l’11 agosto del 1921. Il Parlamento cambiò solo il luogo della sepoltura: dal Pantheon all’Altare della Patria. Il viaggio in treno della salma da Aquileia alla basilica romana di Santa Maria degli Angeli prima, e al Vittoriano poi, è stato uno degli eventi più struggenti e simbolici della nostra storia contemporanea. Un momento unificante, con gli italiani edificati e accumunati da un medesimo sentire, fondato su dolore, pietà, speranza, preghiera. Un popolo che elaborava il lutto insieme a Maria Bergamas, diventata la mater dolorosa di tutti i caduti.
Molte sono state le celebrazioni, compresi momenti di alta televisione, che in questi giorni hanno ricordato l’epopea del soldato senza nome, quasi a desiderare di rivivere, in un presente così conflittuale, quella presa di coscienza collettiva, quella catarsi che ha visto otto milioni di italiani inginocchiati sui binari al passaggio del treno. Il TG2 dossier sul Milite Ignoto, curato dal giornalista Andrea Romoli e andato in onda sabato 30 ottobre, ha fatto registrare ascolti lusinghieri, e ad aprire e chiudere lo Speciale (tra video d’epoca, voci di storici, giornalisti, familiari dei protagonisti) la Rai ha fortemente voluto il cantautore e scrittore Massimo Bubola, che ha da tempo intrapreso un appassionante percorso di approfondimento sulla storia della Grande Guerra e del Milite Ignoto in particolare.
La Ballata senza nome di Massimo Bubola
L’ultimo romanzo di Bubola, Ballata senza nome (Frassinelli, 2017) ha cercato di «restituire un nome a chi nella Grande guerra aveva perso anche quello». «Dal Friuli a Roma – afferma l’autore -, quel soldato, posto su un treno scoperto procedente a 15 all’ora, verrà acclamato da 8 milioni di persone: non successe mai più che l’Italia omaggiasse così un suo figlio. È uno dei pochi avvenimenti che hanno contribuito a unificare il nostro paese sulla pietà per un ragazzo morto senza croce, diventato il fratello, il marito e il padre di tutti».
Gli storici hanno stimato in circa 4 miliardi i «pezzi» postali circolati tra il fronte di guerra e il fronte interno (le poste gratuite erano una forma di risarcimento all’orrore della guerra). Studiando centinaia di lettere, Massimo Bubola è riuscito a squadernare (nel libro come nelle sua canzoni) valori, aspettative e sogni di quei giovani soldati, tanto da tracciarne una sorta di identikit. «Erano per la gran parte contadini timorati di Dio – riferisce il cantautore –, rispettosi delle persone e delle cose. Catapultati in pochi giorni dal lavoro dei campi alle trincee, senza nessuna idea di cosa potesse essere la guerra, perché il cinema non c’era ancora, come pochi erano anche i giornali». Per il veronese Bubola (due album scritti con Fabrizio De André), «trovarsi in mezzo ai gas nervini, o alle bombe dei mortai capaci di scavare voragini profonde cinque metri, dover sgozzare dei cristiani, contadini come loro, fu un vero shock collettivo, da cui non si ripresero mai, neanche dopo anni».
La scelta di Maria, il film
Questa sera, alle 21.25, Rai1 trasmetterà La scelta di Maria, film del regista Francesco Miccichè, prodotto Anele, società di produzione audiovisiva, in collaborazione con Rai Cinema, Fondazione Aquileia e Istituto Luce-Cinecittà. Presentato lo scorso 24 ottobre alla Festa del Cinema di Roma, il film celebra i 100 anni dalla tumulazione del Milite Ignoto narrando le vicende di Maria Bergamas, contadina di Gradisca d’Isonzo (nel film interpretata dalla brava Sonia Bergamasco) e madre di uno dei fanti dispersi sul fronte, alla quale spettò l’onere e l’onore di scegliere, tra undici salme di soldati non identificati, quella del Milite Ignoto. Per Francesco Miccichè si tratta di «una storia poco conosciuta. L’Italia ha dimenticato la rielaborazione del lutto nazionale che avvenne con il viaggio di questo soldato da Aquileia a Roma». «Oggi siamo in un momento simile – continua il regista del docu-film La scelta di Maria –, abbiamo avuto un lutto molto importante, il Covid, per cui quello del Milite Ignoto è un esempio di rinascita». Sulla stessa scia il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, per il quale «ricordare oggi il Milite Ignoto significa anche celebrare un paese che vuole riprendersi dall’emergenza sanitaria, da tanti momenti di dolore. Significa riprendersi insieme il nostro futuro».
“L’appartenenza” secondo Veneziani
Pur tenendosi a distanza dai rimandi più o meno retorici alla pandemia, Marcello Veneziani conferma che «con il Milite Ignoto il popolo italiano si sentì nazione. Non c’era riuscito col risorgimento, né con l’interventismo – che rimasero fenomeni elitari – ma il soldato senza nome, che poteva essere chiunque, riuscì a rappresentare la coscienza nazionale come mai era accaduto». «Il Milite Ignoto – continua Veneziani – ci insegna che non c’è coesione nazionale senza il riconoscimento di un comune sacrificio, e che l’appartenenza non è solo un fatto gratuito o sportivo ma è un evento che, purtroppo, attraversa la vita e anche la tragedia degli uomini». Per il pensatore pugliese, quel feretro visitato ogni anno da migliaia di persone «ci aiuta a capire che non si può pensare ad un’identità nazionale partendo solo dalle sue punte più alte: occorre coinvolgere la gente comune. La memoria storica riveste un ruolo importante non solo per l’identità e per l’appartenenza ma anche per la dignità di un popolo e dei suoi singoli cittadini».
Arrivo del Milite Ignoto alla stazione di Termini, oggi. pic.twitter.com/s0tIuLlk4t
— Guido Crosetto (@GuidoCrosetto) November 2, 2021
Da 100 anni, nel cuore di Roma, arde la fiamma del Milite Ignoto, «a cui – attesta Andrea Romoli – nessun nome appartiene perché è suo il nome di ogni figlio perduto d’Italia». Per coloro che hanno compreso a fondo il suo messaggio, e quello della sua “madre dolorosa”, la corona di fiori con cui oggi gli renderà omaggio il presidente della Repubblica avrà un sapore epico.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!