
Lettere al direttore
Premio al commento più scemo: il patriarcato è colpa del cristianesimo

Caro direttore, esco depresso dopo aver assistito per una settimana da deprimenti talk televisivi (non se ne è salvato mezzo) sulla morte violenta di Giulia. Non tanto dagli interventi sconclusionati (eufemismo) di chi partecipava ma da una mancanza di sintesi e di giudizio di chi il talk lo conduceva. Posso raccontarti due esempi? Su La7, programma “L’aria che tira”: un intervento abbastanza vergognoso del “filosofo” Galimberti che non si stupiva degli effetti negativi del patriarcato sulla cultura occidentale impregnata di cristianesimo dove la Madonna non è altro che uno “strumento” per far nascere Gesù, che poi nella sua vita parlerà solo del suo rapporto col Padre. Una affermazione fatta passare così, senza colpo ferire, come fosse un pensiero intellettuale di rara genialità. Sempre su La7, nel programma serale “Piazza pulita” dove un intervento dello psicologo Crepet sull’audio WhatsApp di aiuto fatto da Giulia agli amici, centrava il dramma della solitudine e della mancata solidarietà di chi riceveva il messaggio confermando la non capacità di empatia e comunicazione delle giovani generazioni, veniva poi mandato in vacca dal conduttore che sotterrava le drammatiche domande di Crepet con argomenti politici. Un livello di coscienza umana da scavare a fondo per trovarne traccia! Vorrei, quindi, segnalarti un contributo dal Foglio di Lucetta Scaraffia (ripreso qualche giorno dopo dal direttore Cerasa) che magistralmente punta il dito sul vero focus del problema.
Carlo Candiani via email
Caro Carlo, dici bene, il livello della discussione è infimo e Galimberti vince il premio del commento più balordo. L’articolo di Scaraffia dice molto cose giuste (soprattutto quando scrive che «i rapporti fra donne e uomini si imparano soprattutto dalle esperienze di vita, e in primo luogo dagli esempi che si hanno all’interno della famiglia»). Però, anche lei fa un errore, secondo me. Perché anche lei legge la questione del rapporto uomo-donna secondo il criterio del “potere” (col primo che vessa la seconda). Ma quella cosa che una volta chiamavamo “amore”, cioè il sentimento che ci permette di riconoscere l’altro come essenziale per il nostro destino, che fine ha fatto? Cosa ci è successo per trasformare ogni hospes in hostis, ogni ospite in nemico? Se il problema è il “potere”, la diffidenza sarà il criterio regolatore dei rapporti. Se il problema è l’amore al destino, ogni rapporto sarà all’insegna dell’accoglienza.
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Caro direttore, una mia amica, insegnante in una scuola superiore, mi ha raccontato questo episodio.
Lunedì scorso, a scuola, si è tenuto il minuto di silenzio contro la terribile morte di Giulia, gesto avvenuto nel visibile imbarazzo delle studentesse e degli studenti. Dopo il silenzio, ha tenuto una lezione una psicologa, la quale ha illustrato una sorta di “termometro” che indica la progressiva febbre in un maschio, fino a portarlo ad atti di violenza, se non addirittura di uccisione, della partner. Tale illustrazione ha creato nelle ragazze un evidente turbamento. Una di loro si è messa a piangere con abbondanti lacrime. La mia amica le si è avvicinata e si è sentita dire: “ma allora, se è così, io non esco più di casa”. Evidentemente l’assurda lezione ascoltata in classe aveva creato in lei una pesante sfiducia verso tutto e tutti. La professoressa di sostegno ha avuto il coraggio di dirle il vero significato di ogni rapporto, che è un dono di Dio, come è un dono per quella ragazza la presenza dei suoi genitori che sono insieme da tanti anni. A questo punto, la ragazza ha ripreso a sorridere.
Questo drammatico episodio mi ha fatto capire due cose. La prima è che questa assurda campagna seguita al barbaro omicidio di Giulia, condotta senza ritegno e dignità, dai giornale, dai TG, dai talk show, dai sedicenti intellettuali, dai propagatori di insensate ideologie e da politici tutti tesi ad arrivare primi a dire la loro (spesso fuori senso) stanno creando, nell’indifferenza di tutti, un clima di sfiducia e di pessimismo che sta creando le prime e più gravi vittime proprio tra i giovani, vittime di battaglie ideologiche che non tengono conto della loro sensibilità. All’origine dei fatti drammatici di cui tutti oggi parlano c’è, evidentemente, non il fantomatico “patriarcato” (che nessuno dice che cosa realmente sia), ma una grave carenza educativa, causata, per lo più, dalle perniciose dottrine di quegli stessi che oggi si stracciano le vesti. Ma anche l’inconsulta reazione di fronte a questi terribili fatti finisce con l’aggravare la situazione, suggerendo gesti che nulla hanno di educativo e che fanno permanere i giovani in un mondo senza senso. E, quindi, disperato.
La seconda considerazione è questa. Se il problema che abbiamo è, innanzitutto, educativo (il che non ne esclude la complessità), allora dobbiamo investire ogni energia in questa direzione e mi pare che, allora, dovrebbe farsi sentire energicamente e decisamente quella agenzia educativa che è costituita dalle comunità cristiane, che, invece, mi sembrano molto silenti. Nelle voci di questi giorni, non ho sentito l’unica che avrebbe pieno diritto e divina responsabilità di intervenire. La Chiesa, infatti, per il mandato ricevuto e per la sua gloriosa storia (checché se ne dica è gloriosa), sa quale è “il segreto della vita” e dell’amore; conosce ed è cosciente di quale sia il vertice di male ma anche quello di bene che alberga in ogni uomo e quindi potrebbe indicare autorevolmente la strada non per risolvere tutti i problemi, ma per dare un senso a tutto ed indicare la via di una redenzione. Ed allora, perché le comunità cristiane non si rimettono a parlare del “peccato originale”, che costituisce la vera spiegazione di ogni male che viene commesso in questo mondo “pieno di lacrime” e che giustifica la ragione profonda del male che c’è nel mondo intero (che non è la banalità del “patriarcato”)? Rimeditando sul peccato originale, si ripartirebbe dal punto giusto, che non sta nelle analisi sociologiche. Perché, allora, la Chiesa non entra nell’attuale assurdo dibattito, annunciando che c’è una possibilità di ripresa per tutti, perché la morte non è l’ultima parola che noi possiamo pronunciare, dato che il cristianesimo poggia su di una roccia che ha vinto la morte e che, quindi, sa trovare le strade per far vincere la vita e, con essa, impostare rapporti umani e positivi. Perché la Chiesa, che è così prodiga di parole su alcuni temi, tace in questo momento in Italia e non ha il coraggio di indicare la possibilità positiva di una ripresa per tutti, anche per la società civile? Perché ha vergogna di pronunciare alcune parole “religiose” che diano speranza, invece di stare in silenzio a prendere atto di misure che sa non essere all’altezza dei problemi? Perché stare in silenzio di fronte ad un madornale problema educativo? Alcune parole “religiose” pronunciate in quella scuola hanno fatto tornare il sorriso sul volto disperato di una ragazza piangente: perché non stare a questo metodo su vasta scala? Si ha vergogna della potenza costruttiva di Cristo? La voce apertamente cristiana è l’unica che rimane assente in questo momento. Da fedele laico di strada non riesco a capire.
In questo senso, ringrazio quelle poche voci, ma chiare e salde, che hanno detto e scritto cose diverse da quelle dettate dal pensiero unico tragicamente dominante: penso alle interviste di Vittoria Sanese e di Davide Rondoni ed agli scritti di Robi Ronza, Fabio Cavallari, Giovanni Cominelli, Luca Ricolfi e Andrea Simoncini. Ci sono senz’altro anche altre voci che non ho sentito. Li ringrazio perché sono il segno, anche se forse minoritario, che il barlume della ragione e della fede non si è ancora spento malgrado la possente macchina da guerra messa in atto da certa alta finanza contro il cristianesimo e la famiglia. Sono il segno che prima o poi “l’uomo comune” (Chesterton) e “l’esperienza elementare” (don Giussani) torneranno a indicare la giusta strada a questo pazzo mondo.
Peppino Zola Milano
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