
C’è una Sacritalia, meravigliosa e nascosta, che Rondoni ci aiuta a scoprire

Dopo essere stato presentato al Maxxi (Museo nazionale delle arti del XXI secolo) di Roma, il 21 dicembre è andato in onda su Rai2 il documentario «Sacritalia» di Davide Rondoni, regia di Francesco Castellani. È disponibile su Raiplay per chiunque voglia mettersi in viaggio insieme a un poeta che cerca i segni del sacro attraversando la nostra penisola.
«Il sacro non è un discorso», questa l’ipotesi di partenza di Rondoni che, come già fece Dante, si mette in mezzo al cammino degli uomini e va a osservarli, ascoltarli e poi annota, prende atto che l’Italia è piena di tracce che parlano di permanenza nel tempo delle istantanee e dell’istintività.
Segni ne abbiamo ovunque, eccediamo di comunicazioni che rimandano ad altro, quasi sempre sono messaggi a scopo di profitto o manipolazione ideologica. Ma sono anche urli. «Ave Maria piena di rabbia» è la scritta che deturpa un muro di città e su cui indugia la telecamera all’inizio del documentario. Bestemmia o, in fondo, balbettio di preghiera? Vieni a salvarci dalla corrosione, da un’indigestione che si fa vomito.
Il morso e lo zoccolo
«Lo scontento ci mastica lentamente» annota Rondoni attraversando metropoli in fermento, affamate ancora di felicità. La semantica del mordere, masticare, azzannare è il campo da gioco preferito del consumismo, quella smania di dare in pasto a stomaco e cuore abbuffate di roba saporita al primo assaggio e vuota di nutrimento. Ecco perché «sacro» è il contrario di «consumo». Non lo afferma il dizionario ma la vita, quella attraversata da una tradizione che da sempre insegna che Amore è il vero contrario di Morte.
«Al morso del consumismo puoi opporre la permanenza dei segni del sacro», stando al passo di quest’ipotesi Rondoni cammina dalla Toscana alla sua Romagna, dall’Abruzzo alla Puglia trovando luoghi di custodia del sacro che sono fuori dai trend dei social e dalle discussioni dei talk show, eppure pieni di gente. A differenza del consumismo che venera il singolo, il sacro richiama l’uomo a forme di compagnia. Ci sono posti laterali, spostati rispetto alla visibilità del mondo dove tanti si raccolgono.
È lo zoccolo duro di un’evidenza su cui anche J. R. R. Tolkien richiamò l’attenzione: «Perché le cose più importanti sono sempre nascoste agli occhi dei contemporanei, e i semi di quello che sarà stanno germogliando silenziosamente nell’oscurità di qualche angolo nascosto, mentre tutti noi guardiamo a Stalin o Hitler, o leggiamo articoli illustrati» (Lettera al figlio Christopher del 22 agosto 1944). Chiedendo a Tolkien il permesso di una licenza poetica d’attualità, possiamo sostituire a Stalin e Hitler i dittatori del nostro tempo, quelli che forzano sguardi e riflettori a concentrarsi sulle follie di visioni altisonanti e mortifere. È altrove che permane un’inesausta fioritura di speranza.
Il collare per fare penitenza
Alla Pieve di Romena in Toscana c’è un giardino di trecento mandorli, ciascuno piantato da genitori che hanno perso un figlio. Quello con don Gigi, fondatore della Fraternità di Romena, è il primo incontro nel viaggio di Rondoni e mette al centro del discorso proprio l’ipotesi di un seme che germoglia in silenzio. «Il mandorlo è il primo albero a fiorire e l’ultimo a dare frutti» spiega don Gigi. Ai genitori che vivono il lutto crudele della perdita di un figlio consegna un’ipotesi di cammino: in attesa del frutto di incontrarli di nuovo in cielo, cominciate a fiorire qui.
Il Paradiso non c’è in terra, ma tanti riti e tradizioni radicati nella nostra terra parlano la lingua – anche paradossale – di un inesausto abbraccio divino all’uomo. Collari e serpenti, sono immagini che facilmente rimandano alla schiavitù e al male. Invece possono essere segni di una premura che scende da cielo ad avvolgere la persona per preservarla dal buio.
A Sarsina, in provincia di Cesena, Rondoni visita la chiesa di San Vicinio dove è custodito un collare di ferro che da 1300 anni libera dal male. Ai pellegrini viene imposto il collare che il santo usava fare penitenza in segno di devozione e liberazione. Sono tantissime le anime dilaniate dalla possessione diabolica, indossare il collare è una benedizione che dice della robustezza amabile di Dio: appartieni a me, il maligno non prevarrà.
L’arcangelo con la spada in mano
A Cocullo in Abruzzo il serpente è segno di guarigione ed è associato a san Domenico abate, la cui statua una volta all’anno è portata in processione avvolta da serpenti di cui, a partire da marzo, i serpari vanno in cerca sulle montagne. I fedeli si lasciano avvolgere dal rettile, più flessuoso di un collare e che associato al santo diventa segno di un abbraccio che si modella sulla figura di ciascuno per preservare la salute. L’Italia parla la lingua di questi segni con una capillarità molto più permeante e permanente di quella delle fanfaronate mediatiche.
E il viaggio del poeta non può che concludersi in un luogo tra i più laterali possibili, quasi nascosto sottoterra. A Monte Sant’Angelo, in Puglia, per visitare il santuario di San Michele Arcangelo bisogna scendere molte scale. La creatura celeste per eccellenza è venerata in una cripta che sta sotto la roccia. Inesorabilmente piantato dentro il mondo, Michele è un arcangelo con la spada in mano. Di fronte a lui Rondoni si chiede: «Quanti angeli hanno combattuto per me?».
Domanda davvero sacra, perché mette al centro l’uomo come oggetto di una preferenza divina. Lì dove germoglia questo vagito di coscienza si frantuma la menzogna dell’uomo consumatore, cliente, schiavo di idoli affamati.
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