
Stupiti dal caso Coppola? Finché i pm avranno potere assoluto non ci sarà giustizia per le loro prede
In questo numero un magistrato milanese conferma le buone ragioni di quanti in questi anni si sono battuti per l’amnistia e propone una riforma del nostro sistema penitenziario. Ne discutiamo in queste pagine. Ma cosa c’è a monte? C’è una giustizia che non funziona. Due anni in prigione, 104 giorni di isolamento, distruzione della persona e del suo patrimonio. Dopo di che, assolto con formula piena «perché il fatto non sussiste». Danilo Coppola non è l’ultimo caso, né un caso isolato. Di gente che finisce in “carcere preventivo” col marchio dell’infamia e viene poi riabilitata per sentenza ce n’è tanta, troppa, in Italia. Ne consegue che il problema sono i giudici? No, ne consegue che il problema è lo strapotere dei pm. I quali, come si vede nei tanti casi Coppola e nella giustizia che prende di mira le aziende (vedi caso Ilva), possono annichilire la vita delle persone e fare terra bruciata intorno a interi comparti produttivi. Non stiamo parlando del conflitto tra giustizia e politica. Stiamo parlando della collocazione istituzionale del Pubblico Ministero.
Perché in Italia un pm non è sottoposto ad alcun controllo, neppure gerarchico, e può seguire priorità di indagine col fine di dettare a governo, parlamento e opinione pubblica un certo tipo di agenda politica? Perché vige un sistema di pratica discrezionalità e il principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale può risolversi facilmente nell’indagine autoprodotta in procura e amministrata in collaborazione con una testata giornalistica? Perché questa anomalia di magistrati che si “scelgono” le inchieste e poi, grazie alla notorietà acquisita sulla scena mediatica, passano all’incasso politico diventando personalità del jet-set elettorale, come, tra gli altri, è avvenuto nei casi Di Pietro, De Magistris e Ingroia?
Queste cose succedono in Italia, e solo in Italia, perché con la riforma Vassalli del 1989 il Pubblico Ministero ha assunto un duplice e contraddittorio ruolo: il ruolo di “parte” in processo e, insieme, il ruolo di titolare dell’attività investigativa. Non più organo rigorosamente istruttorio, il pm svolge indagini al pari e col totale supporto della polizia giudiziaria. Ma l’attività investigativa, diversamente da quella istruttoria, è per sua stessa natura un’attività tipicamente politico-amministrativa. Tant’è che la polizia giudiziaria dipende organicamente dal governo nelle sue diverse articolazioni (Carabinieri-ministero della Difesa; Polizia-ministero degli Interni; Guardia di Finanza-ministero dell’Economia e delle Finanze, eccetera). Il Pubblico Ministero, invece, pur essendo organo investigativo, è considerato non solo del tutto autonomo e indipendente dal potere politico-istituzionale, ma anche organo prettamente giurisdizionale, magistratura al pari dei collegi giudicanti.
Ma così non è: la natura dell’attività dell’uno e degli altri è strutturalmente diversa e imporrebbe, come già aveva intuito un giudice come Giovanni Falcone, una diversificazione di tali organi anche da un punto di vista istituzionale, separandone le carriere e la disciplina formativa. Ecco perché la separazione delle carriere tra pm e giudici è l’indispensabile premessa di qualunque riforma della giustizia.
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