
«Usciremo dall’alluvione grazie agli amici. Casa Novella è fatta di carne, non di mattoni»

Si trattava di entrare nella casa d’accoglienza fradicia e gonfia fin dalle fondamenta col piede giusto, anche se il fango fuori dalla porta arrivava alle ginocchia e l’acqua in cantina lambiva il soffitto: «Castel Bolognese sprofondava nel Senio e una fiumana di amici ci inondava di offerte di aiuto per mettere in salvo la nostra opera. Del resto Novella la chiamava così, “una casa di carne, non di mattoni”», ricorda a Tempi Francesco Biondini poco dopo essersi avventurato oltre quel dedalo melmoso di strade che porta alle case di accoglienza san Giuseppe e santa Rita e alla casa La Pietra.
A dirla tutta all’inizio il presidente della Cooperativa Sociale Educare Insieme – che gestisce le realtà educative e di accoglienza di minori e mamme in difficoltà tra Castel Bolognese, Lugo e Faenza nate dalla testimonianza di Novella e Giuliano Scardovi – sperava in un eccesso di zelo da parte del Comune: «Lunedì scorso ci hanno chiesto di evacuare la zona. Nulla di strano: la prima piena, all’inizio di maggio, quella che avrebbero ribattezzato “la piena secolare” senza immaginare cosa sarebbe arrivato dopo, aveva allagato il giardino, il cortile, il centro educativo diurno (il Fienile, ndr) ma nessuno aveva abbandonato Casa Novella».
La prima piena, poi l’ordine di evacuare Casa Novella
Era andata liscia: armati di altoparlanti i vigili del fuoco avevano invitato la gente di quel piccolo fazzoletto di Castel Bolognese a raggiungere luoghi più sicuri, ma era l’una di notte, spostare i ragazzi in difficoltà psicologica come i loro era fuori discussione. La brava Adele Tellarini, direttrice di Casa Novella, aveva dunque vegliato su mamme, ragazzi e bambini fino al mattino, e poi durante la pioggia e la piena, finché il cielo si era aperto e dal vialetto d’ingresso erano sbucati decine di amici e volontari con secchi, vanghe, pompe e spazzoloni. «Lavorammo per ore per mettere in sicurezza le nostre strutture, anche se le case erano vivaddio rimaste all’asciutto. Le scuole erano aperte, le strade agibili. Mamme e ragazzi stessi avevano partecipato ripulendo fino all’ultimo giocattolo. Eravamo ancora grati e commossi pur con i piedi a mollo nel fango quando il Comune diramò l’ordine di abbandonare le case. Ci aspettavamo un po’ di allarme, non certo di finire sott’acqua».
Biondini e volontari avevano allora arrangiato pile di sacchi di sabbia e plastica dove l’alluvione si era fatta strada pochi giorni prima, avevano portato al piano superiore lavatrici e asciugatrici, macchinari e computer, scollegato gli impianti, gas e luce, alzato oltre il metro ogni singolo arredo si trovasse in casa e cantina, parcheggiato le auto su un’altura. E avvisato le oltre cento famiglie che gravitano attorno alle opere di Casa Novella: centoquaranta, per la precisione, tra i giovani adulti con disagio psicologico seguiti dalla cooperativa nel centro socio-occupazionale, i giovani con disagio psichiatrico del centro socio-riabilitativo “La Maccolina” a Tebano di Faenza, e i minori seguiti nei centri diurni presenti sul territorio o al domicilio all’interno nella Romagna faentina. Quanto agli ospiti di Casa san Giuseppe e santa Rita e di Casa La Pietra, «volontari e amici si erano offerti con slancio di ospitare le persone accolte: quattro mamme coi loro sette bambini, sette minori, tre maggiorenni. Ventidue persone contando anche Adele: non era scontato trovare un posto per tutti. Ma qualcosa in questi 27 anni dovevamo aver ben seminato se nel giro di poche ore Casa Novella si era fatta deserta e silenziosa. Che altro potevamo fare se non aspettare che l’allarme rientrasse? Così pensavo mentre rincasavo a Imola».
La forza del Senio e quella degli amici
Per tutta la giornata successiva Biondini aveva lavorato a Faenza scrutando ottimista il cielo asciutto, assicurandosi che Adele e i ragazzi stessero bene. Poi, l’acqua aveva iniziato a cadere, il meteo a peggiorare. «Castel Bolognese conta diecimila abitanti, lavoriamo moltissimo con l’amministrazione e non ci mancavano gli aggiornamenti sullo stato dei fiumi e la tenuta della collina. Non pensavamo che l’acqua potesse arrivare fin da noi». All’inizio era “caduta” Faenza e dopo Faenza i laboratori a Barbiano di Cotignola («non ho ancora avuto modo di fare un sopralluogo, ma da quello che ho capito i danni sarebbero importanti», spiega Biondini). Poi il Senio aveva rotto gli argini e si era riversato a Castello, fino e oltre la via Emilia: Biondini lo aveva seguito in tv e al telefono con amici cui bastava un’occhiata dal balcone per dissuaderlo dal mettersi in strada. «Poi le chiamate dei volontari e degli amici alluvionati si erano diradate: era mancata la luce, l’elettricità, i volontari cercavano di conservare la carica dei telefoni».
Non si erano fermate invece le offerte di aiuto da tutta Italia: c’era chi si era imbattuto in Casa Novella dieci anni prima e chiamava per sapere cosa doveva fare, chi inviava bonifici, chi radunava squadre pronte a sgomberare il fango e fare pulizia da Milano, Padova, Vicenza, Modena, «Francesco, dimmi solo quando e arriviamo con le idro-pompe». Anche per questo Biondini, giovedì mattina si era messo in strada, percorrendo l’unico tratto ancora libero per raggiungere le case d’accoglienza: «Lo dovevo a tutto questo popolo che offriva braccia, soldi, compagnia e soprattutto a chi stava peggio di noi, così da dividere gli aiuti. Non ero sopraffatto dalla desolazione, ma dall’amicizia quando sono arrivato a Castel Bolognese». Lo aveva accolto una marea di fango, una cantina che ribolliva di acqua e oggetti, il segno della piena fisso a 40 centimetri al piano terra, ma al primo piano tutto era asciutto e pulito, «mancava luce, acqua, gas, si trattava di ripulire tutto ma avremmo potuto riportare presto mamme e ragazzi a Casa Novella, l’unica casa che hanno al mondo».
Al buio con una mamma, i suoi bimbi e un’anziana sconosciuta
Ieri mattina è partita la prima spedizione per sgomberare il fango, preceduta da una pizzata la sera prima con volontari e colleghi di Biondini che si sono fatti carico di ospitare mamme, bimbi e ragazzi, «è stato commovente ascoltare i loro racconti. Una ragazza stremata ma felice era rimasta tre giorni al buio all’ultimo piano di una casa allagata con una mamma e i suoi due bambini piccoli senza giochi, libri, tv o dispositivi elettronici: la prima notte i vigili del fuoco l’avevano chiamata dal gommone chiedendole di ospitare anche una anziana signora del primo piano e così si era trovata a gestire un improbabile gruppetto di persone affaticate ma tutto sommato serene e contente di non essere sole. I ragazzi sono stati bravissimi, nessuno ha dato di matto. Sappiamo che è solo l’inizio: moltissime famiglie dei 140 tra minori e giovani che seguiamo ai centri diurni o ai laboratori artigianali ha perso casa, macchina, azienda. Gli amici di Lugo del centro autistici e i frati della parrocchia che ci ospita nei suoi locali nel faentino sono irraggiungibili. Dovremo ripartire da quello che è rimasto: il bisogno delle persone che ci sono state affidate. Dalla nostra casa fatta di carne, non di mattoni».
Come durante il Covid e i lutti degli amici che hanno lasciato sgomenti la compagnia di Casa Novella in questi anni, dopo la morte dei coniugi Scardovi: il segreto è non essere soli, «altrimenti davanti agli imprevisti la tentazione di aprire o chiudere una porta con rabbia e lasciare l’ultima parola alla sofferenza prenderà il sopravvento. Ma Casa Novella è fin dalla sua fondazione colma di grazia. Possiamo quantificare i danni ma misurare l’amicizia, che da sempre si fa presenza concreta spalancandoci all’abbraccio degli altri, è davvero l’unica e straordinaria impresa impossibile qui a Castel Bolognese».
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