Carta (straccia) Europea

Di Mario Mauro
18 Dicembre 2003
Dopo la Cig ci chiediamo: è questo il modo di operare? Dialogo non è mettersi d’accordo ma cercare la verità

«L’Europa sarà cristiana o non sarà». Una drammatica profezia quella contenuta nel titolo dell’Osservatore romano di pochi mesi orsono che faceva da eco ai ripetuti appelli di Giovanni Paolo II. All’indomani della chiusura anticipata della Cig, con il conseguente mancato accordo sulla Carta Costituzionale dell’Unione Europea, ci ritroviamo un po’ sorpresi a domandarci: e adesso come devono andare avanti le cose? Dopo tutti questi decenni d’Europa, dopo tutto questo parlare d’Europa, dopo tutti gli sforzi per fare l’Europa che hanno prodotto, almeno informalmente, molta più Europa di quello che una norma scritta può dire, dopo il lungo lavoro della Convenzione e dopo il fiume di parole spese, ci ritroviamo a chiederci che cosa non abbia funzionato, chi sono i colpevoli e se, nei violenti sconvolgimenti del nostro tempo, ci sia una identità dell’Europa che abbia un futuro e per la quale possiamo impegnarci con tutto noi stessi. Per i Padri dell’Unione Europea, Adenauer, Schumann, De Gasperi, dopo le devastazioni della Seconda guerra mondiale, era chiaro che un simile fondamento esiste e che consiste nell’eredità cristiana del nostro continente, divenuto tale per mezzo del cristianesimo. E con eredità cristiana non si dice appena e solo il tanto discusso inserimento o meno del richiamo alle radici cristiane nel preambolo della Carta Costituzionale, ma si dice di un metodo, di una “cifra” che anche a non volerla riconoscere ha, però, di fatto, costruito l’Europa, passo dopo passo, attraverso e nonostante sofferenze ed errori. Un metodo che ha alla base un modus operandi costruttivo e realistico, caratterizzato da un lavoro di confronto, serio e responsabile e, soprattutto, in vista di un bene per tutti.

La ricerca della verità
è sul concetto di dialogo che ci dobbiamo chiarire, però. Dialogare non vuol dire, semplicemente, fare un passo uno verso l’altro e mettersi d’accordo, perché se entrambi diciamo delle sciocchezze, facciamo un disastro. Quel disastro evitato a Bruxelles, con il cosiddetto fallimento della Cig che fallimento, a ben vedere, proprio non è stato. Se è vero che il dialogo ha come esito, spesso, un compromesso, dobbiamo anche avere chiaro che il compromesso tout court non può essere l’esito del dialogo. Dialogare fino in fondo, significa fare un passo avanti insieme verso la verità. La verità non ce la ho in tasca io, però, forse, neanche tu. E bisognerebbe avere il coraggio di interrogarsi su questo. La verità è un fatto fuori di noi che siamo chiamati insieme a svelare, è un fatto che coincide con il bene comune. E il bene comune non è la media di tutti gli interessi nazionali in gioco, il bene comune è l’affermazione di un ideale grande che può essere partecipato da tutti e ridotto da nessuno. In questi mesi di lavoro attorno alla bozza della Costituzione Europea non è stato tenuto conto del bene comune, ma sono alternativamente saliti sul piatto della bilancia i particolari interessi di ogni singola nazione fino a che la bilancia si è rotta, durante il vertice di Bruxelles, appunto e meno male. Vertice che ha visto il fallimento di questo metodo e la possibilità, quindi, dell’inizio di un lavoro serio e comunitario in vista del bene comune e del futuro di milioni di cittadini che hanno già scelto di chiamarsi europei.

Identità cercasi
L’Europa non vuole essere appena un’alleanza economica, ma vuole essere una Unione. Per diventare questo, veramente, ha assoluta necessità di una Carta costituzionale. Quella che non è passata non solo era insufficiente, ma sbagliata, proprio perché fondata su presupposti non adeguati a quello che si voleva fare: una unione di popoli e nazioni, non una semplice alleanza economica. L’Europa non è un continente pienamente afferrabile in termini geografici, ma, invece, è un concetto culturale e storico. Per arrivare ad una Carta Costituzionale in grado di restituire e garantire a tutti piena dignità, ma all’interno dell’orizzonte compatto e unito del bene comune, è necessario avere il coraggio di lavorare proprio sull’identità culturale europea, quella che le ha forgiato tutta la sua lunga storia e che ha fisionomia e caratteristiche ben precise e, a ben veder, facilmente riconoscibili dagli uomini ma, a quanto pare, non dalle istituzioni. Quell’identità che, in questi mesi, non è neanche stata presa in considerazione.
* Parlamentare europeo di Forza Italia

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