Caro Letta, si è cattolici sempre. Anche nel partito

Di Luca Del Pozzo
20 Luglio 2021
Fare della fede un affare di coscienza privata non è cattolico né adulto. E sul ddl Zan, e la politica come ricerca e difesa della verità, la Congregazione per la Dottrina della Fede aveva già detto tutto
Il segretario del Pd Enrico Letta

Caro direttore, ho letto e sottoscritto da cima a fondo l’intervento di Peppino Zola in merito alla linea che il segretario del Pd di Enrico Letta ha assunto sulla legge Zan. Le domande da cui Zola muove sono le stesse che in questi tempi travagliati agitano gli animi di moltissimi cattolici.

Approfitto allora della tua ospitalità per svolgere un paio di considerazioni che l’intervento di Zola mi ha stimolato. La prima riguarda il fatto che l’atteggiamento del cattolico Enrico Letta è solo l’ennesima dimostrazione dell’equivoco (ma sarebbe meglio dire errore) di fondo  – e su cui mai si insisterà abbastanza – che soggiace alla posizione del cattolicesimo “adulto” cosiddetto.

Letta e la fede come affare privato

L’equivoco (sulla cui genesi molto ci sarebbe da dire ma non è questa la sede) consiste nel fatto di ritenere la fede un qualcosa di ultimamente riconducibile ad un affare di coscienza, ad una cosa mia nel senso di “privata”, che riguarda me e il mio rapporto personale con Dio. Senza quindi – questo il punto che qui ci interessa – che essa abbia o possa avere una qualsivoglia ricaduta pubblica. Insomma il mio essere cattolico riguarda il foro interno, è una questione che attiene alla mia coscienza.

Complice una malintesa visione del rapporto Chiesa-mondo e, ad essa correlata, del concetto di autonomia delle realtà terrene, questa concezione “privatistica” del fatto religioso viene considerata dal mondo del cattolico “adulto” così sensibile alle sirene mondane, niente meno che garanzia di vero pluralismo e laicità.

Cattolici adulti? No, protestanti

Sarà allora il caso di ribadire una volta per tutte che tale concezione non corrisponde affatto ad una visione cattolica, nè adulta nè di altro tipo, trattandosi piuttosto di una visione protestante della fede. Non per nulla Augusto Del Noce vedeva proprio nella riduzione del fatto religioso ad affare di coscienza il segno del cedimento di tanta parte della cultura cattolica a quell’idea (non l’unica) di modernità che storicamente ha prevalso. Con la duplice conseguenza di una protestantizzazione di fatto del cattolicesimo, da un lato, e della continua ricerca di chiavi interpretative “altre” (laiche?) rispetto a quella cattolica per poter ottenere il lasciapassare culturale ed essere finalmente ammessi nel consesso dei moderni, in alcuni casi muovendo da un ingiustificato complesso di inferiorità.

La fede che si fa polis

Se all’opposto Letta&Co avessero chiaro che il cristianesimo è essenzialmente un evento storico e culmine di una Rivelazione che si è tradotta in una storia di salvezza, da ciò ne conseguirebbe che la fede non può non avere anche una traduzione politica. Politica, si badi, non nel senso teocratico del termine (per quello citofonare Islam) nè vagheggiando il ritorno di epoche passate all’insegna della cristianità o di improbabili alleanze tra Trono e Altare.

Traduzione politica della fede significa semplicemente una fede che si fa polis, mondo, storia. In ambito cattolico la dicotomia tra fede e vita, tra sacro e profano tipica delle religioni (cosa che il cristianesimo non è) è superata a favore di una unità: si è cattolici a casa, a scuola, al lavoro, ovunque e sempre. E sì, caro Letta, anche in parlamento. Oppure, tanto vale smetterla di dirsi cattolici. E qui vengo alla seconda considerazione, che riguarda da vicino stavolta l’atteggiamento della Chiesa nei confronti di quei politici che si dicono cattolici ma che alla prova dei fatti non lo sono.

Letta e la Nota della Santa Sede

La domanda che mi pongo è: fino a che punto la Chiesa può tollerare che un politico sedicente cattolico tradisca i princìpi e i valori del cattolicesimo cui dovrebbe ispirarsi, come nel caso di Enrico Letta e compagnia adulta? E dire che nel caso della legge Zan non vi potrebbe essere contrasto maggiore: basta mettere a confronto l’art. 1 – quello sull’identità di genere  – laddove afferma che ciò che conta è come uno si percepisce e non come uno è biologicamente, con quanto messo nero su bianco dalla Santa Sede nella Nota Verbale: «Ci sono espressioni della Sacra Scrittura e della tradizioni ecclesiastiche del magistero autentico del Papa e dei vescovi, che considerano la differenza sessuale, secondo una prospettiva antropologica che la Chiesa cattolica ritiene non disponibile perchè derivata dalla stessa Rivelazione divina». Più chiaro di così si muore.

Eppure il segretario del Pd non ne vuol sentir parlare di modificare anche solo una virgola del ddl in questione. Il che è oltremodo imbarazzante e disdicevole anche alla luce di un altro documento, la cui lettura ci sentiamo di consigliare vivamente a Letta e a quanti si atteggiano come lui su questa e altre vicende. Stiamo parlando ovviamente della Nota dottrinale della Congregazione della Dottrina della Fede del 24 novembre 2002 circa «alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica». Nota che pur essendo stata scritta quasi due decenni fa e in un contesto preciso resta straordinariamente attuale quanto ai principi affermati (d’altra parte, la verità non passa di moda).

Il cristiano «chiamato a dissentire»

Un primo punto che Letta&Co. dovrebbero ben meditare è il seguente:

«È oggi verificabile un certo relativismo culturale che offre evidenti segni di sé nella teorizzazione e difesa del pluralismo etico che sancisce la decadenza e la dissoluzione della ragione e dei princìpi della legge morale naturale. A seguito di questa tendenza non è inusuale, purtroppo, riscontrare in dichiarazioni pubbliche affermazioni in cui si sostiene che tale pluralismo etico è la condizione per la democrazia. Avviene così che, da una parte, i cittadini rivendicano per le proprie scelte morali la più completa autonomia mentre, dall’altra, i legislatori ritengono di rispettare tale libertà di scelta formulando leggi che prescindono dai princìpi dell’etica naturale per rimettersi alla sola condiscendenza verso certi orientamenti culturali o morali transitori, come se tutte le possibili concezioni della vita avessero uguale valore».

Tutto chiaro? Sì? Ok, andiamo avanti. Domanda: che deve fare un politico cattolico quando si trova innanzi a proposte che riflettono la concezione del pluralismo etico descritta nella Nota? Ecco la risposta: «Se il cristiano è tenuto ad “ammettere la legittima molteplicità e diversità delle opzioni temporali”, egli è ugualmente chiamato a dissentire da una concezione del pluralismo in chiave di relativismo morale, nociva per la stessa vita democratica, la quale ha bisogno di fondamenti veri e solidi, vale a dire, di princìpi etici che per la loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono “negoziabili”». Da qui un’altra domanda, stavolta direttamente al segretario del Pd: egregio, lei da cattolico ritiene che l’impianto culturale nonchè i singoli articoli della legge Zan riflettano una concezione relativista in ambito morale, e in quanto tale inaccettabile perché «nociva per la stessa vita democratica», sì o no? Nel frattempo che attendiamo una risposta, andiamo avanti.

La responsabilità del bene comune

Un altro punto importante toccato dalla Nota riguarda quanto dicevamo prima sulla fede e sulle esigenze che questa comporta:

«È necessario aggiungere che la coscienza cristiana ben formata non permette a nessuno di favorire con il proprio voto l’attuazione di un programma politico o di una singola legge in cui i contenuti fondamentali della fede e della morale siano sovvertiti dalla presentazione di proposte alternative o contrarie a tali contenuti. Poiché la fede costituisce come un’unità inscindibile, non è logico l’isolamento di uno solo dei suoi contenuti a scapito della totalità della dottrina cattolica. L’impegno politico per un aspetto isolato della dottrina sociale della Chiesa non è sufficiente ad esaurire la responsabilità per il bene comune. Né il cattolico può pensare di delegare ad altri l’impegno che gli proviene dal vangelo di Gesù Cristo perché la verità sull’uomo e sul mondo possa essere annunciata e raggiunta».

Di nuovo, torna la domanda a Letta&Co: da cattolico lei ritiene che la legge Zan sia in linea con i contenuti della fede e della morale o ne rappresenti piuttosto un sovvertimento?

Confusione su laicità e pluralismo

Da ultimo, il richiamo della Nota ai concetti di laicità e pluralismo, rispetto ai quali grande è la confusione sotto il cielo. Dopo aver ribadito che «per la dottrina morale cattolica la laicità intesa come autonomia della sfera civile e politica da quella religiosa ed ecclesiastica – ma non da quella morale – è un valore acquisito e riconosciuto dalla Chiesa e appartiene al patrimonio di civiltà che è stato raggiunto», il dicastero all’epoca presieduto dal cardinal Ratzinger precisa senza mezzi termini che:

«Questione completamente diversa è il diritto-dovere dei cittadini cattolici, come di tutti gli altri cittadini, di cercare sinceramente la verità e di promuovere e difendere con mezzi leciti le verità morali riguardanti la vita sociale, la giustizia, la libertà, il rispetto della vita e degli altri diritti della persona».

Questo è un punto importante: non è il “chi” (Chiesa, stato, cittadini, ecc.) ma il “cosa” che conta, ossia la ricerca e la promozione della verità in tutte le sue declinazioni:

«La “laicità”, infatti, indica in primo luogo l’atteggiamento di chi rispetta le verità che scaturiscono dalla conoscenza naturale sull’uomo che vive in società, anche se tali verità siano nello stesso tempo insegnate da una religione specifica, poiché la verità è una».

Il dovere morale di coerenza

Qual è, in conclusione, il giusto atteggiamento dei cattolici in politica affinché «il loro agire sia sempre al servizio della promozione integrale della persona e del bene comune»? Qui la Nota ribadisce che esiste «un dovere morale di coerenza per i fedeli laici, interiore alla loro coscienza, che è unica e unitaria»; e per chiarire meglio il concetto di unitarietà della coscienza, segue una splendida citazione tratta dalla Christifideles laici di S. Giovanni Paolo II:

«Nella loro esistenza non possono esserci due vite parallele: da una parte, la vita cosiddetta “spirituale”, con i suoi valori e con le sue esigenze; e dall’altra, la vita cosiddetta “secolare”, ossia la vita di famiglia, di lavoro, dei rapporti sociali, dell’impegno politico e della cultura. Il tralcio, radicato nella vite che è Cristo, porta i suoi frutti in ogni settore dell’attività e dell’esistenza. Infatti, tutti i vari campi della vita laicale rientrano nel disegno di Dio, che li vuole come “luogo storico” del rivelarsi e del realizzarsi dell’amore di Gesù Cristo a gloria del Padre e a servizio dei fratelli. Ogni attività, ogni situazione, ogni impegno concreto — come, ad esempio, la competenza e la solidarietà nel lavoro, l’amore e la dedizione nella famiglia e nell’educazione dei figli, il servizio sociale e politico, la proposta della verità nell’ambito della cultura — sono occasioni provvidenziali per un “continuo esercizio della fede, della speranza e della carità”».

Non credo servano ulteriori commenti. Cari Letta e cattolici “adulti” tutti, decidetevi: o continuate a dirvi cattolici, e allora sarà il caso che vi regoliate di conseguenza, consentendo e anzi adoperandovi voi per primi affinché sia emendata (ma meglio sarebbe affossarla del tutto visto che, oltretutto, non serve); oppure andate avanti per la vostra strada, ma allora smettetela di dirvi cattolici. Abbiamo motivo di credere che il cattolicesimo, anche politico, sopravviverà.

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