Caro-energia e Covid, a rischio cento imprese e 55 mila posti di lavoro

Di Redazione
31 Dicembre 2021
Aperti 107 tavoli di crisi nel settore metalmeccanico, automotive e siderurgia i settori più esposti. Ma sono moltissime le aziende condannate a chiusure temporanee dai rincari

Transizione ecologica e caro-energia, «non è un rischio quello di dover fermare la produzione, è una certezza», ribadiva pochi giorni fa al Messaggero Olivo Foglieni, vicepresidente di Confindustria Bergamo e patron di Fecs, 350 milioni di fatturato e sette stabilimenti in cui dà lavoro a 400 dipendenti che fondono e riciclano rottami ferrosi trasformandoli in barre di alluminio. Ieri la Stampa ha tirato le somme e calcolato il prezzo che green e Covid presenteranno alla filiera più energivora: sono oltre 54.700 i posti di lavoro a rischio, 107 i tavoli di crisi aperti nel settore metalmeccanico, 51 nazionali gestiti dal Mise e 56 regionali.

Stando all’ultimo report della Cisl i settori più a rischio restano automotive, siderurgia, elettrodomestico ed aeronautica: «Un quinto delle crisi (22) è localizzata in Campania, a seguire Lombardia (17), Abruzzo con 9, Emilia Romagna e Veneto con 7 a testa». Alle vertenze “storiche” si sono aggiunte quelle legate alla transizione tecnologica, all’indotto petrolifero e al Covid (in primis quelle legate alla riduzione del traffico aereo, «1.090 in cig all’Avio Aero e Leonardo che ha fatto ricorso al fondo nuove competenze per 4.500 addetti» mentre non sembra esserci più speranza per i 1.400 lavoratori di Air Italy, l’ex Meridiana). Restano fuori dai tavoli una miriade di imprese da 15/20 dipendenti.

«Impossibile produrre con questi costi»

Il rischio «paradossale», denunciato dal segretario nazionale di Fim Cisl Roberto Benaglia, dopo aver ricordato l’urgenza di linee di sostegno all’automotive e investimenti che permettano la riconversione industriale e la tenuta occupazionale, è che la robusta ripresa in atto nel 2021 «venga abbattuta dall’aumento delle materie prime e dai costi vertiginosi dell’energia che stanno diventando insostenibili soprattutto per settori primari fortemente energivori come la siderurgia».

Ricordate le parole di Foglieni in piena Cop26? In un mese il costo delle bollette della sua Fecs era passato da 180 a 760 mila euro, più che quadruplicato. «Oggi è impossibile produrre con questi costi energetici e molte imprese hanno anticipato le fermate già previste per le feste di Natale», spiegava al Messaggero la scorsa settimana mettendo in fila i conti: «Siamo in un momento pericoloso per il sistema Italia, non solo per le imprese. Oggi una azienda di medie dimensioni non può fare programmi perché non sa a che costi energetici andrà incontro. C’è il rischio che tanta gente debba andare in cassa integrazione. Finché dovevamo sopportare rincari del 100, 200 o anche 300 per cento era un conto ma ora siamo a 400-500 per cento in più. È devastante».

Rincari luce e gas, le aziende spengono le macchine

Il rincaro del gas è balzato a dicembre a +572 per cento dal valore pre-crisi (2019), l’incremento maggiore. E si è tirato dietro anche l’aumento del prezzo dell’energia elettrica, mediamente quadruplicato rispetto a inizio anno (+411 per cento). E dal primo gennaio incombe una nuova stangata sulle bollette di gas e luce (Nomisma Energia stima nuovi incrementi del 61 e del 48 per cento).

Secondo la Cgia di Mestre il caro-energia, nei primi 6 mesi del 2022, metterà a rischio, almeno con la sospensione temporanea, 500 mila posti di lavoro in tutto il paese: con aumenti delle tariffe che rischiano di raggiungere il +250 per cento, anche molte aziende del vetro, della carta, della ceramica, del cemento, della plastica, della produzione laterizi, della meccanica pesante, dell’alimentazione, della chimica, etc., potrebbero essere costrette a fermare la produzione.

Foto Ansa

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