Caro amico ciellino

Di Capezzone Daniele
14 Agosto 2003
“siamo in disaccordo su quasi tutto ma tu sei tra i pochi che si battono per una politica che sia all’altezza del desiderio di felicità. hai la stessa nostra passione per la libertà, perchè non combattiamo insieme?”. tre propoposte indecenti (e una da montagnard) agli amici del meeting dal segretario dei radicali

Cari amici del Meeting, è l’ora di provare a sfidare quel “clericalismo laico” che, stretto parente del “clericalismo clericale”, vorrebbe rendere difficile o addirittura impedire un dialogo serrato fra di noi. Intanto, sembriamo tutti mitridatizzati, abituati al veleno di una politica “ufficiale” fatta di battibecchi, di risse, di polemiche inconsistenti, di un “Porta a porta permanente” in cui ogni sorta di approfondimento, di confronto di fondo, sembra essere definitivamente precluso. Scusate: qualunque sia stata la scelta di voto (o di non voto) di ciascuno, ci riconosciamo in questa caricatura di scontro, in questo psicodramma in cui è sufficiente il sospiro di un sottosegretario (leghista o no) per monopolizzare tutto, per assorbire e travolgere ogni altra possibile attualità, naturalmente fino al prossimo sospiro del prossimo sottosegretario (leghista o no)? Credo proprio di no.
Occorre reagire, quindi, e fare in modo che la politica torni – prima di ogni altra cosa – a parlare al “vissuto” delle persone. In troppi, e troppe volte, si è pensato che la “nuova politica” dovesse limitarsi a predisporre in modo asettico “risposte” efficaci alle “domande” via via emergenti dalle varie “fette di mercato”. Questo è ovviamente necessario, e va valorizzato il connotato anche “contrattuale” della fiducia politica che i cittadini decidono di volta in volta di conferire ad una maggioranza e ad un governo: ma non basta. è certo positivo che, con la caduta delle ideologie che hanno drammaticamente segnato il secolo appena trascorso, sia venuta meno una prospettiva che faceva della politica qualcosa di “totalizzante” rispetto alla vita di milioni di donne e di uomini, ma non per questo la politica deve smettere (in molti casi, per la verità, si tratta addirittura di cominciare) di parlare di ciò che sta al fondo delle speranze di ciascuno, o rinunciare a entrare in quel delicato perimetro in cui ognuno fa i conti con la propria felicità o infelicità. Una politica incapace di parlare di salute e malattia, di vita e di morte, di corpo, di sesso, di scelte, segna il proprio fallimento: ed è bene cominciare a dirlo e a dircelo.
Io credo che questo sia ciò che insieme vogliamo. E tante volte, nella storia italiana di questi decenni, un’accelerazione è stata insieme determinata dai radicali e dai cattolici: uniti non dalle “soluzioni” – magari -, ma certo nel chiedere, nel volere, nel pretendere perfino – che alcune questioni fossero strappate all’indifferenza, al non-dibattito, alla non-parola. Propongo da queste colonne di riprovarci, ripartendo da tre punti.

Tra Dio e Cesare
1. Il primo è quello dei rapporti formali, giuridici, tra Stati e Chiese, e quindi, innanzitutto, della libertà di queste ultime. Si diffonde, infatti, la pratica di concordati, di intese, con il corollario della previsione pubblica di forme di sostegno alle Chiese, che implicano la trasformazione dello Stato in esattore delle varie gerarchie ecclesiastiche presso i cittadini, e del versamento del credente in atto parafiscale, burocratico. Occorre recuperare la distinzione evangelica (così religiosa, così civile) tra “Cesare” e “Dio”: abolendo ovunque possibile i regimi concordatari, e rimuovendo ogni norma che svilisca il magistero religioso e chi lo esercita a espressioni dello Stato, e per ciò stesso a bestemmia. Proprio gli spiriti più religiosi sono i primi a comprendere che non vi è solo il rischio – grave, certamente – della clericalizzazione dello Stato, ma anche – e soprattutto – quello della parastatalizzazione delle Chiese. E non è un caso, infatti, se un deputato radicale italiano del primo Novecento (che era anche un prete!), don Romolo Murri, sceglieva, per sé, proprio la chiave politica dell’anticlericalismo: «Se essere anticlericale ha il senso pienamente negativo di essere contro il clericalismo, certo io sono anticlericale. Ma io sono agli antipodi degli anticlericali dell’estrema sinistra poiché io sono anticlericale principalmente nel nome e per la tutela di interessi religiosi…». E ancora: «…la laicità (dello Stato) è oggi domandata dagli spiriti religiosi più vivi, e per questo stesso perseguitati dalla Chiesa ufficiale». Sono parole pronunciate, rispettivamente, nel 1907 e nel 1910: ma rappresentano una sicura guida politica anche cento anni dopo.
E invece, purtroppo, le cose marciano nella direzione opposta: si pensi al fatto che, nell’ambito dei lavori volti a dotare l’Unione europea di una Costituzione, dopo un lungo – e per molti versi incredibile – dibattito che si fatica a definire “politico” o “culturale”, nel testo che è stato redatto, non si è trovato posto per la parola “Dio” (l’Interessato sarà intervenuto direttamente per sventare il rischio?), ma si è scelto di includere un richiamo alle Chiese, alle loro strutture, all’opportunità di realizzare intese molto “concrete” con le istituzioni civili. “Mammona” sembra ancora una volta prevalere…

Il caso Luca Coscioni
2. Il secondo punto è quello della libertà di ricerca scientifica e di cura, tema sul quale, come sapete, siamo particolarmente impegnati (a partire dalla straordinaria avventura umana e politica di Luca Coscioni, malato di sclerosi laterale amiotrofica e Presidente del mio partito, oltre che capolista radicale alle ultime elezioni, esattamente come era accaduto per Leonardo Sciascia ed Enzo Tortora). Sarò breve perché questo è esattamente il caso di un nostro possibile disaccordo nel merito. Certo, a volte mi domando quale sia il senso dell’opposizione di alcuni perfino all’uso dei cosiddetti embrioni soprannumerari (cioè del prodotto in eccesso dei programmi di fecondazione assistita), notoriamente soggetti all’alternativa tra l’essere destinati alla ricerca o, invece, alla spazzatura. Perché – in nome della Vita – si deve precludere la concreta speranza di salvare tante vite concrete, e concretamente in pericolo? A me pare che, anche su questo tema, possa e debba prevalere quel che, in tante delle occasioni di voto referendario, ha portato parti consistenti del mondo cattolico a stare dalla parte di Marco Pannella: un conto è – infatti – l’“io non lo farei” (cioè la propria personale contrarietà ad una pratica); altra cosa è il “tu non lo devi fare” (cioè il tentativo di imporre anche agli altri la propria convinzione).
Ma non è di questo che voglio parlarvi, perché spero che avremo presto e a lungo l’occasione per farlo. Quel che invece mi importa è chiedervi di lavorare – insieme – affinché finalmente questo dibattito si apra. In occasione delle ultime elezioni politiche, quasi passandosi il copione, Silvio Berlusconi e Francesco Rutelli, Gianfranco Fini e Massimo D’Alema, risposero a Coscioni che di queste cose non si poteva parlare, perché la politica non deve occuparsi di “questioni di coscienza”. E di cosa deve occuparsi, se non di questo? Deve forse ridursi a una più o meno efficace gestione del potere?

Combattiamo assieme?
3. La terza questione che voglio sottoporvi è quella della nostra attività sul fronte transnazionale. Dieci anni fa, Marco Pannella ed Emma Bonino lanciarono due sfide apparentemente impossibili, utopiche: quella per l’istituzione di un Tribunale penale internazionale per i crimini contro l’umanità, e quella per una moratoria universale della pena di morte. Il primo obiettivo è già una realtà, mentre il secondo potrebbe realizzarsi in autunno, in occasione della prossima Assemblea generale dell’Onu.
Ora, queste due battaglie cedono il testimone alla successiva: quella per la nascita di una Organizzazione Mondiale della Democrazia, di un nuovo assetto internazionale (e quindi anche di una riforma dell’Onu) basato sui parametri “libertà e democrazia”. Non è possibile tollerare che, nel sistema delle Nazioni Unite, la Presidenza della Commissione diritti umani sia appannaggio della Libia, né che la stessa partecipazione di uno Stato (la cosiddetta membership) sia del tutto slegata dalla valutazione del suo carattere democratico o no. Contemporaneamente, occorre dire con forza: “Basta soldi ai dittatori”. I nostri paesi e la stessa Unione Europea continuano a stipulare accordi di cooperazione in cui sono positivamente incluse clausole sul rispetto dei diritti umani: dopo di che, quei princìpi sono spesso violati, ma il fiume di denaro continua a scorrere. Occorre dire con forza che quelle risorse servono a far fiorire delle dittature, e a far appassire delle speranze di libertà. è anche il caso del Vietnam, tuttora oppresso da un regime comunista. Che – tra l’altro – perseguita da decenni la popolazioni indigene degli altipiani centrali di quella regione, i Montagnard, “colpevoli” di chiedere libertà e democrazia, di essere stati dalla parte degli americani durante la lunga guerra in Vietnam, e – anche – di essere cristiani (protestanti o cattolici, per lo più). La persecuzione è spiatata: da 3 milioni di abitanti, si è scesi a poche centinaia di migliaia, a cui si impedisce – ripeto – perfino di professare la propria fede. Kok Ksor, il leggendario leader dei Montagnard rifugiatosi negli Stati Uniti, da dove coordina le azioni di aiuto al suo popolo, ha scelto non solo di iscriversi al Partito Radicale, ma di divenirne dirigente, e di denunciare anche in sede di Nazioni Unite le violenze di cui i suoi sono stati e continuano ad essere vittime.
è battaglia umana, liberale, cristiana: la combattiamo insieme? Auguri, e grazie.
* Segretario Radicali italiani

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