
Cardinale Caffarra, amico mite e coraggioso

Assieme a tanti amici, anch’io ho avuto la grazia di gustare la paterna amicizia del cardinale Carlo Caffarra, che, divenuto arcivescovo emerito di Bologna, nelle due estati appena trascorse ha accettato di passare qualche giorno di vacanza sulle Dolomiti con la comunità di Cl di Carate Brianza.
In questo momento di dolore per la salita al cielo del caro cardinale, una moltitudine di ricordi affiora alla mia memoria: intensi dialoghi sulla Chiesa e la società, vivaci dibattiti sulla famiglia e la vita umana, scambi di battute e gioiose risate attorno a una tavola imbandita e animata da amici, momenti di silenzio trascorsi a contemplare la maestosità delle montagne della Val Badia o del Gruppo del Brenta.
Ricordo i lunghi viaggi in macchina dalla sua Bologna alle amate Dolomiti: si iniziava con la recita del “Sub tuum praesidium”, e poi si discorreva di tutto. Le ore scorrevano rapide, il cardinale offriva “lezioni” di storia e geografia, prendendo spunto dai luoghi che via via comparivano all’orizzonte: il ducato di Modena e l’Unità d’Italia, il fiume Mincio e il poeta Virgilio, Rovereto e Rosmini. Nelle soste in Autogrill spesso si parlava di calcio e Formula 1, le sue due passioni sportive, di cui si interessava divertito. Arrivati alle pendici delle Dolomiti, invitava ad ammirare le vigne del Sud Tirolo e le distese di mele della Val di Non, di cui andava pazzo! La Natura era per lui un grande libro, che si squadernavano e lasciava intravedere la gloria di Dio.
È stato un uomo vivo, appassionato di musica e letteratura, filosofia e teologia, sovente citava Mozart e Bacchelli, Aristotele e san Tommaso, che divenivano a noi più familiari. Uomo laborioso e intraprendente, il cardinale spesso narrava, divertito e sorpreso, della donazione alla diocesi di Bologna della Faac, azienda leader a livello mondiale nella produzione di cancelli automatici, di quando visitava la fabbrica e stranito si sentiva chiamare “padrone”, e di come aveva predisposto che i dividendi fruttassero nella carità, mettendo a disposizione delle famiglie meno abbienti diversi milioni di euro per l’educazione dei figli e il pagamento delle bollette.
Caffarra è stato un uomo di amicizia, che amava raccontare dei grandi incontri della sua vita con san Giovanni Paolo II, don Divo Barsotti, don Giussani, il cardinal Biffi, Benedetto XVI. Del papa venuto da lontano – che lo aveva voluto accanto a sé nella fondazione del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, alla cui guida gli successe l’amico Angelo Scola – ricordava con gratitudine le passeggiate estive a Castel Gandolfo, ritmate da preghiera e incursioni teologiche nel mistero dell’una caro. Di Barsotti menzionava l’umiltà e la profondità mistica. Di don Giussani raccontava stupito la singolare capacità di fare rivivere le parole cristiane, e diceva che attraverso di lui Dio aveva riversato nella Chiesa il carisma dell’unità, abolendo ogni separazione e estraneità tra fede e vita. Per lo stesso motivo amava citare Biffi, deciso assertore della visione cristocentrica, del quale, per la verità, spesso riportava aneddoti curiosi e divertenti. Di Benedetto XVI parlava come di un dottore della Chiesa, capace di far brillare con sublime acume l’intelligenza della fede.
Il cardinale ha riversato queste amicizie su di noi, rendendovi partecipi piccoli e grandi. Da vero padre nella fede, amava incontrare tutti: con piacere parlava ai bambini, dicendo loro che «Gesù ci vuole bene e ci chiama, ciascuno di noi ha una vocazione, che è come un seme posto nella terra che matura nella preghiera e con l’aiuto degli amici»; con passione dialogava con gli adulti, ricordando loro che «compito dell’adulto è educare al vero, facendo fiorire i semi di verità che sono impressi nell’animo umano»; con carità accompagnava le situazioni personali più delicate, assicurando che «Dio non lascia mai mancare un sostegno a chi ricorre al suo aiuto». Attento ai problemi del mondo, s’intratteneva con padre Douglas, padre Mario, Cecilia, chiedendo loro dei sommovimenti politici e ecclesiali in Brasile e Cina, loro paesi d’origine. Con stupore da fanciullo amava ascoltare tutti e da tutti imparare, con quel sorriso mite e invitante salutava i bimbi e le bimbe, le mamme e i papà, i nonni e le nonne che riempivano le sale e i corridoi dell’hotel.
La profondità delle sue omelie, la generosità con cui ha incontrato le tante persone presenti in montagna, dai più piccoli ai più grandi, le vivaci discussioni con gli ospiti la sera, la ricca riflessione con gli amici dell’ambito sanitario sul significato della professione medica e sul tema del fine-vita, la cena con gli amici di Tempi sul tema della fede e della politica… tutto in lui era vissuto alla luce della fede in Cristo, tutta la realtà era letta con gli occhi della fede (Rousselot), fonte di uno sguardo rinnovato sulla vita. «Il primo effetto dell’incontro col Signore – così il cardinale spiegava la pagina biblica in cui si narra del volto raggiante di Mosè sul Sinai – è la luce, un’intima illuminazione in forza della quale noi vediamo tutta la realtà secondo la sua originaria verità, secondo come Dio stesso l’ha pensata». Un pensiero profondamente radicato in Cristo, chiave di volta dell’esistenza.
Caffarra è stato un uomo coraggioso, tenace, che si è speso senza calcoli e riserve fino in fondo per il bene degli uomini e della Chiesa, che amava e per cui soffriva. Non nascondeva la sua preoccupazione per la crisi della società e della Chiesa. Della prima, denunciava i limiti di una coscienza ridotta a opinione personale, sradicata dalla verità, e vedeva nella sovversione del piano divino sull’amore umano e sulla vita i due tratti più caratteristici di questo sradicamento. Della seconda, rimarcava la situazione di confusione circa la proposta cristiana, e ripeteva che una Chiesa senza dottrina – priva del lógos della fede amava dire – inevitabilmente prenderà a prestito i criteri del vivere dal “potere”, mancando nel suo compito educativo e nella sua missione evangelizzatrice. Così ci spronava a una testimonianza di fede energica, “mite e coraggiosa”, che concorresse a vivere e maturare un giudizio pertinente alla vita, da offrire a tutti i fratelli uomini. Amava descrivere la comunità cristiana con l’espressione di Benedetto XVI «minoranze creative», a dire che «la Chiesa è chiamata a generare civiltà e cultura».
Tutto in Caffarra era vissuto alla luce della fede in Cristo, «asse attorno a cui costruire la vita quotidiana», come disse nell’omelia sulla pagina di vangelo di Marta e Maria: «Gesù distingue tra ciò che sono le faccende quotidiane a cui si dedica Marta, e non la condanna per questo, ma oltre e dentro a queste faccende quotidiane dev’essere salvaguardato un rapporto: il rapporto con Gesù, che è prima di tutto di ascolto della sua parola, cioè un rapporto di fede».
Ecco il punto: l’incontro col Signore opera oltre e dentro le faccende quotidiane! Dio rischiara la realtà, luogo del faccia-a-faccia con Lui. Nulla è escluso dal rapporto con Cristo, tutto è occasione di incontro e testimonianza del Signore, secondo l’insegnamento paolino «sia che mangiate, sia che beviate, sia che vegliate, sia che dormiate siete di Cristo» (1 Cor 10,31).
Appassionato ricercatore della verità, amava rivolgersi al Signore con le parole di sant’Agostino: «non trascurare questo filo d’erba assetato». Nel profondo dolore per il distacco dal cardinale Caffarra, anche noi quest’oggi ci sentiamo assetati, e, bisognosi, chiediamo la sua intercessione. Caro padre e amico, che ora ti trovi nella Comunione dei Santi, sostienici e aiutaci a vivere e comunicare la fede nel Dio di Gesù Cristo, via, verità e vita (Gv 14,6).
Don Alberto Frigerio è prete ambrosiano e dottorando presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia
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