
Carceri. Ben cinquemila richieste per la “messa alla prova”
Si chiama “messa alla prova” ed è la misura alternativa al carcere nata dalla legge entrata in vigore lo scorso 17 maggio. Con essa si prevede che l’imputato chieda la sospensione di un processo per svolgere gratuitamente, in accordo con i servizi sociali, lavori di pubblica utilità per almeno 10 giorni (e un massimo di 8 ore al giorno). Una misura che può essere concessa solo per i reati meno gravi e che fino ad oggi, a sei mesi dall’entrata in vigore, è stata chiesta da 4.689 persone. A dirlo sono i dati del ministero della Giustizia (aggiornati al 31 ottobre), che aggiungono che la misura è finora stata già concessa però solo in 109 casi. La metà di queste richieste è arrivata dopo l’estate, e la gran parte è sotto l’esame dell’Ufficio esecuzione penale esterna (Uepe).
LAVORI UTILI. È ormai noto anche all’opinione pubblica che dietro le mura di un carcere, la stragrande maggioranza dei 54 mila detenuti presenti trascorre le giornate senza poter svolgere attività rieducative, che si tratti di studio o di lavoro. L’importanza della “messa alla prova” per il sistema carcere è proprio dare, invece, l’opportunità a chi ha commesso un piccolo reato di poter pagare la pena svolgendo un lavoro utile alla comunità.
La legge disciplina i reati per cui si può chiedere questa misura: sono tutti quelli che prevedono sanzioni economiche o il carcere al massimo per quattro anni, per lo più reati come il piccolo spaccio di droga, il furto aggravato, la rissa o la resistenza ad un pubblico ufficiale. È la stessa legge a prevedere che nella messa alla prova, se possibile, vengano scelte attività di riparazione del danno causato dall’imputato: in alternativa, un lavoro che tenga anche conto delle professionalità o dell’attitudine e “in favore della collettività”, presso enti locali o associazioni di volontariato sul territorio. Finora, ad esempio, gli imputati sono stati frequentemente “messi alla prova” con la pulizia delle strade, delle spiagge o dei parchi. Le domande, prima della decisione del giudice, devono essere valutate dall’Uepe, che deve anche stilare il programma in collaborazione con uno degli enti accreditati. Se lo svolgimento dell’attività si conclude con una valutazione positiva, il giudice dichiarerà estinto il reato e l’imputato avrà così pagato la propria colpa.
DALLA LIGURIA PIU’ RICHIESTE. Il Sole 24 ore ha pubblicato oggi altri dati sulle domande già presentate per la messa alla prova. Secondo i dati raccolti presso il ministero della Giustizia, delle quasi 5 mila domande, la maggioranza, 1.866, arriva dal Nord ovest (69 i percorsi già avviati), poi ci sono le 1.139 del Centro (15 percorsi già avviati), le 801 dal Nord est (9 percorsi avviati), le 533 dalle isole (13 percorsi avviati), le 459 dal Sud Italia (solo 3 percorsi avviati).
La città con il record di domande è Genova (365, oltre a 9 percorsi avviati), seguita da Milano (324 domande in attesa di risposta, 17 percorsi avviati) e Torino (296 domande, 3 percorsi avviati). A Firenze sono 180 le domande presentate, tutte in attesa di risposta come le 162 presentate a Palermo. Fanalino di coda Napoli con 122 domande (1 percorso avviato) e Brescia (115 domande, 2 percorsi avviati). La responsabile Uepe di Genova, Savona e Imperia, Bianca Berio, ha spiegato al Sole che per quanto riguarda le domande esaminate dal suo ufficio «spesso si tratta di reati che nascono da comportamenti superficiali, in buona parte attribuiti a imputati con meno di 30 anni».
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2 commenti
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Il problema è che se il carcere perde la sua funzione rieducativa, è un fallimento della società che attraverso lo Stato si occupa dei reati non dei peccati.
ma della PROVA cui sono state costrette le vittime non parla – quasi mai – nessuno. queste nuove misure renderanno praticamente impuniti moltissimi reati che su una persona anziana e indifesa sono un colpo mortale.