Argh! Ci mancava la carbonara vegana che sa di amore e inclusività

Di Caterina Giojelli
10 Aprile 2023
Al grido di "la pasta deve unire” Barilla ci rivende come se fosse una novità una ricetta horror condita con retorica multiculturale. Baggianate, la sua versione halal, kosher, finta, sbagliata, esiste da sempre. Ma se non divide, non è carbonara
Barilla Open Carbonara

Barilla Open Carbonara

Col senso del tempismo che le è proprio, Barilla lancia la Open carbonara. Blasfemia, considerato il periodo pasquale e gli ingredienti: patata, zafferano, semi di soia tostati, sedano rapa essiccato e, naturalmente, un cortometraggio a base di teneri bambini e succulenti fervorini sull’inclusione per digerire il tutto: «Il cibo deve unire, non dividere le persone», «il mondo sta cambiando, sta diventando multiculturale», «il fatto di poter avere amici di culture diverse è un aspetto importante della crescita culturale del mondo intero». Ma che è, un piatto di pasta o un trattato di Maastricht?

Il docu-film di Barilla con la soia al posto del guanciale

La risposta giusta è ovviamente la terza: è marketing, vegan economy, bellezza. Ma siccome Barilla è per ragioni biografiche cintura nera di autorieducazione e manganellate politicamente corrette, per non finire nel tritacarne mediatico come una spezzaescoccia spaghetti belga qualunque il colpo di genio di Barilla è far di sua santità la carbonara un “ponte”. Ponte tra bambini di culture diverse. Basta mettere a bollire nella pila, “pace de la casa” romana, vegetali e inclusività e farci un “docu-film” per celebrare il Carbonara Day. E qui ci scappano le maledizioni. Intendiamoci, l’adagio del “cibo che unisce” gira dai tempi di Pappagone al Festival di Sanremo, e nel 2023 in Italia dovrebbe già essere bell’e digerito dai bambini delle mense svezzati a lasagne al ragù di soia e polpette vegetali: ma perché aggiornare il tic col sedano rapa? Dove c’è amore c’è Barilla, famiglia e ora pure carbonara?

Il trionfale esperimento che ha fatto venire l’acquolina in bocca ai nemici di carne, proteine del latte e discriminazioni al desco, nasce da un dispiacere, quello della figlia dello chef stellato Marco Martini che tornando da scuola si rifiuta di mangiare la carbonara perché “Gabri” e altri bimbi della sua multiculturalissima classe elementare non possono mangiare il maiale. A cambiare il corso della storia con spirito e accento romanesco ci penserà papà Marco, supernova della cucina gourmet, con la sua Open carbonara realizzata con un altrettanto multiculturalissimo team internazionale specializzato nel trasformare le ricette più amate «in pietanze più inclusive». E vissero tutti felici, contenti e col purè di patate al posto dell’uovo, la soia tostata al posto del guanciale e il sedano rapa essiccato al posto del pecorino. Il che va benissimo, ma perché chiamarla carbonara?

La carbonara deve dividere, o non è carbonara

La pasta deve “unire”? La carbonara deve “includere”? Baggianate, la carbonara halal, kosher, gluten free, finta, sbagliata, alla Tognazzi, esiste da sempre, pure nella sua variante horror «smoky tomato carbonara» finita sul New York Times. La carbonara divide, la carbonara uccide, ogni volta che un food writer o una influencer con lo smalto glitter ci versa la panna o sostituisce pancetta a guanciale un romano va in arresto cardiaco. La carbonara strappa, smembra, sconnette; anno 2023 e siamo ancor qui con la Bbc e il Financial Times che soffiano sul fuoco dell’origine anglosassone, Repubblica che scodella la ricetta del 1931 della prima edizione della Guida Touring Club italiano dimostrando che l’idea della pasta in uova frullate e grasso e magro di maiale non è venuta in primis agli americani spacciatori di bacon dopo la liberazione, ma agli umbri di Cascia.

Quando Barilla si era dissociata dalla carbonara francese

La carbonara è pericolosa, i docenti gridano al pericolo nazionalista, gli chef si scornano: il segreto è la rosolatura del guanciale, no è il bagnomaria di uovo e pecorino, no è il tuorlo crudo, no è il mix di chiare e tuorlo, no è la separazione grasso e carne. Quando nel 2016 scoppiò il Carbonara gate – ricordate, superstiti? Il sito francese Demotivateur aveva caricato su Youtube un tutorial da cardiopalma: pancetta, farfalle Barilla, cipolla bollite insieme nell’acqua e poi mantecate con panna e guarnite con tuorlo crudo e prezzemolo – che aveva fatto Barilla? Si era dissociata disgustata: «Siamo aperti a ogni variazione della carbonara, ma questa va decisamente oltre… désolé».

Désolé, perché la carbonara non è un’idea, un ponte, non è estetica, etica, logica, non è buona, è bona, anzi bonissima così com’è, spesso anche nelle sue varianti halal, kosher, tutto free. Altra cosa è il film di Barilla che cancella un piatto dell’ormai odiatissima tradizione col vangelo veggie mantecato nel «noi crediamo che un Gesto D’Amore diventi veramente significativo quando può essere vissuto da quante più persone possibile» e tutti applaudono. Aspettando il bambino che offrendo a sua volta una personale rivisitazione de «Il re è nudo!» ci tirerà dietro il piatto perché quella non è una carbonara.

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