La preghiera del mattino

Candidature, l’impressionante numero di pasticci combinati in pochi giorni da Enrico Letta

Enrico Letta
Chiara Gribaudo, Enrico Letta e Elly Schlein (foto Ansa)

Sul sito del Tgcom 24 Mediaset si scrive: «Albertini contro Calenda per la mancata candidatura a Milano».

Che il popolare sindaco del centrodestra a Milano sia, per giochi di micropotere di micropartito, eliminato per far posto a un parlamentare di Cuneo rivela la portata innovatrice di Azione-Italia viva e probabilmente anche qualche manovra di quel genio politico di Maria Stella Gelmini, che anche in Forza Italia preferiva sempre il primato personale a obiettivi politici più ambiziosi.

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Su Startmag Paola Sacchi scrive: «Enrico Letta, dopo aver lanciato l’allarme alla Cnn contro Giorgia Meloni e Matteo Salvini (“Se vincono, un regalo a Putin, Trump e Orban”), non difende però la presidente di FdI dall’attacco perché “troppo atlantista” che le viene dalla Pravda, ex organo ufficiale del Pcus, ora filo-Putin. Ma il Pd piomba nella bufera. Si ritrova alle prese con giovani candidati dai post social contro Israele e una violenta, imbarazzante lite in strada che coinvolge una figura simbolo del potere dem capitolino, il capo di gabinetto del sindaco Pd Roberto Gualtieri, Albino Ruberti, che si dimette. Raffaele La Regina, uno dei giovani under 35 presentati come fiore all’occhiello da Letta, è costretto a ritirare, dopo una serie di ripensamenti, la sua candidatura come capolista in Basilicata. Letta aveva provato a chiudere il caso, riconoscendo l’errore e dicendo che “il passato è passato” poiché i tweet erano di 5 anni fa. Ma poi ne sono venuti fuori altri pure contro il Tap. Al suo posto andrà Enzo Amendola. E al tempo stesso esplode un caso analogo per post anti-Israele di un’altra giovane candidata, Rachele Scarpa. Che, denuncia Salvini, “aveva addirittura contestato la presenza del suo partito a una manifestazione della Comunità ebraica di Roma”. Il leader della Lega, eternamente tacciato di filo-putinismo, attacca duramente: “Troppi esponenti del Pd parlano come estremisti islamici”. Ma, intanto, tiene banco nelle polemiche il video shock di un violento alterco dopo una cena privata a Frosinone tra Ruberti e il fratello (Vladimiro) di Francesco De Angelis, presente alla lite, che si ritira anche lui da candidato dem. La vicenda è in mano alla Procura. Fermo restando il principio garantista, ne esce lo stesso incrinata l’immagine della macchina amministrativa che vede da tanti anni il Pd, la sinistra, a Roma radicati nei gangli del potere».

Paola Sacchi impressionata da quanti pasticci sia riuscito a combinare in così pochi giorni l’eroico Enrico Lettino. Se Emmanuel Macron crede di aver inviato a dirigere il Pd un prefetto napoleonico e invece ha scelto e mandato l’ispettore Clouseau, i risultati non possono che essere questi.

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Su Formiche Carlo Fusi scrive: «È  la demagogia mischiata al populismo che ha portato ad inveire contro il Parlamento da aprire come scatoletta di tonno. E’ la demagogia ad aver portato capipartito o Conducator pro tempore di MoVimenti a chiedere e poi rinnegare l’impeachment del capo dello Stato; a proclamare senza un brivido di resipiscenza l’abolizione della povertà o la Caporetto della precarietà. È la demagogia ad aver maneggiato i conti pubblici con misure che li hanno compromessi».

Le considerazioni di Fusi sono genericamente condivisibili, ma non aiutano a capire ciò che è avvenuto in Italia. I nostri problemi non nascono perché improvvisamente i politici della Seconda repubblica hanno scelto la demagogia invece della responsabilità, bensì dal fatto che ampi settori di establishment nazionali e di sistemi di influenze internazionali hanno cercato di contrastare la contendibilità del potere politico. È questa scelta, maturata consentendo il ruolo anomalo della magistratura post ‘92 e permettendo poi a Giorgio Napolitano (e infine a Sergio Mattarella) di governare la politica dall’alto, che hanno fatto imbizzarrire larghi settori di elettorato e prodotto lo stato miserabile della discussione pubblica con cui dobbiamo fare i conti. Finché non riprenderà il vento liberatore di governi fondati sul voto dei cittadini, tutte le demagogie avranno la possibilità di scorrazzare senza limiti.

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Su Strisciarossa Piervirgilio Dastoli scrive: «La rivendicazione in Italia del primato degli interessi nazionali su quelli europei, che rischia di trovare una eco maggioritaria nel prossimo parlamento eletto il 25 settembre, dovrà essere compensata e contro-bilanciata dalla continuità del ruolo svolto dal Quirinale durante le presidenze Ciampi, Napolitano e Mattarella nei rapporti fra il nostro paese e l’Ue evitando di chiudere il Capo dello Stato nel recinto angusto di una maggioranza parlamentare ma difendendo il suo ruolo di garante della Costituzione che è stata aggiornata e adeguata all’evoluzione del processo di integrazione europea».

Alcuni argomenti di Dastoli sono convincenti: i processi di riforma della nostra Costituzione vanno gestiti con una visione sistemica e non a strappi, insieme va tenuto presente il contesto comunitario delle nostre riforme istituzionali che dovrebbero, se sarà possibile, aiutare una maggiore integrazione europea e non il suo contrario. Vi è però nelle parole di Dastoli anche quasi un’ansia di commissariare la democrazia italiana, che è francamente inaccettabile.

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