
Il successore di Trudeau in Canada è la versione “tecnocrate 2.0” di Trudeau

I canadesi hanno un nuovo primo ministro. E guardando al curriculum e alle idee del successore di Justin Trudeau, Mark Carney, il primo commento è che il liberal perde il posto ma non il vizio. Votato con una grande maggioranza alle primarie del partito liberale, Carney sembra la caricatura ancora più elitarista di Trudeau, il campione del progressismo moralizzatore tutto woke e programmi Dei.
Come ha scritto Mattia Ferraresi su Tempi, «non c’è nessuna esperienza politica nel mondo contemporaneo che descriva le tendenze autolesioniste della sinistra progressista come il lungo governo di Justin Trudeau in Canada, una storia d’insuccesso durata nove anni e finita nel disdoro fra dimissioni polemiche nel governo, mozioni di sfiducia, tumulti interni ai liberali e insulti vari. La sua è una vicenda esemplare, un saggio del nostro tempo».
Il fallimento di Trudeau in Canada
Trudeau ha lasciato la guida di un Canada che con lui si è impoverito e depresso, ha buttato moltissime risorse in politiche politicamente corrette e corsi per inculcare i valori del progressismo contemporaneo, diversità, uguaglianza e inclusione, ha speso miliardi in fallimentari misure green come la carbon tax, adottato misure autoritarie in nome della difesa di diritti e libertà, ha allargato le già generose politiche migratorie del Paese con l’effetto di trasformare la maggioranza dei canadesi, storicamente inclusivi e multiculturali, in persone preoccupate dai troppi immigrati. Campione quasi incontrastato nel ripetere la fuffa di sinistra sui diritti delle minoranze, Trudeau è caduto poco dopo l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca, con la nuova amministrazione americana che non nasconde mire “espansionistiche” sul Canada.
La cosa curiosa di tutto ciò è che i liberali canadesi non sembrano consapevoli del fatto che all’origine del fallimento di Trudeau c’è il fallimento di un certo globalismo progressista contro cui negli ultimi anni si è scagliata, con successo, una rabbiosa ondata populista. Se il mondo – semplificando – è in rivolta contro l’establishment, i canadesi ora sono governati da un leader che incarna esattamente quell’establishment.

Scrive il vicedirettore di Spiked, Fraser Myers, che «per molti versi, Carney è il tecnocrate dei tecnocrati. Un autentico cittadino del nulla. Il curriculum del nuovo primo ministro canadese sembra una parodia di un archetipo dell’uomo di Davos. È stato governatore della Banca del Canada, governatore della Banca d’Inghilterra e inviato speciale delle Nazioni Unite per l’azione per il clima e la finanza. Prima ancora ha lavorato per Goldman Sachs, a Londra, Tokyo, New York e Toronto. Ha conseguito lauree ad Harvard e Oxford. Eppure non ha mai ricoperto una carica politica elettiva. Attualmente non ricopre nemmeno un seggio nella Camera dei Comuni canadese».
Carney, tecnico woke prestato alla politica
Ennesimo tecnico prestato alla politica (c’è chi lo chiama “il Draghi canadese”), come se diverse esperienze dell’ultimo decennio non avessero insegnato niente, Carney rappresenta tutto ciò che un elettore populista medio non sopporta, dal Forum economico mondiale al Gruppo Bilderberg, e negli anni passati ha naturalmente fatto sue tutte le tendenze politiche più in voga nella sinistra globalista woke: ha agitato lo spettro della recessione britannica in caso di Brexit, da governatore della Banca d’Inghilterra si è improvvisamente preoccupato per i cambiamenti climatici, trasformandoli in uno dei focus della politica della banca centrale.
È stato ospite di un programma della BBC curato da Greta Thunberg e ha tenuto numerosi interventi e discorsi per dire che se i banchieri non avessero fatto la loro parte il mondo avrebbe affrontato un riscaldamento irreversibile. Ancora Myers ricorda che in un discorso alla COP26 di Glasgow, «proclamò che il suo obiettivo era che “ogni decisione finanziaria tenesse conto del cambiamento climatico”. Questo potrebbe sembrare un obiettivo assurdo alla maggior parte delle persone razionali, ma senza dubbio lo aiutò a diventare, nel 2020, un inviato delle Nazioni Unite per il clima».
Il Canada si merita uno come Carney?
Come è sempre più evidente, rimodellare la società con politiche incentrate sulla lotta al climate change ha conseguenze economiche disastrose sui costi dell’energia, le industrie, i posti di lavoro e la produttività, tanto che lo stesso Carney è stato costretto a promettere di tagliare la carbon tax introdotta da Trudeau in Canada.
Quello che Carney non ha ancora capito, nota il giornalista di Spiked, è l’insofferenza della maggior parte delle persone verso le politiche woke: «Durante un comizio elettorale si è opposto esplicitamente alla “guerra al woke” di Donald Trump a sud del confine, sostenendo che il Canada avrebbe sempre sostenuto “l’inclusività”. Naturalmente, “inclusività” in questo contesto significa uomini negli sport femminili, uomini negli spazi privati delle donne e mutilazione medica di bambini per lo più gay e autistici: politiche squilibrate a cui la maggior parte delle persone comuni si oppone, ma a cui i nostri presunti signori ragionevoli si aggrappano ancora come a un dogma».
Nelle ultime settimane i sondaggi hanno registrato un recupero del partito liberale nei confronti di quello conservatore – entro l’anno il Canada deve tornare al voto. Non per l’agenda progressista portata avanti da Carney, però, ma per le minacce di Trump su dazi e ipotetiche annessioni agli Stati Uniti. Dopo i disastri di Justin Trudeau il Canada non ha bisogno della sua versione da tecnocrate 2.0.
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