Guardare al Canada per capire il pericolo del piano inclinato sull’eutanasia

In sette anni il paese nordamericano è passato dal sì al suicidio assistito per i malati terminali all'omicidio di stato per i troppo fragili, i depressi e i "poveri" (ora pure in chiesa)

Lo scorso 9 marzo, Betty Sanguin, una donna canadese di 86 anni malata di Sla è entrata poco prima delle 13 nella Churchill Park United Church, tempio protestante a Winnipeg, Manitoba, il cui motto è “una chiesa che ti fa sentire a casa”. Ne è uscita attorno alle 16, in una bara. Betty aveva deciso di farla finita prima che la Sla degenerasse. Non veniva ancora nutrita con il sondino, ma avere visto altre persone più avanti nella malattia le aveva fatto decidere che sarebbe stato insostenibile per lei. In Canada l’eutanasia è legale, Betty ha ottenuto di ricevere l’iniezione letale nella sua chiesa, salutata per sempre dai suoi cari «nel santuario pieno di musica».

Come si è arrivati all’eutanasia in chiesa

Soltanto in un paese come il Canada può essere ritenuto accettabile che una chiesa offra l’eutanasia ai propri fedeli. Non c’è infatti nessun posto al mondo meglio del Canada per capire cosa si intende per “piano inclinato” quando si tratta di legislazione sul fine vita. In meno di sette anni lo stato nordamericano è passato dal dichiarare incostituzionale il divieto al suicidio assistito fino alla soppressione, di fatto, dei poveri. La provocazione è di Yuan Yi Zhu sullo Spectator, e parte dall’analisi di quanto in fretta la legge sul suicidio assistito sia cambiata anno dopo anno in Canada, aumentando sempre di più i casi in cui è permesso.

Dichiarandolo costituzionale nel 2015, la Corte Suprema respinse con sufficienza i timori che la sentenza avrebbe «iniziato una discesa lungo un pendio scivoloso verso l’omicidio» contro i vulnerabili liquidandoli come fondati su «esempi aneddotici». L’anno successivo, il Parlamento votò una legge per consentire l’eutanasia solo per coloro che soffrono di una malattia terminale la cui morte naturale era «ragionevolmente prevedibile».

Record di suicidi assistiti in Canada nel 2020

In pochi anni i casi di eutanasia sono aumentati, fino al record del 2020, di cui Tempi aveva scritto qui: «7.595 persone hanno ricevuto l’iniezione letale portando i decessi dovuti alla “buona morte” al 2,5 per cento del totale. Il portavoce del ministro della Salute, Abby Hoffman, ha osservato compiaciuto che si riscontra “una maggiore consapevolezza e una maggiore accettazione da parte dei canadesi del Maid (Medical Assistance in Dying) come opzione di fine vita”. Ma analizzando il rapporto annuale del governo, c’è poco da stare allegri».

Infatti, «se il 69,1 per cento dei canadesi morti con l’eutanasia, 5.248 pazienti, l’hanno chiesto e ottenuta a causa di un cancro (pur in assenza di una valutazione di un oncologo sul decorso della malattia), solo il 57,4 per cento ha citato come motivazione “l’incapacità di gestire il dolore”. Se quasi tutti, più dell’80 per cento, hanno parlato della sopraggiunta “incapacità di svolgere attività significative”, ben il 35,9 ha spiegato di “sentirsi un peso per la famiglia, gli amici o i sanitari”, mentre il 18,6 ha parlato di “isolamento e solitudine”. La perdita dell’autonomia ha portato appena all’1,9 per cento di tutti i casi».

La nuova legge e le condizioni “accettabili”

Mettendo fine all’ipocrisia, lo scorso anno il Parlamento canadese ha votato una legge radicale sull’eutanasia che ha abrogato il requisito del “ragionevolmente prevedibile” e il requisito che la condizione di salute dovrebbe essere “terminale”. Adesso è sufficiente soffrire di una malattia o disabilità che «non può essere alleviata in condizioni ritenute accettabili» per usufruire gratuitamente del Maid.

Da qui la provocazione di Yuan Yi Zhu, che parte da un’osservazione semplice: «Il Canada ha una delle spese sociali più basse di qualsiasi paese industrializzato, le cure palliative sono accessibili solo a una minoranza e i tempi di attesa nel settore sanitario pubblico possono essere insopportabili». Il sillogismo è fatto: poiché è difficile e molto costoso curarsi in modo da avere condizioni accettabili, i fragili non benestanti verranno uccisi gratuitamente dallo stato. La nuova legge arriva a rendere legale una pratica già in voga negli ospedali canadesi, però.

«Se la morte è una soluzione “sempre più accettata”, perché curare e non uccidere?», scriveva Leone Grotti sul numero di febbraio di Tempi. «Deve essere per questo che a Roger Foley, affetto da patologia neurodegenerativa, il London Health Science Centre’s Victoria Hospital dove era ricoverato ha presentato una scelta nel 2018: pagare 1.500 dollari al giorno per le cure oppure “ricorrere gratuitamente al suicidio assistito come previsto dal piano per la comunità”».

I prossimi saranno i malati di mente

I casi come quello di Foley sono numerosi: racconta lo Spectator che una donna in Ontario è stata costretta all’eutanasia perché i suoi benefit abitativi non le hanno permesso di ottenere un alloggio migliore che non avrebbe aggravato la sua malattia. Un’altra donna disabile ha chiesto di morire perché «semplicemente non può permettersi di continuare a vivere». Un’altra ha chiesto l’eutanasia perché il debito legato al Covid l’ha resa incapace di pagare il trattamento che le ha permesso di mantenere sopportabile il suo dolore cronico.

Sono pochissime le voci contrarie a questa deriva in Canada: le associazioni per i diritti dei disabili, solitamente ascoltate quando c’è da fare qualche battaglia progressista a tutela delle minoranze, sono state ignorate dal governo perché critiche della legge sul suicidio assistito. I media tacciono e non sollevano domande neppure davanti ai numeri inequivocabili. Il piano inclinato sta facendo rotolare la biglia dell’eutanasia sempre più in fretta: dall’anno prossimo chi soffre di malattie mentali potrà beneficiare del suicidio assistito in Canada. Con quali paletti? Il dibattito è in corso, ma già segnato.

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