
Perché Giussani ha letto così tanto? Cosa cercava?

Anticipiamo stralci dell’intervento che monsignor Massimo Camisasca terrà oggi all’incontro “Nulla di ciò che è umano mi è estraneo. Luigi Giussani e la letteratura” che si terrà alle ore 15 in Auditorium Isybank D3 e a cui parteciperà anche Giancarlo Cesana
Desidero iniziare con un ricordo personale. Anni del liceo Berchet a Milano, 1962-1965. Giussani insegnante di religione. Rimasi molto impressionato, ascoltandolo, dal suo ricorso ad autori come Leopardi, Pascoli, Thomas Mann, Péguy, Mounier, Claudel, Miłosz, … alcuni li conoscevo, altri mi erano totalmente ignoti.
Io ero già un buon lettore di testi letterari e poetici, ma rimasi fulminato dalla profondità delle sue scelte, dalla sua capacità di cogliere strati nascosti dell’umano che non avrei mai saputo scandagliare senza il suo aiuto. Perché sceglie alcune poesie di Pascoli? Perché Mounier? Chi gli ha fatto conoscere Miłosz?
Questo ricordo mi introduce subito ad una domanda: perché Giussani, nei suoi anni di seminario e nei primi decenni del suo ministero ha letto così tanto? Cosa cercava?
Penso che egli cercasse la bellezza drammatica della vita per scoprirne il significato, il peso. Nessuno come il cardinal Ratzinger ha saputo esprimere tutto questo parlando di don Giussani. Lo ha definito: un uomo «ferito dal desiderio della bellezza», «la lama della bellezza lo colpisce fino ad aprire in lui una ferita metafisica». Nella bellezza, secondo Ratzinger, la nostalgia dell’infinito si fa sensibile, «lì si affaccia, celato, Cristo: con più emozione, con più realismo che nei trattati teologici o nei libri di pietà».
Per questo don Giussani si è sempre rivolto con estremo interesse al fatto artistico, fin da giovanissimo: alla musica innanzitutto, accompagnato dal padre, e poi alla poesia e alla letteratura, introdotto dai suoi insegnanti di seminario, ma soprattutto dalla sua passione per l’uomo, soprattutto per se stesso. Egli non ha mai visto un verso, una melodia, un dipinto, come un evento riservato ad uomini particolarmente colti o versati; ha visto in essi un’espressione alta dell’umano, un aiuto alla comprensione della vita. Un bel canto, una bella poesia, non erano i suoi occhi al suo cuore, cosa diversa dalle montagne, dal mare, dai fiori, da tutto ciò che può colpire, rallegrare, rimandare a tutta la realtà, all’infinito con maggiore chiarezza e forza. È lui stesso che lo ha scritto: nella bellezza «è a qualcosa d’altro che l’uomo rende il suo omaggio da cui aspetta: lo aspetta».
Il fatto artistico è diventato così il cuore della sua pedagogia, come sa chi ha partecipato alla vita del movimento. Nella bellezza è nascosta l’abilità cui tutti, consapevolmente o no aspiriamo.
Lavorando durante questi due ultimi anni al libro Introduzione a don Giussani ho avuto l’occasione di riflettere sul fatto che egli sia stato per me il maestro che mi ha introdotto con più consapevolezza alla parola poetica e letteraria. Attraverso di essa, ho potuto conoscere meglio me stesso e il valore della mia vita. Giussani, anche attraverso gli autori che mi ha fatto conoscere, ha spalancato la mia finestra su tanti altri autori. Pur non essendo egli tutto, mi ha aperto al tutto.
I libri di Giussani sono ricchissimi di rimandi a poeti, a testi di prosa, a opere teatrali, diari e biografie. Non si tratta soltanto di citazioni, di brani richiamati in aiuto a tesi da dimostrare, quanto piuttosto di contributi accolti come parte integrante del racconto. Sono centinaia gli autori che veniamo a conoscere leggendo i suoi testi.
Ma il rapporto che Giussani ha vissuto con gli autori di testi poetici e letterali non può essere descritto per tutti allo stesso modo. Con taluni (penso, per esempio, a Pasolini) egli ha scoperto una sintonia di giudizio su quanto stava accadendo in Italia. Tutti e due hanno avvertito la rivoluzione antropologica e culturale che stava avvenendo ad opera della borghesia capitalista, negatrice di ogni apertura di libertà. Allo stesso modo, oltre a Pasolini si potrebbero citare altri nomi per esempio Testori. Con altri nomi invece, ha “convissuto”, ha vissuto una vera e propria esperienza comune. Gli esempi più evidenti sono Leopardi e Péguy, che ha incontrato in momenti diversi della sua vita. Mi soffermo sul primo.
Cosa vuol dire che Leopardi è stato suo amico? Giussani, per sua affermazione, sostiene di avere incontrato a 12-13 anni il poeta di Recanati, in prima e seconda media.
In prima e seconda media!! Da poco era entrato in seminario, «essendone stato allora molto ferito, in certi mesi leggevo solo sue poesie, col capo reclinato, e non studiavo altro».
Questo suo ricordo rimane per me un fatto impressionante. Mi rivela la profondità di un ragazzo che già sente così acutamente il mistero dell’esistenza da identificarsi con un itinerario poetico e vitale tra i più grandi della nostra letteratura, fino, però, a staccarsene. Avrebbe potuto sprofondare, se avesse continuato a seguire soltanto Leopardi. E invece riesce a scoprire, per grazia, un nuovo sguardo, rimanendo profondamente grato al poeta di Recanati per aver aperto la porta del suo cuore a tale grazia. Nell’inno Alla sua Donna Leopardi teme che la bellezza intravista nella donna amata abiti lontanissima, sia irraggiungibile, come un ultimo affronto beffardo di chi ci ha voluti come mortali.
Giussani, invece, ha ascoltato le lezioni di don Gaetano Corti. Riconosce in quella Donna colui che il cristianesimo chiama verbo. La bellezza è diventata uomo, un uomo che è morto per l’uomo. «Quando lessi questa strofa la prima volta – in prima liceo a 15 anni – dissi: cosa è il messaggio, l’annuncio cristiano se non questo?». La bellezza poetica di Leopardi lo feriva non solo perché gli parlava del mistero, ma anche perché lo richiamava all’urgenza che tutti venissero raggiunti dall’annuncio dell’Incarnazione come Mistero. Così se da un lato, la sua vita è stata segnata dall’attrattiva per l’arte, dall’altro lato, allo stesso tempo essa è stata caratterizzata da un’intensa passione per l’uomo, da una divorante passione missionaria.
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