
California, la grande purga antirazzista (e piena di svarioni) della scuola

La grande purga progressista cancella anche George Washington e Abraham Lincoln (sì, il presidente che abolì la schiavitù), Paul Revere e Dianne Feinstein (sì, la prima donna sindaco di San Francisco). Dopo avere istituito una apposita task force impegnata per due anni – sulla scia dei fatti di Charlottesville – a compilare una black list, il Board of Education di San Francisco ha deciso infatti di rinominare 44 istituti, un terzo delle scuole della città. Cioè tutte quelle che prendono il nome da chiunque sia stato o abbia avuto a che fare con colonizzatori o proprietari di schiavi, colpevoli di abusi verso le donne, i bambini o gli Lgbt, violatori dei diritti umani o dell’ambiente, razzisti, suprematisti bianchi eccetera.
SOSTITUIRE GEORGE WASHINGTON CON MICHELLE OBAMA
Anche un solo episodio increscioso ha deciso la rimozione e ora le scuole avranno tempo fino alla metà di aprile per ribattezzarsi, inviare una proposta a un apposito comitato per la ridenominazione il quale, dopo averla esaminata, la rimanderà al Board. Il Consiglio a quel punto voterà e a maggio ogni scuola avrà la coscienza smacchiata e partirà la trafila per cambiare materiali, segnaletica, uniformi, rimuovere targhe, statue: tra i nomi caldeggiati dal Consiglio scolastico figurano Barack e Michelle Obama, poeti, icone dei diritti civili, piante, animali, località geografiche. Una resa dei conti col passato che dovrebbe costare non meno di un milione di dollari, in un momento in cui 52 mila studenti stanno ancora studiando a distanza, nessuno ha ancora capito come e quando rientreranno a scuola e l’amministrazione deve “fare i conti” con un deficit di bilancio pari a circa 75 milioni di dollari.
QUEI 38 INDIANI DIMENTICATI DA LINCOLN
Pare che Lincoln fosse troppo concentrato sulla guerra civile e la liberazione dalla schiavitù per occuparsi anche degli indiani: dopo una rivolta in Minnesota ha salvato da impiccagione solo 265 su 303 sioux condannati a morte. Quanto a Feinstein, emblema delle conquiste femminili, ha fatto l’errore nel 1984 di sostituire una bandiera confederata danneggiata da alcuni manifestanti davanti al Civic Center, «una bandiera che è l’iconografia di terrorismo interno, razzismo, avarizia bianca e disumanità», ha tuonato Jeremiah Jeffries, presidente del comitato di ridenominazione e insegnante di prima elementare a San Francisco. Aggiungendo che però, essendo «ancora viva», l’anziana senatrice è «ancora in tempo per dedicare il resto della sua vita all’elevazione dei neri e di altre persone di colore».
L’INCREDIBILE INTERVISTA AL NEW YORKER
Piccolo particolare: il comitato ha deciso espressamente di non consultare alcuno storico per verificare le accuse di reato razziale imputate ai 44 personaggi in questione; anzi, è emerso che in alcuni casi le conclusioni del Consiglio erano completamente prive di fondamento. Settimana scorsa il New Yorker ha torchiato il presidente del Board, la trentenne Gabriela López, cercando di capire come si sposasse la da lei tanto decantata intenzione di «smantellare il razzismo» e insegnare la storia fino in fondo, anche la «verità più brutale», con certi svarioni, tipo motivare la rimozione di Paul Revere (l’argentiere noto per la “cavalcata di mezzanotte”) con il suo aver preso parte alla spedizione di Penobscot, campagna militare condotta senza successo contro gli inglesi nel Maine, che nelle motivazioni del comitato diventa «direttamente collegata alla colonizzazione dei Penobscot», una tribù di nativi americani.
GLI SVARIONI DEGLI INSEGNANTI DI SAN FRANCISCO
Le risposte di López sono un’insalata mista di ignoranza e slogan progressisti per contrapporre agli storici «un insieme eterogeneo di membri della comunità», «persone con una serie di esperienze che contribuiscono a queste discussioni», «persone provenienti da contesti diversi e istruite sui propri diritti», «altre voci» che consentirebbero agli studenti di «imparare di più su se stessi», «guarire come società», fare spazio non solo ai Lincoln ma anche «a qualcuno meno conosciuto». La donna arriva ad accusare il giornalista del New Yorker, che le sottopone tutti i casi di damnatio memoriae a caso del Consiglio colpite da accuse prive di alcun fondamento (come James Russell Lowell che contrariamente a quanto affermato dal Board era a favore del voto dei neri, o James Lick, rimosso a causa di una statua commissionata dalla sua fondazione quasi vent’anni dopo la sua morte) di «minare il lavoro che è stato fatto. E sto iniziando a credere che non sia un caso». Apoteosi quando le viene chiesto un parere su Lincoln:
«Penso che Lincoln riceva più elogi del… come posso dire questo? Sì. Non lo so. Non lo penso… Lincoln non è qualcuno che di solito tendo ad ammirare o vedere come un eroe, a causa di questi casi specifici in cui ha contribuito al dolore della decimazione delle persone – non è qualcosa che voglio ignorare. È qualcosa che sto imparando e di cui so che non si parla spesso».
Al giornalista che suggerisce che forse non è il modo migliore per avviare certi argomenti López risponde stizzita:
«Le persone avranno sempre un problema con la discussione sul razzismo. Questo è quello che so. Ecco perché ricevo minacce di morte. Ecco perché le persone non sono aperte ad altre possibilità. Perché quando abbiamo questa discussione, questi sono i risultati».
I GUANTI DELL’UOMO BIANCO SANDERS
Ecco, parliamo di risultati: il bravo Rod Dreher enuncia solo alcuni dei più importanti obiettivi raggiunti grazie all’asfissia ideologica degli antirazzisti, «una setta squilibrata». Ecco allora sul San Francisco Chronicle la testimonianza di un insegnante delle superiori di una scuola pubblica di San Francisco che si scaglia contro i guanti di Bernie Sanders, esempio plastico di “privilegio bianco”:
«Ero perplesso e arrabbiato come individuo mentre mi sforzavo di essere il miglior insegnante possibile. Cosa ho visto? Cosa pensavo che i miei studenti avrebbero dovuto vedere? Un uomo bianco ricco, incredibilmente istruito e privilegiato, che si presenta per quello che forse è il rituale più importante del decennio, in una giacca a sbuffo e guanti enormi (…) manifesta privilegio, privilegio bianco, privilegio maschile e privilegio di classe, in modi che i miei studenti potrebbero vedere e sentire».
SAN DIEGO, FORMAZIONE PER LA “GUARIGIONE RAZZIALE”
Studenti minacciati dai guanti dell’uomo bianco a San Francisco. E non se la passano meglio nel resto della California: Joe Biden ha appena nominato vicesegretario all’Istruzione Cindy Marten, sovrintendente del sistema scolastico pubblico di San Diego. Un distretto che chiamare radicalizzato è un eufemismo: dopo aver introdotto un esotico curriculum di “studi etnici” incentrato sul reclamo razziale, il San Diego Unified School District ha varato sessioni di formazione obbligatoria per la «guarigione razziale» degli insegnanti, incentrate sul “privilegio dei bianchi colonizzatori”. Tra i relatori niente meno che Bettina Love, la teorica della razza critica che accusa le scuole americane di «omicidio spirituale dei bambini neri» e predica la «terapia antirazzista per educatori bianchi» perché guariscano dalla loro ignoranza.
VOTI ANTIDISCRIMINATORI
Sempre sotto la guida di Marten, le scuole di San Diego hanno deciso di abolire ogni «classificazione discriminatoria»: il 20 per cento degli studenti neri ha concluso l’anno scolastico con una D o una F, così, invece di ragionare sui fattori che hanno permesso all’80 per cento dei neri di superare l’anno a pieni voti, il distretto ha deciso all’unanimità di abbattere il sistema per tutti. In base ai nuovi protocolli, nessuno dei 106 mila studenti di San Diego è tenuto a consegnare i compiti in base a una scadenza e agli insegnanti sarà vietato considerare la condotta in classe in fase di scrutinio. Invece di lavorare sulle condizioni che garantirebbero pari accesso all’eccellenza per tutti si è proceduto a eliminare le disparità livellando tutta la popolazione di studenti in base ai rendimenti più scarsi.
«L’ANTIDOTO AL RAZZISMO NON È L’ANTIRAZZISMO»
La nuova narrazione è che la disparità razziale rappresenti la più grande sfida educativa delle scuole americane, e che tale disparità sia unicamente riconducibile a suprematismo e razzismo sistemico tralasciando ogni considerazione sulla fragilità famigliare o l’assenza di libertà di scelta. «Le politiche “antirazziste” che ne derivano stanno diventando la versione moderna e involontaria del debole fanatismo delle basse aspettative», ha denunciato Ian Rowe, resident fellow dell’American Enterprise Institute e senior visiting fellow presso il Woodson Center, preoccupato dalla necessità di «promuovere l’equità razziale» di Biden. «L’antidoto al razzismo non è l’antirazzismo. È una filosofia dell’umanesimo che celebra ed eleva la dignità intrinseca di ogni individuo. E l’antidoto all’ineguaglianza non è la diminuzione delle aspettative per tutti. È pari opportunità e convinzione nella capacità di ogni persona di muoversi verso l’alto, indipendentemente dalla razza, dall’etnia o dal colore della pelle».
Possiamo ridere del consiglio scolastico di San Francisco per cui la verità non ha alcuna importanza o di San Diego, ma come ricorda Dreher «non dimentichiamo mai: ciò che accade in California raramente rimane in California».
Foto Ansa
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