La preghiera del mattino

Calenda ha letto tanti libri, ma forse non li ha capiti

Di Lodovico Festa
16 Agosto 2023
Rassegna ragionata dal web su: le liti perenni nel fu terzo polo, Renzi fanfaniano senza Dc e l'anniversario della scomparsa di Antonio Pilati
Carlo Calenda

Carlo Calenda

Su Huffington Post Italia Andrea Cangini scrive: «È tutto finito, dunque. È finito il sogno di un partito liberale più o meno di massa che, piazzato al centro dell’agone politico, scardinasse a colpi di realismo un bipolarismo stanco non senza fondamento ribattezzato “bipopulismo” durante la scorsa campagna elettorale. Si è esaurita la retorica dei competenti contrapposti ai demagoghi. Si è persa la speranza di richiamare alle urne su base razionale i milioni di elettori cosiddetti moderati che negli anni hanno trovato rifugio nell’astensionismo, in cuor loro continuando a sperare che qualcuno un giorno si dimostrasse all’altezza di rappresentarli senza per questo obbligarli a turarsi mio naso nell’atto del voto».

Cangini di fronte alle insensate liti tra Matteo Renzi e Carlo Calenda prende atto della disgregazione del cosiddetto Terzo polo. Questa disgregazione è a mio avviso determinata da due elementi. Innanzi tutto c’è una questione culturale. Matteo Renzi una cultura politica ce l’ha: quella fanfaniana, con la stessa arguzia e relativa arroganza del grande (piccolo di statura) politico aretino. Ma la cultura fanfaniana (e l’annesso stile) funzionava solo grazie a un partito come la Democrazia cristiana, che non esiste più.

***

Su Linkiesta Carlo Calenda scrive: «La situazione dell’Occidente è pericolosamente simile a quella dei roaring twenties. I divari economici, sociali e culturali sono aumentati a dismisura. Il distacco dai doveri civici (in primo luogo il voto) aumenta. Se non invertiamo questa tendenza i totalitarismi si riaffacceranno con volti nuovi ma costumi antichi. Questo è ciò che accade ogni volta in cui la velocità del progresso, il cambiamento dei costumi e l’emergere di disuguaglianze determinano uno “sradicamento” dell’uomo dalla sua identità. Compito dei democratici, dei liberali, dei riformisti e dei popolari, riuniti dal pensiero e dai valori repubblicani, è fermare questa deriva. Whatever it takes».

Calenda è senza dubbio una persona colta, molto più colta di quella specie di avventuriero che è Giuseppe Conte (però immensamente più furbo dell’ex direttore della Confindustria montezemoliana) prodotto di un sotto bottega di grandi giuristi della finanza e di ambienti del cattolicesimo progressista. Ma l’impressione, anche dalla righe che citiamo da una sua dichiarazione, è che Calenda i tanti libri che ha letto, non sempre li abbia ben compresi. Come si fa, infatti, a paragonare gli anni Venti del Novecento, dopo la tragedia della Prima guerra mondiale e dopo la Rivoluzione russa, agli anni Venti del XXI secolo? La grande cultura liberale e repubblicana poggiava sulla base di una solida analisi della storia nazionale che dal Risorgimento, dai Giuseppe Mazzini e dai Camillo Benso di Cavour arrivava agli Ugo La Malfa e ai Giovanni Malagodi. Dalla cultura storica dei Luca Cordero di Montezemolo (nonostante i legami dinastici di LCdM) c’è poco da spremere.

***

Su Firstonline Franco Locatelli scrive: «C’è anche da chiedersi se oggi il valoroso paladino di Industria 4.0 sia ancora un politico liberal o se invece, ossessionato dall’ombra di Renzi, assomigli sempre di più a un grillino un po’ demodé. Calenda rischia di passare alla storia come il picconatore del Terzo Polo ma anche di se stesso ed è un vero peccato».

Locatelli piange sulle posizioni “economico-sociali” di Calenda come Cangini lo fa su quelle politiche. Il direttore di Firstonline dovrebbe considerare su quanto le posizioni calendiane riflettano lo stato di un borghesia nazionale che non è più quella degli Enrico Cuccia, dei Raffaele Mattioli, dei Leopoldo Pirelli.

***

Sul Sussidiario Giulio Sapelli scrive: «Il 16 agosto di un anno fa lasciava la vita terrena Antonio Pilati. L’amico che lascia testimonianza – anche lui, non credente – che la morte non è rottura ma trasformazione. Trasformazione che si realizza nell’opera scientifica di un intellettuale di razza qual era Antonio, come documenta bene l’ultimo suo lavoro apparso poche settimane orsono grazie alla fedele sprezzatura di quel gran signore che è Riccardo Pugnalin: Mitologie italiane. Idee che hanno deviato la storia (Luiss, 2023). Un libro – l’ultimo libro – che testimonia come Antonio non abbia mai smesso di ricercare l’Altro nel confronto e con il confronto incontrare la realtà in tutte le sue cangianti espressioni».

E a proposito di rapporto tra cultura e politica, l’anniversario della scomparsa di Antonio Pilati è, come giustamente sottolinea Sapelli, un’occasione importante per piangere un intellettuale che tante lezioni preziose ci ha dato negli ultimi trenta anni.

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.