Tutte contro Caitlin Clark, la ragazza (bianca) che sta cambiando il basket femminile

La 22enne gioca nella WNBA da un mese e ha già portato più ascolti e sponsor di sempre a se stessa e alla lega. Ma non è afroamericana, è eterosessuale e ha troppo successo: per questo non piace alle altre giocatrici

Caitlin Clark (numero 22 delle Indiana Fever) festeggia un canestro da 3 punti segnato contro le Dallas Wings lo scorso 3 maggio (foto Ansa)

Un battito d’ali, o uno sbattere di palpebre come dicono là, e Caitlin Clark è diventata famosa, famosissima. Guardia, alta 1.83, fisico perfetto per la pallacanestro, Caitlin da un mesetto gioca nelle Indiana Fever della WNBA, la lega professionistica femminile americana, ed è certamente già la giocatrice più nota, anche se non (ancora) la migliore. Speciale, però, lo è di sicuro: il sorriso che buca il video anche quando si contorce in una smorfia di aggressività, l’apparenza, suffragata da fatti e parole, di una gioia pura nel praticare lo sport che ha sempre amato.

E poi lo stile di gioco, la fluidità nel tirare dal lontano: da tre punti non ha una percentuale fantastica, un 32,8 per cento che la mette al 34esimo posto, ma quando prende la palla dà sempre l’impressione di poterla mettere dentro e che dunque ciascun errore sia un maledetto figlio del fato e non di una sua tecnica errata.

L’ascesa fulminea di Caitlin Clark (e un capitolo incompiuto)

Un’ascesa forse prevedibile ma che è parsa fulminea per come è avvenuta, con un solo capitolo incompiuto, e incompiuto per sempre, ovvero la mancata vittoria del Torneo NCAA, il campionato universitario, due finali perse negli ultimi due anni, contro squadre peraltro migliori della sua Iowa. C’è qualcosa di pacatamente comune, e insieme sorprendentemente spiazzante, nel fatto che una ragazza di 22 anni – li ha compiuti il 22 gennaio – abbia contribuito nel giro di pochi mesi a cambiare percezioni e soprattutto pratiche della WNBA, lanciata quasi 30 anni fa dalla NBA per aprire nuovi mercati.

Negli Stati Uniti si parla di “effetto Caitlin Clark”: da quando c’è lei gli ascolti televisivi delle partite di basket femminile sono aumentate, c’è stato un incremento del numero di sponsor e addirittura la decisione della Lega di far effettuare le trasferte alle squadre su voli privati e non più normali voli di linea, pratica che in passato era stata contestata da molte giocatrici ma non era stata modificata dai vertici.

Bisogna ricordare, a questo proposito, che gli stipendi della WNBA non sono altissimi: il massimo a stagione (cinque mesi) è 241.984 dollari, non pochi di per sé ma una frazione di quello che guadagna un giocatore NBA. Clark con la sua popolarità ha fatto crescere tutto, già dal college: la finale NCAA 2023 aveva avuto ascolti più che doppi rispetto a quella del 2022 e attirato a bordo campo vip di vario tipo, con effetto domino per cui vip attira vip. In più, per una partita tra Iowa e Maryland, seguita in tv da 1,6 milioni di spettatori che in quel momento erano un record per la Fox, l’emittente accese una telecamera che seguì solo Clark, disponibile alla visione su TikTok, ottenendo altri 800.000 spettatori.

28 milioni dalla Nike. E non è finita

La pulizia del gioco di Clark, il suo sorriso, la sua disponibilità («i miei mi hanno insegnato che bisogna sempre fare qualcosa per mostrare gentilezza verso il prossimo») hanno fatto breccia: quando una bambina ha esposto un cartello con le parole «abbiamo fatto nove ore di auto per venire a vedere la migliore», Caitlin ha voluto salutarla e successivamente ha detto «quella bambina è come ero io anni fa. Andavo alle partite e volevo dare cinque alle giocatrici, volevo il loro autografo, volevo prendere al volo le magliette che lanciavano. A me, dedicare loro attenzione costa pochissimo tempo ma per loro è il ricordo di una vita».

Leggi anche:

Buoni sentimenti sposati a un successo commerciale senza precedenti: approfittando di una discussa, e discutibile, modifica al regolamento universitario, Clark ha cominciato a firmare contratti per diritti di immagine già al terzo anno di college, e il suo misero stipendio da matricola WNBA, 76.535 dollari, svanisce di fronte ai 28 milioni del contratto con la Nike e alle crescenti prospettive di sponsorizzazione. Però…

Fan di Caitlin Clark in Texas (foto Ansa)

Le giocatrici della WNBA contro Caitlin Clark

Però non tutti, anzi tutte, hanno accolto positivamente il suo arrivo: molte giocatrici della WNBA hanno dimostrato, a parole e con i fatti, un certo risentimento verso la nuova arrivata. E in molti casi il sospetto è che a dare fastidio siano anche il colore della pelle e i gusti sessuali di Caitlin, bianca ed eterosessuale: non bisogna dimenticare che alcuni anni fa Candice Wiggins, afroamerican che giocò nella WNBA dal 2008 al 2015, vincendo il titolo nel 2011, disse che «c’è una cultura pericolosa nella lega» e affermò di essere stata maltrattata in quanto eterosessuale, dato che secondo una sua stima a spanne la lega era al 98 per cento composta da lesbiche.

Come sempre in America si finisce sul razzismo

Di recente, Caitlin ha subito un fallo molto duro da Chennedy Clark, che l’ha spintonata poi, a quanto pare, insultata, e dopo un altro evidente fallo di Angel Reese, la sua grande avversaria al college, la stessa Reese ha insinuato che Caitlin fosse… protetta dagli arbitri.


Aggiungiamoci la mancata convocazione per le Olimpiadi, comprensibile sul piano tecnico ma insensata se si pensa che i vari Dream Team sono spesso stati assemblati con criteri più di marketing che di talento, e si comprende il clima difficile, in netta e insensata controtendenza con l’attuale rilancio della WNBA. E però, il risentimento di alcune colleghe ha creato anche condizioni per polemiche inevitabilmente di stampo razziale: da un lato è evidente l’astio di molte avversarie, per ora solo afroamericane, dall’altro c’è stato chi facendo leva su questa constatazione si è dato a considerazioni pesanti. E dopo un po’ la stessa Caitlin, rompendo il silenzio che saggiamente si era imposta, da 22enne ancora non pienamente a suo agio in certe situazioni, ha detto «il mio nome non dovrebbe essere usato per secondi fini. È brutto, è inaccettabile». Non è finita qui, temiamo.

Exit mobile version