C’è un Terzo mondo che recupera terreno

Di Tempi
16 Agosto 2001
Sul numero 28 di Tempi abbiamo dimostrato, cifre alla mano, che il discorso secondo cui la disuguaglianza fra paesi ricchi e paesi poveri va aumentando è, almeno per alcuni importanti aspetti, sbagliato

Sul numero 28 di Tempi abbiamo dimostrato, cifre alla mano, che il discorso secondo cui la disuguaglianza fra paesi ricchi e paesi poveri va aumentando è, almeno per alcuni importanti aspetti, sbagliato. Se si prende in considerazione l’Indice di sviluppo umano (Isu), elaborato in sede Onu per misurare il benessere di una popolazione in maniera più accurata di quanto si possa fare considerando il reddito medio pro capite (come continua a fare la Banca mondiale), risulta evidente che il Terzo mondo ha un po’ ridotto il gap coi paesi ricchi. L’Isu è un indice determinato dalla media ponderata di tre componenti: reddito pro capite, speranza di vita alla nascita e tasso di alfabetizzazione degli adulti. A luglio l’Undp (sigla inglese del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo), l’organismo Onu che per primo ha utilizzato l’Isu, ha pubblicato il suo decimo rapporto sullo sviluppo umano nel mondo, Human Development Report 2001, che conferma in pieno quanto abbiamo scritto.

Se stiliamo la classifica dei paesi che hanno maggiormente incrementato il loro Isu nell’ultimo decennio, scopriamo che fra i primi 20 ce ne sono 8 che fanno parte della categoria dei paesi a basso sviluppo umano (sotto i 400 millesimi) e solo 2 che fanno parte dei paesi ad alto sviluppo umano (sopra gli 800 millesimi). Gli altri sono paesi a medio sviluppo umano. Fra i 17 paesi, invece, che hanno perduto millesimi di Isu fra il 1990 e il 1999 solo 2 appartengono ai paesi a basso sviluppo, gli altri 15 ai paesi a medio sviluppo. La cosa più significativa ed importante è che fra i 20 paesi che hanno maggiormente migliorato lo sviluppo umano delle loro popolazioni ci sono Cina (2°), India (14°), Pakistan e Bangladesh, cioè quattro stati che da soli contano 2 miliardi e mezzo di abitanti. Da notare anche che la maggioranza assoluta dei top 20 è costituita da paesi asiatici (11), quindi vengono gli africani di pelle nera (5).

Interessante anche il quadro dei 17 paesi del mondo che nell’ultimo decennio sono indietreggiati non solo per quanto riguarda il reddito ma anche, quel che è più grave, quanto a sviluppo umano: 10 appartengono all’Africa nera, 7 ai paesi post-comunisti. Nessun paese asiatico o sudamericano appare in questa classifica. Appare dunque chiaro che non è la globalizzazione economica che produce regresso, ma piuttosto il fallimento della transizione dall’economia centralizzata a quella di mercato per quanto riguarda i paesi post-comunisti, e la piaga dell’Aids che ha ridotto di molto la speranza di vita in molti paesi dell’Africa nera, abbattendo di conseguenza il loro Isu. Paesi sempre più integrati nel commercio mondiale quali Cina, Corea del Sud, India, Singapore, ecc. hanno segnato significativi progressi.

Per onestà va infine segnalato che la caratterizzazione democratica o totalitaria dei sistemi politici non sembra incidere molto sull’andamento dello sviluppo: fra i paesi che hanno registrato i maggiori progressi troviamo Cina, Vietnam, Tunisia e Iran, che lasciano molto a desiderare quanto a diritti politici e civili. Ma se è vero quanto ha scritto Tocqueville, un rivolgimento politico in paesi come questi non può tardare.

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