Bufale? Sì, quelle del pentito. Scarcerato il re della mozzarella Mandara

Di Redazione
27 Agosto 2012
Giuseppe Mandara era stato arrestato a luglio perché membro di un clan che non esiste più da dieci anni. Colpa di un refuso e di un pentito che per il tribunale del Riesame si è dimostrato non credibile in «ogni suo movimento labiale».

Il re della mozzarella Giuseppe Mandara non era in affari con i clan della Camorra. Lo dice il Tribunale del Riesame di Napoli. «Altro che favoreggiamento. Altro che disponibilità. Altro che capitali da riciclare. Tutto falso. Tutto costruito su presupposti inesistenti» scrive oggi Stefano Zurlo sul Giornale. Il tribunale ha infatti revocato l’ordinanza del gip di Napoli che a luglio aveva portato all’arresto di Mandara e al commissariamento del suo stabilimento che produce mozzarella di bufala. Notizia che aveva fatto il giro del mondo, scrive Zurlo.

«Nel groviglio di accuse assemblate dalla Procura distrettuale antimafia di Napoli era finito davvero di tutto»: dal presunto cinismo di Mandara che decideva di lasciare in commercio una partita di formaggi contenente un pezzo di ceramica pericoloso per la salute e l’utilizzo di latte vaccino e non di bufala. Ma il Riesame, senza entrare nello specifico, ha demolito l’impianto accusatorio sin dalle fondamenta, che sono poi le parole di un pentito. Il collaboratore di giustizia è Augusto La Torre. Aveva parlato di un finanziamento di settecento milioni di euro negli anni ’80 all’azienda di Mandara. Ma secondo i giudici, il teste è del tutto inaffidabile. Infatti, gli era già stato revocato il programma di protezione testimoni, proprio grazie a una denuncia del Mandara, nel 2003. Inoltre, afferma il tribunale «la sua storia criminale (per tale intendendo anche l’intervallo collaborativo che non ha sedato gli entusiasmi delinquenziali del soggetto) è talmente costellata di costruzioni artefatte (oltre che di estorsioni e di omicidi a dozzine) da rendere sospetto e non credibile ogni suo movimento labiale ed ogni suo scritto».

«Eppure i suoi movimenti labiali, per usare le parole ironiche del riesame, sono i pilastri di questa inchiesta», scrive Zurlo. «Il collegio fa un calcolo semplice semplice: l’azienda fu acquistata, nel marzo dell’83, per «duecentoquindici milioni di lire, dei quali solo sette pagati in contanti, tutta la restante parte pagata con accollo di un mutuo e il rilascio di effetti cambiari». Dei settecento milioni nessuna traccia. Ma c’è di più: «Mandara è finito in carcere per essere membro di un clan che però non esiste più». Da dieci anni. Cos’è successo? Perché il gip ha pensato di applicare una misura coercitiva per la partecipazione di Mandara ad un clan che non esiste più da oltre dieci anni? Il gip deve essere stato tratto in inganno da un errore, afferma il tribunale del Riesame: «Un refuso, non cancellato dal file precedentemente in uso».

Articoli correlati

2 commenti

  1. Giava

    E questo mi fa pensare che allora la giustizia funziona! Un errore di un Gip e di una procura viene corretto dal Tribunale del Riesame: il sistema dei controlli tra tribunali funziona, e ciò fa stare tutti un po’ più sereni

    1. Alberto

      Giava, spero tanto che la tua sia solo dell’ironia…

I commenti sono chiusi.