Bridgestone chiude a Bari. Operai: «Siamo i migliori per la qualità, perché ci sputano via?»

Di Chiara Rizzo
07 Marzo 2013
Intervista a Filippo Lupelli (Uiltec-Uil): «Lo stabilimento si muoveva come un corpo unico, verso l'eccellenza e i costi sono minori che altrove. Approfittano della crisi politica».

«Tra gli operai il sentimento più forte è quello di tradimento, perché si sono sempre spinti i livelli qualitativi molto in alto, è sempre stato uno stabilimento che si muoveva come un corpo unico verso l’eccellenza. Tutti sentono di appartenere, dal primo all’ultimo operaio, ad una sola squadra e ora tutti si sentono rigettati, sputati via». Così Filippo Lupelli, segretario provinciale del sindacato Uiltec-Uil Bari, descrive a tempi.it quanto accaduto ieri mattina, durante la prima di tre assemblee con i 950 dipendenti dello stabilimento Bridgestone di Modugno, dopo la «decisione irrevocabile» della multinazionale di chiudere. «Lo hanno comunicato alle Rsu in conference call all’improvviso» dice Lupelli.

Vi aspettavate questa comunicazione?
No, assolutamente. Ci sono stati ovviamente segnali di crisi, dal 2008, ma come in tutto il settore dell’automotive, tant’è che sono stati usati gli strumenti classici, cioè la cassa integrazione ordinaria, per abbattere i costi. I dipendenti diretti a Modugno sono 950, più 122 interinali a supporto della produzione: in passato si era creato una sorta di “contenitore” di manodopera, quando c’era il turn over dei pensionamenti scattava l’assunzione per gli interinali, che avevano già una formazione avendo lavorato a Modugno. A causa della crisi, gli interinali però sono stati progressivamente tagliati, gli ultimi sono andati via un paio di mesi fa. A quel punto abbiamo messo in piedi una task force sindacati-azienda, perché i volumi della produzione erano divenuti instabili: se dalla sede europea di Bruxelles di mese in mese comunicavano che la produzione non era in linea, ma c’erano cali, monitoravamo insieme la forza lavoro per rimanere competitivi.

Dopo cos’è successo?
All’ultimo incontro di novembre, si è fatta come sempre una comparazione tra gli otto stabilimenti europei. Ed è emerso chiaramente che Bari non era nemmeno quello con i costi maggiori rispetto al settore Europa occidentale (per l’esattezza eravamo terzultimi). Inoltre in termini di qualità Modugno è uno dei più avanzati in Europa. Solo due anni fa ha ottenuto il premio per la professionalità e poi abbiamo ottenuto l’attenzione della Bmw, che secondo i suoi parametri di altissimo livello ha scelto il nostro stabilimento per produrre le gomme delle proprie vetture. Abbiamo subito audit fortissimi dalla Bmw, dopo i quali abbiamo avuto l’ok alla produzione e siamo gli unici della Bridgestone che lavorano in Europa per la casa tedesca. Qui a Modugno ci sono poi tipologie di pneumatici che vengono fatte anche per altri brand, come Peugeot e Volkswagen. Quindi non capiamo la scelta di tagliare proprio noi. Anche il metodo con cui ci hanno comunicato la decisione è stato di una violenza inaspettata: lo hanno comunicato alla Rsu in conference call, senza che venissero informati i sindacati o gli enti locali. Senza dimenticare che la legislazione italiana, con gli ammortizzatori sociali, aiuta le imprese ad attutire l’impatto della crisi più di altri paesi. Perciò è una decisione stranissima, non ci sono le condizioni per chiudere, si possono trovare alternative.

Se i vostri standard di qualità sono alti, perché chiudono proprio il vostro stabilimento secondo voi?
Stanno approfittando della situazione politica italiana, dell’assenza di un governo nazionale e di politiche industriali che da tempo non vengono realizzate, soprattutto durante quest’anno di governo tecnico. Se Bridgestone avesse preso questa decisione per stabilimenti francesi o spagnoli, ci sarebbero state subito resistenze. Forse pensano che l’Italia non ha la forza di reagire.

Cosa accadrà ora?
La settimana prossima tutti noi sindacati andremo al ministero del Lavoro a chiarire questo aspetto. La decisione di chiudere è stata assunta dallo stabilimento Bridgestone Bruxelles, ma aspettiamo la settima prossima per un incontro congiunto, che sta assumendo anche un carattere diplomatico. È stata contattata anche l’ambasciata giapponese, perché il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera vuole che partecipino al tavolo anche i vertici della casa madre di Tokyo.

E in fabbrica cosa sta succedendo?
Siamo in attesa, tra sabato e lunedì, di un incontro con le istituzioni locali, con la Regione e il sindaco. Sia il sindaco di Bari Michele Emiliano che il governatore Nichi Vendola si sono offerti di darci sostegno, ma ancora di persona non abbiamo parlato con loro e vorremmo capire insieme quale posizione tenere al ministero, perché vogliamo fare un gioco di squadra. Come sindacati siamo già uniti e anche gli autonomi sono con noi. Ieri a Modugno si sono tenute due assemblee: una di mattina, hanno partecipato 300-400 lavoratori, una alle 21 e un’altra sarà oggi. Stiamo informando i lavoratori e compattando la forza operaia, ma non solo, perché alle assemblee partecipano anche i quadri e i dirigenti aziendali, i quali non non sapevano nulla e la ritengono una scelta inspiegabile. Temiamo poi, essendoci altri stabilimenti di multinazionali nella zona, un effetto domino. Ma dalle altre aziende ci giungono continui messaggi di solidarietà. Se la Bridgestone si ritirasse da Modugno, potrebbe essere un precedente molto grave, per cui ci sono altre maestranze pronte a stare al nostro fianco.

Com’è andato il primo incontro con gli operai Bridgestone?
Sono tutti meravigliati per l’improvvisa decisione e si sentono traditi perché qui si sono sempre spinti i livelli qualitativi molto in alto, è sempre stato uno stabilimento che si muoveva come un corpo unico verso l’eccellenza. Tutti sentono di appartenere, dal primo all’ultimo operaio, ad una sola squadra e ora tutti si sentono rigettati, sputati via, perché l’azienda non ha fatto nulla per risolvere il problema prima e ha dato questa notizia, definendola “irrevocabile decisione”. Gli operai stamattina mi dicevano: “Ci hanno chiesto tutto, di lavorare di notte, di sostenere ritmi produttivi più serrati. Allora perché, se c’era questo problema, non ci hanno detto nulla, non ci hanno chiesto aiuto? Avremmo fatto qualcosa”. È da 50 anni che c’è questo stabilimento. Per il momento noi sindacati abbiamo dato mandato di continuare a lavorare regolarmente, di produrre durante l’orario. Non vogliamo dare nessun alibi, qualsiasi iniziativa per difendere l’azienda va fatta fuori dai cancelli: chi smonta, fa i sit-in. Ma non perdiamo la speranza. Si può ragionare sui costi del lavoro e anche le istituzioni sono disposte ad impegnarsi con dei sostegni. Di solito gli imprenditori italiani ci dicono di aiutarli a tenere la produzione, dare una mano a sostenere i costi, ma non vogliono chiudere. Qui invece decidono tout court la chiusura. Noi però forse possiamo fare ancora qualcosa per evitarla.

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1 commento

  1. francesco taddei

    alrti ce ne sono di esempi in italia oltre a questo. si divertono a trattarci come zerbini.

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