
Bratislava, un museo per gli “eroi silenziosi” vittime del comunismo. Che ancora oggi si fatica a ricordare
È stato inaugurato a Bratislava il Museo dei crimini e delle vittime del comunismo, che aggiunge un tassello importante al “puzzle della memoria” comprendente diverse città dell’ex Blocco sovietico. Il progetto, fortemente voluto dai volontari dell’associazione “Eroi silenziosi” e della Confederazione degli ex-detenuti politici, era stato lanciato inizialmente nel 2010 dal Forum delle Associazioni Cristiane e sostenuto dalla premier Radicova, la quale avrebbe voluto concedere degli spazi addirittura nella sede del nuovo governo. Poi alle elezioni ha vinto il centro-sinistra e il progetto ha dovuto camminare con le proprie gambe. Così il 16 novembre – data simbolica che ricorda la Rivoluzione dell’89 – l’inaugurazione “temporanea” (in attesa di quella ufficiale prevista nel marzo prossimo) ha avuto luogo nei locali messi a disposizione dall’Università della Salute e del Lavoro sociale il cui rettore è Vladimír Krcméry, nipote di quel Silvester Krcméry che è stato uno dei personaggi più famosi, benché a sua volta “silenzioso”, della cosiddetta Chiesa clandestina durante il regime comunista.
«CERCHEREMO UN EDIFICIO PIÙ GRANDE». Il dottor Krcméry ha concesso ai volontari l’ampio solaio di un edificio che un tempo ospitava la scuola infermieri e dove aveva studiato anche la beata suor Zdenka Schelingová, vittima del comunismo. «In futuro tenteremo di trovare un edificio più grande, per ora cerchiamo di sfruttare al meglio quel che c’è», ha dichiarato il presidente degli “Eroi silenziosi” František Neupauer, già collaboratore dell’Istituto slovacco per la memoria nazionale. Intanto ogni occasione è buona per farsi conoscere e raccogliere fondi: al termine di un’intervista per la Radio ceca, persino la giornalista ha sborsato 5 euro di offerta!
UN MOVIMENTO SILENZIOSO. Il progetto copre il periodo che va dal ‘48 – anno del putsch comunista – all’89, e si concentrerà soprattutto sulle vicissitudini personali di molti “eroi”, coinvolgendo in questa ricerca anche gli studenti delle superiori, già protagonisti dell’inaugurazione e del “percorso concentrazionario” a Bratislava sui luoghi-simboli delle repressioni. Gli archivi dell’associazione conservano oltre 70mila casi di personaggi “poco appariscenti” ma che hanno saputo opporsi al totalitarismo con la loro statura umana e il loro senso della giustizia «contribuendo così al ritorno della democrazia». A ciò si aggiungerà altra documentazione sui regimi totalitari extra-europei (Cambogia, Ruanda, Sudan). Inoltre il museo ospiterà delle teche con oggetti d’epoca realizzati nei campi dai detenuti politici; c’è già un piccolo soldato Švejk fatto con la mollica di pane e una composizione lignea, bellissima, con una storia particolare: un drago che minaccia una principessa piangente, intaglio eseguito da alcuni detenuti delle miniere di uranio della Boemia settentrionale e regalato a un’impiegata civile di cui si erano innamorati. Altri oggetti arriveranno grazie alla Confederazione degli ex-detenuti, il cui presidente Anton Srholec è un accanito sostenitore dell’iniziativa. A differenza del ministro della cultura Mad’aric (ex-comunista, oggi tra i socialdemocratici) il quale ha ribadito che il governo non sborserà un centesimo, anche perché in Slovacchia «ci sono già un sacco di musei».
UN MONITO PER TUTTA L’EUROPA. Già: che necessità c’è di aprire un museo di questo tipo quando la crisi economica sta colpendo anche la piccola repubblica? Nel 1978 l’allora drammaturgo e dissidente Havel nel saggio Il potere dei senza potere scriveva che la loro situazione costituiva un monito anche per l’Occidente, e che era solo accidentale il fatto che fosse un totalitarismo comunista, perché il problema stava più in profondità: «La crisi planetaria della condizione umana penetra sia il mondo occidentale sia il nostro: in Occidente assume solo forme sociali e politiche diverse. Nulla induce a pensare che la democrazia occidentale possa offrire una via d’uscita più profonda… Solženicyn denuncia l’illusorietà di speranze che non sono fondate sulla responsabilità e la conseguente incapacità cronica delle democrazie tradizionali di fronteggiare la violenza e il totalitarismo». Un museo come questo, nato dall’entusiasmo di un gruppetto di amici che si riconoscono nella tradizione cattolica, dove la memoria è più importante «della ragione astratta che vuole emanciparsi da tutte le tradizioni e dalla storia stessa», può contribuire a far sì che da un lato non vengano tagliati i ponti col passato, e dall’altro a mettere in guardia dalla tentazione totalitaria presente in ciascuno: «Il miglior sostegno contro il totalitarismo – ha scritto Havel – è scacciarlo dalla nostra anima, dal nostro ambiente, dalla nostra terra, scacciarlo dall’uomo contemporaneo».
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