
Bortolussi (Cgia): «Le piccole imprese in crisi riguardano tutti. Bisogna rilanciare subito i consumi»
«Almeno una piccola impresa su due è costretta a rateizzare le retribuzioni ai propri collaboratori»: è questo il richiamo lanciato su tempi.it da Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre, autrice dello studio sul conto che stanno pagando le piccole e medie imprese italiane per la crisi. Un disagio che culmina spesso nell’aumento dei protesti alle aziende stesse, che spesso non riescono a onorare cambiali e assegni. Alla fine dello scorso anno, secondo lo studio, le insolvenze complessive delle pmi italiane ammontavano a più di 95 miliardi di euro, con un aumento del 165 per cento dei casi di aziende in sofferenza con i pagamenti bancari, con il problema di assegni o cambiali scoperti e la difficoltà di saldare i titoli di credito ottenuti.
Ci dà le dimensioni di questo fenomeno? Quante sono in Italia le aziende con dipendenti che devono rateizzare gli stipendi?
Per fortuna il 70 per cento delle piccole imprese italiane non ha dipendenti e non risente del problema: ma il restante 30 per cento risente di una fase temporale, durante la campagna elettorale, in cui il problema è stato trascurato. Ci risultano anche diverse centinaia di casi di persone che si sono licenziate, perché non ricevevano lo stipendio con la speranza di ricollocarsi, ma quasi nessuno riesce poi a trovare un nuovo lavoro. E ci sono anche i casi dei piccoli imprenditori che non riescono a chiudere, perché non possono pagare i Tfr, ma in realtà non resistono più ai debiti. Le nostre aziende, per la maggior parte, sono sottocapitalizzate e dipendono dalle banche. Perciò in questo momento in cui le banche non concedono facilmente crediti, ovviamente la situazione è destinata ad aggravarsi. A ciò si aggiunga il fatto che i tempi di pagamento si sono allunganti anche per le grandi aziende, per esempio quelle che lavorano nei grandi appalti, con la Pubblica amministrazione, e quindi a ricaduta vengono pagate in ritardo anche le piccole che collaborano in subappalto. Per questo la Cgia ha voluto lanciare un monito.
Che soluzioni proponete per uscire da questa fase?
Dobbiamo prestare molta attenzione al problema. È necessario cambiare subito politica e passare da quella del rigore a quella che rilancia i consumi, perché le piccole imprese vivono nel territorio e del territorio, non esportano, e se i consumi non riprendono non ne usciamo. La prima cosa da non fare è quindi un aumento anche solo di un punto percentuale dell’Iva. Serve anche che non si aumenti la Tares e l’Iva sui capannoni industriali.
Qualche consiglio al nuovo governo?
Dico ai politici di fare attenzione davvero, perché quando le imprese si avviano nel circolo vizioso della crisi non ne escono. Il 98 per cento delle nostre imprese ha meno di 20 addetti, il 95 meno di 10. In tutta Europa negli ultimi dieci anni i nuovi posti di lavoro sono stati creati dalle aziende con meno di 10 addetti, perciò anche in termini di rilancio dell’occupazione occorre capire che la fase critica che sta affrontando la piccola impresa riguarda tutti noi. Il primo accordo tra i partiti va trovato su questo punto.
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