Boom di affidi. «Un’occasione per imparare cos’è la cultura dell’accoglienza»

Di Matteo Rigamonti
23 Novembre 2012
In dodici anni gli affidi sono aumentati del 42 per cento. Intervista a Rosi Serio, vicepresidente dell'associazione Famiglie per l'accoglienza

In dodici anni, in Italia, gli affidi sono cresciuti del 42 per cento: dai 25.145 del 1998 si è passati ai 29.309 del 2010. Ma ad essere aumentati, in particolare, sono gli affidi familiari, che sono passati da 10.200 a 14.528 (più 46 per cento). Mentre gli inserimenti in strutture sono praticamente rimasti stabili a quota 14 mila. Un’esperienza, quella dell’affido – sia consensuale che no –, che a molti ragazzi ha offerto e continua ad offrire la possibilità di incontrare una seconda famiglia che, senza sostituirsi a quella d’origine, permette di compiere i giusti passi per diventare uomini. «Il nostro scopo è quello di offrire ai ragazzi le giuste condizioni per la loro crescita umana e l’inserimento nella società», dice Rosi Serio, vicepresidente dell’associazione Famiglie per l’accoglienza, parlando dell’affido. «E per farlo occorre solo una cosa: la cultura dell’accoglienza».

Come si spiega questo dato?
Anzitutto è un dato che dimostra l’accresciuto riconoscimento del valore educativo e sociale dell’accoglienza, che è possibile grazie alla presenza delle molte associazioni che operano in questo campo. Quanto ai motivi, poi, è innegabile il costo irrisorio per la collettività dell’affidamento in famiglia e la dimensione economica è imprescindibile in un momento come l’attuale in cui Comuni e Regioni hanno sempre meno risorse a disposizione. Pesa certamente, infine, anche l’avvenuta chiusura dopo il 2006 degli istituti per i minori.

Tra le cause più comuni dell’affido, secondo il ministero, c’è l’inadeguatezza genitoriale (37 per cento dei casi). Cosa significa?
È un fenomeno dalle molteplici sfaccettature, difficile da semplificare, ma che certamente attiene ai limiti di uno o di entrambi i genitori nella capacità di assicurare un adeguato sviluppo educativo ai figli. Le cause possono essere di diverso tipo: variano dalla fragilità psichica o psicologica del soggetto, ad una eventuale forma di dipendenza, passando per i casi più “semplici” di mancata educazione ricevuta da parte dei loro stessi genitori.

A rientrare nella famiglia d’origine, una volta terminato l’affido, è il 34 per cento dei ragazzi. Perché?
È vero, più del 60 per cento dei ragazzi non ritorna alla famiglia di origine; ma non è un fallimento se l’affido non termina con il rientro. Lo scopo dell’affido, infatti, è quello di garantire al ragazzo un contesto familiare adeguato, che gli permetta di crescere, senza precludergli certo la possibilità di avere un giusto rapporto con la famiglia d’origine, che resta essenziale per il suo sviluppo.

Qual è il compito di una famiglia che accoglie una persona in affido?
Noi offriamo una compagnia che ha lo scopo di sostenere la possibilità di una crescita personale al ragazzo e il suo inserimento nella società. Per questo la cosa più importante è l’educazione, innanzitutto nostra, alla cultura dell’accoglienza. Solo così, infatti, possiamo partecipare alla creazione di una migliore qualità di vita nella società.

Cos’è la cultura dell’accoglienza?
L’accoglienza è una dimensione fondamentale nell’esperienza della persona. Chiunque, infatti, ha bisogno di essere accolto per sentirsi pienamente uomo. Noi cerchiamo pertanto di sostenere nei fatti l’originale desiderio e apertura che sono nel cuore di ciascuno, sperando che sempre possa avvenire l’incontro con l’altro: sia che sia un amico, un familiare o persino un estraneo.

@rigaz1

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1 commento

  1. marta

    Forse i numeri che avete scritto sono sbagliati? (non mi ritrovo con le percentuali). Grazie

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