
La Bolivia caccia Morales per non fare la fine del Venezuela

Come può succedere che un capo di Stato che ha presieduto a 14 anni di crescita economica che hanno quasi quadruplicato il Prodotto interno lordo del suo paese e dimezzato i tassi di povertà sia costretto a presentare le dimissioni da inarrestabili proteste popolari e pressioni dei rappresentanti delle istituzioni e a ritirarsi nella sua regione di nascita per evitare un possibile arresto?
LA SCONFITTA REFERENDARIA DI MORALES
Può succedere se il presidente si è montato la testa, ha vinto le ultime elezioni solo grazie ai brogli, ha usato la clava di un potere giudiziario asservito per azzoppare i suoi avversari politici e si è presentato alle elezioni per il rinnovo del suo mandato fino al 2024 facendosi un baffo della bocciatura del referendum costituzionale col quale intendeva aprire la strada alla sua terza rielezione. Tre anni fa Evo Morales, primo presidente indigeno della Bolivia salito al potere alla fine del 2005, ha perso per soli 135 mila voti il referendum che doveva approvare gli emendamenti alla Costituzione del 2009 che avrebbero permesso a lui e al vicepresidente di presentarsi per una seconda rielezione: la costituzione vigente permetteva una sola rielezione, già avvenuta.
Poco male: qualche mese dopo il partito del presidente, Movimento per il socialismo (Mas), ha presentato ricorso al Tribunale Supremo di giustizia, che fa ufficio di Corte costituzionale, e questo ha stabilito che la Costituzione del 2009, voluta e approvata da Morales e dal suo partito, violava i diritti umani di Morales ponendo dei limiti al numero delle sue rielezioni! Lì è cominciata la parabola discendente di un leader della sinistra latinoamericana che ha sì dimezzato la popolazione povera dal 60 al 34 per cento del totale, ma ha anche speso troppi soldi in musei autocelebrativi pagati coi soldi dello Stato (7 milioni di dollari quello eretto nel suo villaggio di natale di Orinoca) e troppo pochi per combattere la siccità, le invasioni di cavallette e ultimamente gli incendi nella foresta amazzonica boliviana.
I BOLIVIANI NON VOGLIONO FARE LA FINE DI CARACAS
La ricetta per il successo politico di Morales, sindacalista dei raccoglitori di coca, e per quello economico della Bolivia è stata molto semplice: nazionalizzare il settore minerario, estrarre quanto più gas naturale, litio, stagno, tungsteno, oro, argento, ecc. possibile, e usare i profitti per alzare il livello di vita della popolazione più povera. Grazie ai processi di industrializzazione dei paesi asiatici – Cina in prima fila -, bisognosi di enormi quantitativi di materie prime, la ricetta ha funzionato, generando un tasso medio di crescita del 4,9 per cento all’anno fra il 2006 e il 2018. Ma quando la domanda asiatica di materie prime e quella latinoamericana di gas naturale hanno cominciato a scemare, in assenza di industrie della trasformazione mai avviate, il governo boliviano ha dovuto fare ricorso all’indebitamento, interno ed estero: dal 2015 il deficit di bilancio supera il 6 per cento, e quest’anno ha sfondato l’8 per cento.
I boliviani, gente sveglia, hanno subito capito che il paese si avviava sulla stessa strada percorsa dal Venezuela: economia nazionalizzata in picchiata dopo la caduta dei corsi del petrolio e autocrazia in ascesa per permettere a Morales e al suo Mas di mantenere le briglie del potere, come dimostra il fatto che su istigazione del governo negli ultimi anni i giudici hanno incriminato per reati di vent’anni fa due ex presidenti, un ex vice presidente e tre esponenti di punta dell’opposizione. All’indomani delle elezioni presidenziali il cui risultato è stato dichiarato inficiato da gravi brogli nel rapporto degli osservatori dell’Organizzazione degli stati americani (Osa), anche sindacalisti, esponenti della maggioranza governativa e governatori regionali a lui allineati lo hanno invitato a dimettersi e a permettere la convocazione di nuove elezioni.
SI TORNA ALLE ELEZIONI
Morales ha ceduto solo quando si sono mossi esercito e polizia, e ha denunciato di essere vittima di un golpe: tutto questo non è certo un buon segno della salute della democrazia nel paese latinoamericano che ha conosciuto la maggior crescita economica nell’ultimo decennio. Resta da vedere se la ripetizione delle elezioni calmerà gli animi o radicalizzerà l’antagonismo fra i due campi, quello dei pro Morales e degli anti Morales.
Foto Ansa
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