
La preghiera del mattino
Strali tedeschi sul Macron “cinese”. Lettura consigliata ai fissati con l’isolamento dell’Italia

Su Startmag Pierluigi Mennitti scrive: «Röttgen, il più atlantista dei deputati del Bundestag, è il responsabile della politica estera della Cdu e un fedele interprete degli umori del nuovo partito di Friedrich Merz, impegnato a ridisegnare la politica cinese dei cristiano-democratici e a far dimenticare gli anni merkeliani del lungo abbraccio con Pechino. Per Röttgen, “Macron è riuscito a trasformare il suo viaggio in Cina in un colpo da pubbliche relazioni per il presidente cinese Xi Jinping e in un disastro di politica estera per l’Europa”. L’esponente cdu incalza: “Un attacco a Taiwan sarebbe diventato tanto più probabile quanto più Xi avesse creduto che l’Europa sarebbe rimasta neutrale in un simile conflitto. Ma noi non siamo neutrali”. Anche dal fronte governativo i commenti sono negativi. Il segretario generale dell’Fdp, Bijan Djir-Sarai, ha evidenziato come “la posizione di Macron non sarebbe una strategia saggia per l’Europa, perché viviamo in un mondo pericoloso”. E Metin Hakverdi, l’esperto di politica estera dell’Spd, il partito del cancelliere, ha dichiarato che sarebbe “un grave errore” per l’Occidente lasciarsi dividere nei rapporti con Pechino: “Questo indebolisce la nostra comunità di valori occidentale”, ha detto, “nei confronti della Cina, l’Occidente, cioè l’Europa e gli Stati Uniti, devono sempre cercare di agire insieme, non divisi”».
Ecco un’intelligente e informata lettura del dibattito in Germania sulla politica estera che consiglio a chi insiste sull’isolamento internazionale di Giorgia Meloni.
* * *
Su Fanpage Tommaso Coluzzi scrive: «Le parole di Calenda sull’assenza di un erede e sulla fine della Seconda Repubblica, sono state lette negativamente anche nel suo stesso gruppo politico: “Le parole di Carlo Calenda su Berlusconi sono davvero pessime. Capisco l’indignazione di Barelli”, ha detto il deputato di Azione-Italia viva Roberto Giachetti su Radio Leopolda».
Nell’“ordinata Prima Repubblica” sulla scena politica c’erano i “protagonisti” che spesso avevano una visione lunga, da statisti, c’erano i “provocatori” che si distinguevano per battute e paradossi non di rado stimolanti e divertenti. Poi c’erano i “ragionatori” che volevano segnalare la complessità di certe situazioni e delle soluzioni necessarie per affrontarle. Nella nostra incasinata Seconda Repubblica, vi sono ancora alcuni “protagonisti”, forse un po’ meno “statisti” di quelli pre ’92 e spesso presenti per brevi stagioni (solo Silvio Berlusconi dura interrottamente – e personalmente mi auguro una salute che gli permetta di continuare a essere presente – da trenta anni) e non mancano i “provocatori”. Ma quel che sorprende maggiormente sono certi personaggi che se la tirano da “ragionatori” e non sono capaci di mantenere mai un buon livello di decoro nel loro discorso pubblico. Si considerino un Carlo Calenda o un Carlo De Benedetti che a lungo si sono presentati come “il razionale” contro “l’esagerato”, mentre sono di fatto in preda a un esibizionismo talmente sfrenato da farci temere che un giorno o l’altro si presentino in un qualche parchetto tutti nudi sotto un impermeabile a spaventare bambini e vecchiette.
* * *
Sugli Stati generali Paolo Manfredi scrive: «Perché con il faldone nelle mani di Giorgia Meloni non esiste più parte politica nell’emiciclo parlamentare che non abbia toccato il Piano, da chi lo ha contrattato a chi è stato ritenuto più adatto a metterlo a terra, a chi se l’è trovato da gestire nella fase da qui al 2025 in cui si aprono solo cantieri e si tira la cazzuola, mentre nel 2026 si fanno i ritocchi e le pulizie per le inaugurazioni, di tutto. La tempistica è (era) questa, gli scarti possibili sono attualmente calcolabili nel giro di mesi e nuovamente siamo nelle mani dell’Europa. Posizione scomoda, anche perché l’anno prossimo ci sono le Europee, tutti tengono famiglia, la destra ha appena vinto anche in Finlandia (e ci siamo bruciati un’altra eroina prog di carta) e magari a Francia e Germania potrebbe venire voglia di metterla giù dura per punire gli italiani cattivi e fassisti e fare bella figura con i propri. Poi non succede, ma potrebbe. Per questo l’allarme rosso è giustificato, ed è assolutamente, e purtroppo, giustificata anche la sensazione che un governo politico, per quanto dotato di ampia e fresca base parlamentare, non possa da solo gestire questa mole di impegno a fronte della fragilità delle strutture e della, spesso dolosa e certamente intonsa, frizione che accompagna ogni processo amministrativo, frenando ogni corsa. È assai probabile, l’ho scritto scherzando su Facebook ma ci credo, che un governo possa cadere su una cosa simile, nonostante la base parlamentare che si ritrova. In alternativa, lo propone oggi il sempre lucido Pier Ferdinando Casini, si dà al Pnrr valore di passaggio nonpartisan, come la Costituente, si decidono assieme in Parlamento le modifiche da proporre all’Europa e le modalità per salvare capra (fluidificando la burocrazia) e cavoli (non dando gli appalti al cugino). Tutti quelli che partecipano si intestano gli eventuali successi e nessuno fa polemica».
Nel sito di sinistra guidato dall’intelligente giornalista Jacopo Tondelli, si leggono spesso opinioni di qualità come questa di Manfredi (a parte le considerazioni esagerate sulla luciidità di quella talpotta politica di Casini) che chiede che in Parlamento, al di là della legittima e utile lotta politica tra maggioranza e opposizione, si trovino anche gli spazi per difendere il bene comune che in questo caso consiste nel far funzione il Pnrr, avviato maldestramente nella forma, ma utilmente nella sostanza da Giuseppe Conte, corretto sensatamente ma forse inadeguatamente da Mario Draghi e ora affidato affannosamente a Giorgia Meloni.
* * *
Su Dagospia si riprende un articolo di Alberto Magnani per Il Sole 24 Ore dove si scrive: «Lo scalo della capitale della Mauritania, Nouakchott, si chiama Port de l’amitié, Porto dell’amicizia: un nome che potrebbe suonare curioso per un hub logistico con poco più di 40 anni di storia alle spalle. L’enigma si svela quando si scopre che la “amicizia” in questione è con lo stesso paese che sta puntellando di accordi, investimenti e progetti i 26 mila chilometri delle coste africane: la Cina, protagonista di un’espansione sempre più capillare anche sul fronte degli scali marittimi che veicolano il commercio via mare con l’Africa. Il canale che smista, da solo, il 95 per cento dei flussi fra i paesi del continente e il resto del mondo, contro il 4 per cento affidato al trasporto aereo».
L’Europa non è (ancora?) messa come l’Africa, ma dal Pireo ad Amburgo, da Rotterdam a Taranto, da Fiume a Trieste, la Cina tenta non solo di utilizzare ma di controllare tutti i porti che le sono necessari per consolidare le sue esportazioni e in particolare quelli mediterranei, che sono indispensabili per completare l’operazione cosiddetta nuova Via della Seta. Chi ha letto Gomorra di Roberto Saviano ha imparato quanto la penetrazione cinese, con un mix di Stato e Triadi, sia forte nel porto di Napoli. Un generale dei carabinieri mi ha raccontato che l’influenza cinese è ancora maggiore a Gioia Tauro. Finita l’allegra era di Angela Merkel, che seguendo il suo istinto bottegaio ignorava le conseguenze geopolitiche delle sue scelte economiche, e sperando di scansare un rinnovo di questa “era” grazie a Emmanuel Macron, credo che dobbiamo avere una forte consapevolezza di come combinare la necessaria difesa della globalizzazione dell’economia con le ragioni di sicurezza e sovranità degli Stati europei sia un compito, pur complesso, dal quale non possiamo sottrarci.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!