Il sugo della storia

Spiegare la fede come metodo di conoscenza in classe. E parlare di Chiara Corbella

chiara corbella«Siamo nati e non moriremo mai più» era solita ripetere Chiara Corbella. Nell’attesa della Pasqua di Cristo voglio ricordare la grande testimonianza di una ragazza morta a soli ventotto anni il 13 giugno del 2012. Ne sono rimasto profondamente colpito, tanto che ho sentito l’esigenza di raccontarla a tutti i miei amici, anche ai miei studenti, quando in classe, qualche settimana fa, è sorto il confronto su che cosa fosse la fede. Tra le tracce assegnate ai miei alunni del triennio quella che aveva riscosso maggiori consensi era relativa alla fede come metodo di conoscenza. Questa era la traccia: «La fede è un criterio di conoscenza, uno dei più utilizzati, se non il più frequente nella vita quotidiana. Del resto la stessa cultura si basa su questo principio di fede, fiducia, credito attribuito a testimoni credibili. Argomenta in maniera opportuna tali affermazioni adducendo esemplificazioni per corroborarle o per confutarle. Soffermati, poi, sulla fede nel campo religioso: è della stessa natura della fede negli altri campi? Infine, rifletti sul tuo cammino personale di fede facendo riferimento alla tua esperienza e al tuo vissuto».

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Alla consegna dei temi, quando ho ripreso la traccia con i ragazzi, ho riflettuto sul fatto che il primo criterio di conoscenza che utilizziamo nella quotidianità, nel rapporto con le persone, nella conoscenza più in generale non è quello scientifico, ma quello basato sulla fiducia che noi attribuiamo ad un testimone credibile. Quando uno studente prende appunti e li studia, applica il principio di conoscenza per fede, cioè dà credito all’insegnante che parla. Allo stesso modo, quando parliamo con una persona, attribuiamo un attestato di credibilità o meno al nostro interlocutore. Dicevo ai ragazzi che la fede nel campo religioso nasce dall’incontro con testimoni credibili, come gli apostoli che hanno incontrato Gesù e a loro volta molti hanno incontrato gli apostoli, che hanno testimoniato quanto visto e vissuto, pronti addirittura alla morte.

Ho raccontato ai ragazzi la storia di Chiara Corbella, che testimonia come la resurrezione di Cristo opera già ora nel mondo e in tutti noi, qualora crediamo in Lui e ci lasciamo abbracciare dal suo amore.

Chiara Corbella ha intrapreso un cammino di fede insieme con il suo fidanzato Enrico che ha conosciuto a Medjugorie. Con semplicità, umiltà e amore, Chiara abbraccia la strada del matrimonio. Durante la prima gravidanza viene diagnosticata un’anencefalia alla figlia Maria. I due giovani sposi decidono di dare alla luce lo stesso la figlia, che nasce, viene battezzata e muore tra le braccia amorevoli dei genitori. Chiara dice: «Non è importante la durata. Non capisco, ma se deve essere così» affidandosi totalmente a Dio. Enrico scrive in ricordo di Maria: «La vita è meravigliosa. Per questo anche noi ti abbiamo cercato. È meraviglioso che tu adesso possa capire. Non importa quanto tempo passeremo insieme. A noi importa quello che sarai. Qui ogni cosa non serve veramente […]. Possiamo fare a meno di tutto. Il necessario è conoscere il Padre, è prepararsi a questo incontro e tu sei nata pronta. Ed io non so dirti quanto siamo orgogliosi di te. Fin a dove potevamo ti abbiamo accompagnato. Ora conoscerai il padre. Maria, grazia e letizia della nostra vita» (testo letto da Chiara Corbella nel corso della serata di Scienza e Vita – Nel mondo ma non del mondo – 19 ottobre 2009, Roma).

Anche durante la seconda gravidanza, al bimbo che Chiara porta nel grembo sono diagnosticate gravi malformazioni e non rimangono speranze di sopravvivenza. Ancora una volta, certi che «siamo nati e non moriremo mai più», Chiara e Enrico hanno voluto dare alla luce il figlio Davide, farlo battezzare e abbracciare mentre andava in Cielo.

Alla terza gravidanza, tutto procede bene per il figlio Francesco, ma la diagnosi infausta questa volta riguarda lei, la madre. Dopo un primo intervento chirurgico, per non danneggiare il figlio, rimanda chemio e radioterapia  solo in seguito alla nascita del figlio. Ma è ormai troppo tardi. Chiara ha ormai metastasi ovunque. Se cercate sul sito dedicato a Chiara Corbella trovate la sua storia, la sua testimonianza, quella del marito Enrico e del padre. Trovate una sua foto «che da sola demolisce Nietzsche e duecento anni di filosofie anticristiane. È un’immagine che dimostra senza alcun dubbio che Gesù di Nazareth è Dio, che è veramente risorto, è vivo qui fra noi. È […] un’istantanea molto semplice. Il volto di fanciulla di Chiara è in primo piano, con i cappelli raccolti sulla nuca che lasciano la fronte scoperta. Ha un sorriso radioso, tiene in mano il suo violino e porta una benda bianca sull’occhio destro. Di certo è un’immagine che colpisce per la bellezza di Chiara e il suo luminosissimo sorriso. Sembra un inno alla vita, alla gioia, alla giovinezza» (A. Socci, Lettera a mia figlia). Chiara porta la benda, perché sta perdendo l’occhio. La foto è stata scattata a Medjugorie, quando Chiara è cosciente di avere poche settimane da vivere. Ha ventotto anni. Ha un viso bello e folgorante della certezza che siamo nati per l’eternità. «Ama davvero chi ti dice: tu non morirai» diceva il filosofo Gabriel Marcel. Chiara col sorriso del suo volto ci ha testimoniato questa certezza.

Il padre di Chiara scriverà: «Ho imparato da mia figlia che non conta la durata della vita, ma come la viviamo. Ho imparato da lei in un anno più di quanto non avevo capito in tutta la mia esistenza e non posso sprecare questo insegnamento». E ancora dirà in un’intervista: «Ho sempre cercato di avere tutto sotto controllo. Chiara ci ha insegnato che rinunciare a controllare le cose è forse la forza maggiore, lei ha avuto la capacità di accettare le molte vicissitudini che avrebbero messo al tappeto chiunque, lei ne ha tratto un insegnamento positivo e lo ha dato a noi». Gli ultimi mesi della malattia di Chiara sono stati per tutta la famiglia un periodo splendido, dice il papà, perché «abbiamo vissuto insieme come mai, tutti combattendo per la salvezza di Chiara, sperando in un miracolo che è avvenuto in maniera diversa, non nella guarigione, ma nell’accettazione».

Grazie Chiara.

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