La preghiera del mattino

Se il Papa non si schiera contro Putin «fa peccato di omissione», dice l’ateo Flores d’Arcais

Vladimir Putin in udienza da papa Francesco
Vladimir Putin in udienza da papa Francesco, Roma, 4 luglio 2019 (foto Ansa)

Sulla Zuppa di Porro si scrive: «Immaginiamo i dilemmi nelle redazioni dei giornali che si arrovellano il cervello per capire come “leggere” l’intervista rilasciata oggi da papa Francesco al Corriere della Sera. Dilemma di non facile soluzione. Perché se uno estrapola alcune delle frasi di Bergoglio (che ha sempre goduto di ottima stampa in Italia) sulla guerra in Ucraina, si finisce col paragonarlo a un Alessandro Orsini qualsiasi (che invece è considerato alla stregua di un satanasso)».

Nelle parole del Papa ci sono la testimonianza religiosa per la pace e il tentativo di un’iniziativa più politica per risolvere una tragica crisi internazionale.

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Sul Sussidiario Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, dice: «Quello che è successo in Siria è la più grande catastrofe umanitaria dalla fine della Seconda Guerra mondiale. Dio non voglia si ripeta tutto allo stesso modo in Ucraina. Dopo il Covid, dopo l’Afghanistan, adesso l’Ucraina… Noi siamo stati dimenticati, ma ricordiamoci che da una bomba ci si può sempre nascondere, dalla bomba della povertà no. Il 90 per cento della popolazione siriana vive sotto la soglia della povertà. Vedo le immagini di Mariupol e mi ricordano quello che è successo qui, sento la sofferenza di questa povera gente».

Monsignor Zenari ricorda come l’intervento americano in Siria abbia creato più problemi di quanti ne abbia risolti e che logiche simili non andrebbero usate in Ucraina: anche questa riflessione per così dire “siriana” sarebbe presente nelle considerazioni di Francesco.

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Su Formiche Francesco Bechis intervista Pierluigi Battista: «Però qui c’è altro. Il Papa sembra far capire che Putin è stato un po’ provocato? “Non credo. O meglio, non voglio crederci. Voglio prendere il buono e pensare che sia un modo per preparare la visita da Putin. Dove il Papa deve presentarsi come figura terza, distante da lui e dai suoi nemici”».

Battista comprende la motivazione religiosa del Papa, ma ha qualche (legittima ma un po’ mascherata) riserva sulle analisi politiche di Francesco.

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Sulla Nuova Bussola quotidiana Nico Spuntoni scrive: «Interessante anche l’analisi azzardata da Francesco sulle cause che hanno portato allo scoppio della guerra, con il riferimento a “l’abbaiare della Nato alla porta della Russia” e la definizione “un’ira che non so dire se sia stata provocata, ma facilitata forse sì”. Insomma, chi pensava che l’elezione di Joe Biden potesse cambiare la prospettiva del Pontefice sugli equilibri del sistema delle relazioni internazionali, probabilmente sbagliava di grosso. È evidente che Bergoglio resta un convinto sostenitore della “diplomazia del multilaterale”, nient’affatto disponibile a fare il “chierichetto” (tanto per usare una sua citazione) di un Occidente in guerra».

Spuntoni ricorda l’elemento politico che si coglie nelle parole del Pontefice e che si affianca alla sua lezione morale.

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Su Huffington Post Italia Paolo Flores d’Arcais dice: «Non dare le armi a Kiev per difendersi è aiutare l’aggressore, è un ipocrita sostegno all’imperialismo putiniano. Si fa peccato per omissione in modo altrettanto grave che per colpa».

Flores d’Arcais passa dalla sua tradizionale denuncia del carattere reazionario della religione cristiana al dare lezioni di dottrina al Papa.

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Su Tpi si scrive: «La Ue farà tutto il possibile per evitare che la guerra in Ucraina si allarghi: lo ha affermato il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, in una intervista all’Afp nella capitale panamense, insistendo sulla necessità di maggiori sanzioni contro la Russia. “Stiamo aiutando l’Ucraina ma senza entrare in belligeranza”, ha aggiunto. “Ciò vorrebbe dire estendere la guerra e non è quel che vogliamo. E allo stesso tempo rafforziamo le nostre sanzioni”».

Nelle posizioni di Borrell si coglie come la giusta intenzione di contenere l’escalation nella guerra ucraina, senza tradire la sacrosanta resistenza di Kiev, non si riesca a tradurre in efficaci iniziative politiche.

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Su Fanpage Gabriella Mazzeo scrive: «Questa volta la conversazione è durata oltre due ore, ma per il momento l’Eliseo non è riuscito a portare a casa molto altro se non la promessa di un’apertura al dialogo. Durante la telefonata, infatti, Putin ha detto di essere “ancora aperto a un dialogo con Kiev” ma poco dopo ha definito l’Ucraina “non ancora pronta per un negoziato che possa porre fine al conflitto”».

Come il Papa, anche Emmanuel Macron cerca una via per frenare l’escalation della guerra in Ucraina, ma la via della trattativa richiederebbe qualche più precisa iniziativa politica che non si intravede ancora.

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Su Affaritaliani si pubblica l’intervento di Mario Draghi al Parlamento europeo, del quale riportiamo questa frase: «“L’Italia, come paese fondatore dell’Unione Europea, come paese che crede profondamente nella pace, è pronta a impegnarsi in prima linea per raggiungere una soluzione diplomatica”. “Le istituzioni europee che i nostri predecessori hanno costruito negli scorsi decenni hanno servito bene i cittadini europei, ma sono inadeguate per la realtà che ci si manifesta oggi davanti”. Lo ha detto il presidente del Consiglio Mario Draghi intervenendo alla plenaria del Parlamento europeo. “Abbiamo bisogno di un federalismo pragmatico, che abbracci tutti gli ambiti colpiti dalle trasformazioni in corso: dall’economia all’energia alla sicurezza. Se ciò richiede l’inizio di un percorso che porterà alla revisione dei Trattati, lo si abbracci con coraggio e con fiducia”, ha aggiunto».

Mentre sono chiare le intenzioni del presidente del Consiglio italiano, non sempre si coglie l’iniziativa politica che possa trasformare volontà di pace e obiettivi d’integrazione in scelte concrete.

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Su Dagospia si traduce dal Daily Mail: «La Commissione europea potrebbe esonerare l’Ungheria e la Slovacchia dall’embargo sull’acquisto di petrolio russo, impedendo loro di porre il veto sull’eventuale decisione della Ue di farne a meno».

Di fatto la politica europea si traduce concretamente più in scelte tattiche (talvolta anche rilevanti) che in impegni strategici.

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Su Startmag Giuseppe Gagliano scrive: «Se non c’è alcun dubbio che la Cina stia rafforzando la sua presa sui Balcani, ed in modo particolare sulla Serbia, è altrettanto indubbio il fatto che il prolungamento della guerra tra la Russia e l’Ucraina non farà altro che rafforzare la posizione della Cina proprio nei Balcani; una guerra che indebolirà la Russia costringendo molti paesi che fino a questo momento gravitavano intorno all’orbita russa a cambiare postura e quindi a gravitare intorno alla Cina. A dimostrazione del ruolo che la Serbia può svolgere è sufficiente sottolineare il fatto che la Cina ha inviato nuovi sistemi di difesa aerea per fare comprendere quanto importante sia la Serbia all’interno della Nuova Via della seta. Tuttavia, da un punto di vista politico non è possibile parlare di un’alleanza tra la Cina e la Serbia, ma semmai di un avvicinamento graduale costruito su una visione lucida e lungimirante delle ambizioni della Cina».

Una vera strategia europea richiederebbe maggiore capacità di discutere come maggiore chiarezza con l’alleato fondamentale dell’Unione, gli Stati Uniti, e, insieme, di trovare accordi di sicurezza con potenze non eliminabili come la Russia e la Cina. Senza una strategia di questo tipo, a momenti di importante convergenza, come gli attuali in difesa dell’Ucraina aggredita, ne seguiranno altri di maggiore divisione, come la “nota” sulla Serbia sopra riportata fa intravedere, e come il crescente disordine globale fa prevedere.

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