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La Cina comunista impone nuove regole ai tibetani: vietati gli sms e le «cerimonie religiose»

Le autorità comuniste cinesi hanno redatto una nuova lista di «13 attività» che i tibetani non potranno più svolgere con lo scopo di «rafforzare la protezione della stabilità sociale e mantenere la disciplina reprimendo più severamente le attività illegali in aree sensibili». Come se già non bastasse la rieducazione dei monaci, le pesanti restrizioni alla vita di tutti i giorni e l’educazione patriottica, ora Pechino vieta 13 attività alla provincia del Qinghai, che si trova nella Regione autonoma tibetana.

NIENTE PIÙ CERIMONIE RELIGIOSE. Il documento che elenca le nuove attività proibite è stato divulgato da Radio Free Asia e include: raccogliere fondi «per attività di welfare» come ad esempio proteggere la lingua e la cultura tibetana, partecipare a cerimonie religiose che «implichino» la rivendicazione dell’indipendenza tibetana, «intimidire i membri del governo cinese», incitare alle auto-immolazioni, ostruire il «salvataggio» di chi si dà fuoco da parte della polizia cinese, inviare immagini o informazioni sulle auto-immolazioni «alle forze separatiste straniere». Cioè ai gruppi tibetani in esilio. Inoltre sarà vietato «fotografare o filmare le auto-immolazioni e le riunioni di massa» e «divulgare informazioni segrete alle forze separatiste straniere».

BASTA SMS. L’ottobre scorso, la Cina aveva già vietato, questa volta nel Gansu, di «pianificare o istigare» proteste e auto-immolazioni e obbligato i residenti ad aiutare la polizia a prevenire le auto-immolazioni. Con la minaccia di «punire severamente i criminali che minacciano la stabilità con l’idea di dividere la nazione», la nota prometteva «gravi punizioni a chi incita attività illegali, a chi destabilizza la società promuovendo organizzazioni illegali». Il divieto era esteso a ogni forma di comunicazione che possa essere utilizzata per «intenti criminali», come ad esempio «parlare e distribuire informazioni scritte, vignette, materiale fatto in casa, video, siti internet, email, file audio» e anche «messaggi sms».

113 AUTO-IMMOLAZIONI. La Cina non sa come reagire e fermare le auto-immolazioni, che dal 2009 hanno già coinvolto 113 persone. Pechino accusa il Dalai Lama di incitare la gente a darsi fuoco, anche se il leader spirituale in esilio ha più volte chiesto al suo popolo di non protestare in questo modo. Come dichiarato a tempi.it da Nyima Dhondup, presidente della comunità tibetana in Italia, fuggito dal Tibet nel 1986, «l’oppressione infatti  è così pesante che i giovani tibetani scelgono di morire piuttosto che vivere sotto il regime cinese. Se poi una persona vuole sacrificare la vita per il suo popolo, per la sua gente, contro il regime, io credo che sia positivo. Io non posso giudicarli. Ripeto però che non uccidono nessuno, non compiono atti terroristici».

«È UN INFERNO». Le nuove misure rischiano di portare ancora di più il popolo tibetano alla disperazione. Le attività, infatti, vietano di fatto ogni forma di protesta e sono largamente interpretabili dalle autorità cinesi. «Gli ufficiali comunisti», oltre a impedire la sopravvivenza della cultura, delle tradizioni e della lingua tibetana, come affermato da Dhondup, «entrano nelle case senza preavviso e strappano le persone dall’affetto dei loro cari, li condannano anche solo per essere andati a un funerale, per avere parlato delle auto-immolazioni. Il governo cinese vieta anche la solidarietà, vieta di pregare per chi muore. Questo è gravissimo, qualsiasi diritto ci è tolto, tutto annullato, non c’è libertà religiosa, non possiamo pregare, è vietato studiare la lingua tibetana in Tibet, vogliono cancellarla. È un inferno».

@LeoneGrotti

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