La preghiera del mattino

Il naufragio di Crotone e le responsabilità dell’Unione Europea

Nel palazzetto dello sport di Crotone le bare con i corpi dei migranti morti nel naufragio di domenica 26 febbraio
Nel palazzetto dello sport di Crotone le bare con i corpi dei migranti morti nel naufragio di domenica 26 febbraio (foto Ansa)

Sul sito di Tgcom 24 si riportano queste parole di Sergio Mattarella: «Indispensabile che l’Unione Europea assuma finalmente in concreto la responsabilità di governare il fenomeno migratorio per sottrarlo ai trafficanti di esseri umani, impegnandosi direttamente nelle politiche migratorie».

Mentre piango come tutti le vittime del naufragio di una nave di profughi in Calabria, mentre apprezzo le parole di Matteo Piantedosi sulla necessità di un’inchiesta rigorosa sull’avvenimento. Mentre constato come al ministero dell’Interno, una carica ultrapolitica, sarebbe meglio avere un “politico” tranquillo e non propagandistico, un tipo alla Antonio Tajani o alla Giancarlo Giorgetti (nella Seconda Repubblica si ricordano ottimi esempi in questo senso: Beppe Pisanu, Roberto Maroni, Giorgio Napolitano, Rosa Russo Iervolino) piuttosto che un “tecnico” anche molto qualificato e onesto come Piantedosi. Mentre faccio queste considerazioni, non posso non – come molto bene fa il presidente della Repubblica al contrario di Paolo Gentiloni – ricordare le responsabilità dell’Unione Europea, anche solo partendo dalla considerazione che i naufraghi di Crotone provengono dalla Turchia e arrivano in Calabria perché la Grecia non permette loro di sbarcare sul suo territorio, e Atene si comporta così senza che coloro che tanto spesso strillano contro l’Italia per le sue scelte di contrasto all’immigrazione clandestina (da Bruxelles a Berlino e Parigi) facciano un plissé.

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Su Startmag Francesco Damato scrive: «Carlo De Benedetti, ospite a distanza ieri sera del salotto televisivo di Lilli Gruber, su La7, ha scommesso sul secondo tipo di petali della margherita di Conte, cioè sui guadagni a sinistra della Schlein superiori alle perdite a destra. E ha incoraggiato la segretaria del Pd a far piangere una buona volta i ricchi con una patrimoniale progressiva sui patrimoni superiori a 500 mila euro, quanto vale all’incirca per il ceto medio solo la casa di proprietà di chi l’abita».

De Benedetti rappresenta una figura tipica della grande borghesia italiana, una di quelle che per perseguire propri fini (nel caso innanzi tutto assecondare il rancore verso i figli che non gli hanno obbedito) scelgono percorsi anche ultraradicali (anche sovversivi, diceva Antonio Gramsci), pur di difendere la propria influenza personale. Così non avviene in Francia, in Spagna, in gran parte dei casi in Germania, nazioni dove opera una borghesia capace di assumere un ruolo generale. Anche da noi vi sono stati “borghesi” capaci fare scelte di responsabilità nazionale, nei tempi più recenti da Leopoldo Pirelli a Luigi Lucchini, da Vittorio Merloni ad Antonio D’Amato. Oggi, con la politica di desertificazione della grande industria realizzata innanzi tutto grazie alle privatizzazioni alla EltsinProdiMenem, personalità capaci di esprimere un ruolo responsabilmente nazionale sono più rare. Anche se “rari”, però, non sarebbe male se si impegnassero di più, almeno un po’.

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Su Formiche Vincenzo Visco dice: «Se vuole la mia opinione, io credo che a Berlino siano in stato confusionale. Voglio dire, i tedeschi continuano a comportarsi come nel passato, solo che il mondo non è più quello di prima. Vorrebbero l’energia a basso costo e una moneta svalutata, ma non hanno ancora capito che non siamo più a dieci o venti anni fa. E invece continuano a usare leve monetarie e fiscale come una clava, in modo indiscriminato. In questo senso il ministro delle Finanze tedesco (Christian Lindner, ndr) non lo capisco proprio. A volte ho la sensazione che la Germania voglia spaccare l’Europa».

Vecchia gloria del Pci (da “indipendente” di sinistra nei primi anni Ottanta, poi come membro di Pci, Pds, Ds, Pd), Visco fa affermazioni che, se le facesse con lo stesso tono e le stesse parole, un leghista sarebbe appeso al primo albero mediatico come sovranista.

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Sugli Stati generali Jacopo Tondelli scrive: «Le primarie, così, si sono progressivamente trasformate da “festa democratica” a triste assemblea di condominio in cui spesso chi partecipa sta continuando a regolare i conti con compagni di viaggio che disprezza. Poi c’è, naturalmente, chi conserva senso del dovere civico e della passione – per quanto una passione possa essere doverosa e restare passione – e cerca di non farsi sopraffare dal cinismo, dalla stanchezza, da analisi come quella che state leggendo. E si mette in coda per scegliere Bonaccini o Schlein, per ragioni che ritiene politiche o degne, almeno, del tempo da dedicare in una domenica di pioggia e dell’investimento non esorbitante di due euro. Ma quanti, in onestà, possono dire di farlo perché si riconoscono nell’idea di paese e di partito incarnati dall’uno o dall’altra? Quanto hanno capito cosa succederà se vincerà l’una o l’altro? Quanti, quante riescono ad andare oltre a “serve aria nuova” o a “ma lei ha dietro Franceschini e Orlando”? Quanti non sono animati da rancori fondamentali, come quelli che gli antirenziani radicali riservano a Bonaccini, che fu renzianissimo, e a quelli di chi ancora rinfaccia alla sua avversaria di aver lasciato il partito – cui non era iscritta fino a qualche mese fa, invero – invece di stare dentro a combattere? Quanti possono dire, insomma, che all’inizio del cammino che porta fuori di casa fino al posto più vicino in cui votare ci sono domande normali, risposte possibili, considerazione consapevole dei problemi normali che riguardano, nella loro straordinarietà storica o nella loro banalità contingente, la maggioranza della popolazione? Lo dico retoricamente, ma con rispetto per la volontà di chi oggi, ancora una volta, ha deciso di partecipare e di contribuire a determinare il prossimo futuro del Partito democratico e quindi della politica italiana. La mia personale convinzione è che un segretario o una segretaria diversi non cambieranno la storia di quell’area politica se non cambia radicalmente il rapporto tra il partito e la società. Se, per dirla tutta, quel partito non ricomincerà ad avere un rapporto con la società che vuole rappresentare, anzitutto definendola. Non è una questione da poco. Come sempre, tuttavia, le cose difficili non diventano più facili se non si comincia mai a farle e i deserti non si restringono se non si inizia a camminarli. Anzi, in epoca di siccità tendono ad allargarsi: e non basterà una domenica di pioggia a rovesciare il corso della storia».

Il senso di sconforto per la deriva del Pd di un intelligente giornalista di sinistra come Tondelli mi pare largamente giustificato.

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