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(Cine)Fumetto – Thor, nuove avventure nello spazio psichedelico

Di Amedeo Badini
13 Novembre 2017

Thor + Spazio = confusione psichedelica. Questa è la formula alla base del terzo capitolo di Thor, il più improbabile ma quello imprevedibilmente più compatto e riuscito, capace di thor_postermiscelare le suggestioni postmoderne dei Guardiani della Galassia con una mitologia norrena mai così fuori posto eppure più concreta e compiuta che mai. Del gruppo degli Avengers Thor è quello più improbabile, più restio a farsi coinvolgere nelle asperità e nei pericoli che i terrestri creano a ciclo continuo.  E anche i suoi film cercano di annullare quella distanza tra noi e lui, oppure di sfruttarla per generare l’effetti comico, abbandonato ormai il respiro aulico di Branagh. Ragnarok punta tutto su questo secondo aspetto, rinunciando a far integrare Thor che, spero sul pianeta Sakar, si trova in completa balia degli eventi e cerca di arrangiarsi come può.  La regia, e l’humour, di Taikiti fanno il resto, inanellando una trama che presenta fatti sempre più enormi con una certa leggerezza, e gestendo con capacità scontri, combattimenti ed impossibili inquadrature. I colori accesi e fantasmagorici, le musiche vintage, l’immaginario da arcade 8-bit in questi anni ’80 rampanti contribuiscono allo spaesamento di Thor, e paraddosalmente rinvigoriscono il fascino dei rituali di Asgard e delle epiche tradizioni del passato, rispetto ad un ambiguo ed imprevedibile presente. Proprio in questo contrasto, tra una radiosa e pulica Asgard  e un marcio e putrido pianeta Sakaar, troviamo una chiave di lettura del film, e che facilmente possiamo trasporre nella nostra vita reale, squassata dalle spinte contrapposte tra scelte consumistiche e pulsioni spirituali.
Se Thor vive del suo epos e, pur con ironia, cerca una strada in questo secolo caotico, sono senz’altro i coprotagonisti a puntellare il film, e a renderlo decisamente più ricco e variegato. Hulk in primis, il sempre divertito Mark Ruffalo, che ha ormai fatto suo il gigante verde e può gigioneggiare con stile. Loki di Tom Hiddleston è al solito stuzzicante, ma il migliore è il Granmaestro di Jeff Goldblum: istrionico, fluorescente, allucinato, sppra le righe, geniale. È attorno a lui che ruota il pianeta, e così il destino dei protagonisti. Piacevole la comparsata di Dottor Strange, davvero ben riuscita, mentre Hopkins nella parte di Odino sul viale del tramonto è più convincente del solito. È lui cui Thor fa sempre riferimento, ed è sempre lui la causa della minaccia del film: Hela. Cate Blanchett la interpreta con il suo solito fascino e, con poche mosse e nonostante la sua assoluta malvagità, conquista lo spettatore.
La Marvel di nuovo azzecca il film e, nonostante la più azzardata delle miscele, realizza una diciassettesima opera divertente e coerente all’interno del grande affresco del Marvel Cinematic Universe, confermando ancora una volta l’incredibile macchina, organizzativa ed economica, che sostiene tutta la struttura. Il finale che scombina le carte è piuttosto sorprendente, e se da un lato strizza l’occhio al dramma attuale dei migranti, dall’altro fa da ponte verso le battaglie ciclopiche di Infinity War e il devastante arrivo di Thanos. Proprio come una serie tv, i pezzi si incastrano uno dopo l’altro per arrivare all’episodio finale, in maniera precisa, inesorabile ma soprattutto appagante. Il meglio che si possa chiedere ad un film.

Thor Ragnarok, 2017, regia di Taika Waititi, con Chris Hemsworth, Mark Ruffalo, Jeff Goldblum, Cate Blanchett, Tom Hiddleston e Anthony Hopkins, Disney – Marvel, dal 25 ottobre nei cinema.

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