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Architettura – Un nuovo edificio firmato Renzo Piano per il Whitney Museum of American Art

Di Amedeo Badini
08 Luglio 2014

New York, si sa, è una città sempre in movimento, capace di volteggi e di piroette quando meno te l’aspetti. La sua offerta artistica è tra le prime al mondo e il Whitney Museum sta lì a dimostrarlo. Tempio dell’arte moderna e contemporanea americana, scrigno dei capolavori di Hopper, Calder e della Pop Art, nacque nel 1931 per volontà della scultrice Gertrude Vanderbilt Whitney, come laboratorio per scoprire nuovi talenti e fare il punto sullo stato dell’arte. Prima al Greenwich Village, trovò poi definitiva sistemazione in un severo e decostruito edificio di un esponente di spicco del Bauhaus, Marcel Breuer. Definitiva, almeno fino ad oggi, perché nel 2015 sarà inaugurata la nuova sede, nel quartiere di Meatpacking, ovvero da uptown a downtown.

Il motivo è che la vecchia sede era troppo piccola per permettere ai visitatori non solo la visita di tutta la collezione di 19 mila opere, ma anche la fruizione di quelle attività di didattica, di quegli spazi espositivi più malleabili, e dei nuovi luoghi di arte teatrale e visiva. Progetto vagheggiato fin dagli anni ’80, si concretizza lungo il fiume Hudson, per la precisione nel luogo da dove parte una delle più grandi novità urbanistiche che NYC ha prodotto: l’High Line, ovvero una ferrovia sopraelevata che permetteva il passaggio dei treni e che, chiuso nel 1980, rischiò la demolizione fino a quando un’associazione no-profit si mise di traverso, proponendo un’idea folle quanto originale, il primo parco sospeso dai tempi dei giardini pensili di Babilonia. Quasi 2 km di verde, con una nuova estensione già in fase di progetto.

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In questo contesto atterra la nuova struttura museale, progettata da Renzo Piano, una serie di parallelepipedi appoggiati uno sull’altro, a formare una scala che punta al cielo, appoggiata ad una  piazza trasparente che abbraccia il fiume e la strada, i passanti e il traffico, con uno spazio per pubblico di arte gratuita e di decompressione tra la strada e il museo. Questo largo sarà il luogo deputato all’incontro, dal quale poi partirà il viaggio nella collezione e nella didattica, su fino al nono piano. Al quinto piano ci sarà lo spazio per le mostre temporanee, privo di colonne, che con i suoi 1’670 m.q. sarà il più grande open space di New York. Il costo dell’operazione viaggia sui 673mln$.

Il resto del palazzo, affascinante per come dialoga con il quartiere e il paesaggio, lo affidiamo alla gallery. E dato che in America nulla si elimina, il Whitney ha appena stretto un accordo con il Metropolitan Museum per utilizzare la vecchia sede. L’accordo di otto anni, rinnovabili, permetterà allo storico museo di utilizzare il vicino palazzo del Bauhaus come sede di didattica, di mostre e di collaborazioni tra arte antica e moderna. Il Whitney nella sua storica sede chiuderà con la mostra più completa, ad oggi, dedicata a Jeff Koons, su cui proporremo un dossier Giovedì 10. Ed è ironico notare come, in questa virtuosa collaborazione tra musei, stili diversi, urbanistica, architettura e paesaggio, fu proprio negli anni ’30 che la scultrice Whitney, prima di fondare il suo museo, propose al MET di accogliere la sua collezione d’arte. Ieri rifiutarono, oggi accolgono a braccia aperte una collaborazione che non può che far bene alla cultura e alla sua diffusione.

@Badenji

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