
BlacKkKlansman, buon film con inutile finale anti-Trump

BlacKkKlansman di Spike Lee. Negli anni 60 un poliziotto afroamericano si infiltra nel Ku Klux Klan.
Ritorno in grande spolvero di Spike Lee a 10 anni almeno dall’ultimo suo film degno di nota, il bel Miracolo a Sant’Anna. Il suo è sempre stato un cinema dichiaratamente parziale, sin dai tempi di Fa’ la cosa giusta (1989) e proseguito attraverso film più o meno grandi (su tutti, La 25ª ora e il dolente documentario sull’uragano Katrina, When the Leeves Broke). Cinema contro il Sistema, contro il Potere Bianco, contro Bush, contro Trump. Così anche BlacKkKlansman non si sottrae al copione già scritto: gli anni 70, ottimamente ricostruiti, la polizia di Colorado Springs e i suoi pregiudizi nei confronti del primo poliziotto di colore (il bravo John David Washington) e poi la storia (assurda) nella Storia: il KKK infiltrato proprio da un poliziotto nero sostituito alla bisogna da un collega bianco e allampanato (il sempre più in gamba Adam Driver).
Tra tragedia e commedia
Ci sono tante cose buone in questo film che mescola dato storico con la commedia dell’assurdo e il dramma: la ricostruzione degli ambienti, gli omaggi continui al cinema di genere degli anni 70 e alla cosiddetta Blaxploitation, la caratterizzazione dei personaggi che rendono la storia sempre in bilico tra tragedia e commedia degli equivoci e le interpretazioni di grandi attori capaci di rendere verosimile una vicenda che pare nata dalla mente distorta di qualche sceneggiatore.
Peccato per l’adattamento italiano
Divertente e inquietante al tempo stesso, BlaKkKlansman è un film che perde buona parte della sua forza anche comica in un adattamento italiano che appiattisce sfumature e gag linguistiche. È un vero peccato. Come è un vero peccato la coda finale con immagini di Trump intervallate dagli scontri di Charlottesville. Non c’era bisogno di una chiusura così brusca e così polemica dopo un film pienamente e legittimamente politico che non risparmia nulla al mondo suprematista e razzista.
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