
Bipop, la lista dei cinquecento
Un’altra storia bresciana è quella della Bipop-Carire. L’avventura di Bipop iniziò alla fine del ‘98 con l’avvio delle trattative di fusione con la Cassa di Risparmio di Reggio Emilia (Carire). Il matrimonio tra i due istituti viene sancito l’estate successiva con la nascita del gruppo Bipop-Carire. Il maggior azionista è la fondazione Monadori (con il 12,8%), ex socio di riferimento della Cassa di Reggio, ma è subito evidente che nella nuova compagine a contare sono i bresciani: nel consiglio di amministrazione otterranno, infatti, 11 seggi su 19. Sono espressione della vecchia Bipop anche il presidente e l’amministratore delegato, ovvero Giacomo Franceschetti e Bruno Sonzogni. È una gestione abbastanza accentratrice quella che ispira i bresciani: poche regole, tanto lavoro e metodi spicci. Il nuovo titolo Bipop-Carire esordisce a Piazza Affari a 43 euro e triplica di valore in soli sette mesi. Per migliaia di cassettisti emiliani, titolari di azioni Carire, sarà una vera e propria manna: le plusvalenze supereranno il 2000%. Nel solo anno 2000 la Bipop concederà quasi 400 miliardi di prestiti e garanzie ai propri amministratori e sindaci e altri 1500 miliardi a società a loro riconducibili. Venerdì 17 marzo 2000: il titolo Bipop-Carire sfiora in Borsa la quotazione record di 128 euro. Di lì a poco le azioni della banca saranno scisse nel rapporto di una a dieci, così che quel prezzo corrisponde in realtà a 12,8 euro. Venerdì 12 ottobre 2001: il titolo Bipop viene sospeso all’inizio delle contrattazioni in attesa di un importante comunicato. Alle 14 una nota del gruppo confermae alcune indiscrezioni: “un certo numero di clienti” ha beneficiato di gestioni patrimoniali a rendimento garantito. Conti con il paracadute: se la Borsa va male è la banca a rimetterci. E infatti Bipop dovrà accantonare 250 miliardi per le perdite nel trimestre appena chiuso. Contemporaneamente l’Adusbef denuncia «gli anomali comportamenti assunti dai vertici di Bipop-Carire nella gestione del credito e del risparmio, che potrebbero aver costituito turbativa di mercato». L’ipotesi è quella del reato di aggiotaggio. La situazione precipita: quando alle 15 e 45 ripartono le contrattazioni il titolo Bipop viene massacrato da massicci ordini di vendita. Le quotazioni perderanno in meno di sessanta minuti il 16% fino a toccare il minimo storico di 1,825 euro. La tragedia di Bipop bruciò in meno di 18 mesi 33mila miliardi di lire. Sciagura sì, ma non per tutti. Bipop era una specie di doppia banca con liste di clienti privilegiati, ad esempio, che rientrano nella contabilità occulta di entrambe le banche parallele. Da una parte i 263 vip, esponenti della Brescia bene, industriali e benestanti cui Bipop offre una gestione patrimoniale con interessi garantiti, rimettendoci alla fine 250 miliardi di vecchie lire. Dall’altra la famosa “lista dei 500”, onorevoli, finanzieri, alti prelati che si affidarono alla controllata svizzera della Banca privata, la Finabank, per esportare clandestinamente capitali all’estero: questi, colmo dell’ironia, saranno rimborsati prima del crack. I soliti fortunati.
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