
Biden e Xi. Confronto-scontro a Bali

Definito il “primo vertice delle superpotenze della seconda guerra fredda”, l’incontro tra i presidenti di Stati Uniti e Cina, Joe Biden e Xi Jinping, che si terrà oggi a margine del G20 di Bali, in Indonesia, sta caricando di aspettative la comunità internazionale che dopo l’inizio della guerra in Ucraina si è trovata con una nuova cortina di ferro e il rischio di un conflitto nucleare. Tra i possibili temi al centro del colloquio vi sono Taiwan, la guerra in Ucraina, le tensioni nel Pacifico, la crisi economica, l’ambiente. Temi che vedono Usa e Cina su fronti nettamente opposti. A definire il clima è stato lo stesso Biden che giunge in Indonesia dopo la tappa in Cambogia vista come un tentativo di accerchiare l’avversario cinese. Lo scorso 9 novembre ha affermato che con Xi discuterà «quali saranno le nostre linee rosse» per determinare se gli interessi di Stati Uniti e Cina «confliggono l’uno con l’altro e, in caso affermativo, in che modo lavorare per risolvere il problema».
Una forte diffidenza
Biden e Xi hanno una storia di lunga conoscenza. Era l’agosto 2011 quando Biden, allora vicepresidente incontrava la sua controparte cinese. Erano gli anni della presidenza di Barack Obama e della politica di rilancio delle relazioni e di apertura di Washington verso Pechino. Lo stesso resoconto sulla visita di Biden diramato al tempo della Casa Bianca parla di un’altra epoca: «Il vicepresidente Joe Biden parla degli incontri con il suo omologo, il vicepresidente cinese Xi, incentrati su come possiamo far crescere la nostra economia e creare posti di lavoro».
Ora, tra le due potenze vi è una forte diffidenza che scade nel potenziale conflitto. L’incontro di Bali giunge dopo che il Pentagono ha affermato che la Cina rappresenta la «sfida più completa e seria per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti» I due leader si ritroveranno l’uno di fronte all’altro nel ruolo di capi di Stato con percorsi decisamente differenti e con un ritorno della retorica ideologica tipica dei momenti di “crisi”. Gli Stati Uniti e l’amministrazione Biden per mascherare la frammentazione e la crisi di identità di un’intera classe politica puntano sull’ecologismo e sul confronto democrazia autoritarismo. La Cina è ormai incentrata sulla personalità di Xi, divenuto più potente e autocratico dello stesso fondatore Mao Zedong, e con un ritorno dell’ideologia alla guida delle politiche come affermato in una recente analisi su Foreign Affairs da Kevin Rudd, presidente dell’Asia Society ed ex primo ministro dell’Australia.
I problemi di Biden
Il 79enne Biden con il sostegno bellico a Kiev ha invertito la politica isolazionista impostata da Donald Trump e ha rilanciato l’ipotesi di una candidatura alle presidenziali del 2024 evitando la disfatta alle elezioni di medio termine dello scorso 8 novembre. Tuttavia, l’indice di gradimento dell’inquilino della Casa Bianca, anche se in leggera risalita, resta intorno al 40 per cento. Inoltre, pesano sul presidente Usa l’età e il suo stato di salute, tanto da essere considerato non solo dai suoi avversari, ma anche dai membri del suo stesso partito, troppo anziano e forse inadatto a ricandidarsi per un secondo mandato.
Il paese che rappresenta resta alle prese con una situazione interna complessa, caratterizzata da forti divisioni sul piano sociale e ideologico, e da una crisi economica che nel 2023 potrebbe far scendere ulteriormente il gradimento del presidente.
Le spine di Xi
Xi, 69 anni, si presenta all’appuntamento con Biden nelle vesti di vero autocrate della Cina. La sua rielezione per un terzo mandato come segretario generale del Partito comunista cinese il 23 ottobre – che ha rotto la tradizione del limite dei due mandati – è stata preceduta da una campagna di purghe contro i suoi avversari e con il mondo intero che il 21 ottobre ha assistito in diretta l’allontanamento dell’ex presidente Hu Jintao dal palco d’onore in cui era seduto al fianco di Xi nell’ultima giornata del Congresso del partito comunista cinese.
La vera spina nel fianco per la Cina e soprattutto per il suo leader è la frenata dell’economia della “fabbrica del mondo” che secondo stime del Fondo monetario internazionale (Fmi) rallenterà nel 2022 al 3,2 per cento dall’8,1 per cento del 2021 il secondo livello più basso dal 1977. Come sottolineato dal Financial Times poche settimane prima del Congresso del Pcc, il rallentamento è dovuto alla politica di centralizzazione incessante voluta da Xi che sta intaccando il dinamismo che ha portato la Cina al rango di prima potenza mondiale.
Putin, il convitato di pietra
Il convitato di pietra al tanto atteso vertice bilaterale è ovviamente il presidente russo, Vladimir Putin, visto come colui che ha aperto il vaso di Pandora su uno scontro tra due mondi, oriente e occidente, democrazie e autocrazie.
In questi mesi, sulla scia della guerra in Ucraina e dell’impegno statunitense a favore di Kiev, lo scontro tra Stati Uniti e Cina su Taiwan ha raggiunto livelli mai visti prima. Pechino ha reagito con manovre militari su larga scala alla visita della presidente della Camera dei rappresentanti, Nancy Pelosi, a Taipei dell’agosto scorso, e Xi ha aperto del XX Partito comunista cinese affermando che la Cina non mai promesso di rinunciare all’uso della forza per la “riunificazione”. Di contro Biden ha affermato ben quattro volte quest’anno che Washington sarà militarmente al fianco di Taiwan in caso di un attacco cinese.
Lo spettro della recessione
In questi nove mesi di guerra Pechino ha preso appunti sulla capacità e soprattutto sulla volontà di Washington e alleati di impegnarsi nel conflitto in Ucraina, dopo il famoso avvertimento lanciato ai taiwanesi sull’affabilità degli Usa dopo il disastroso ritiro dall’Afghanistan. Le sanzioni economiche contro Mosca, che hanno fatto malissimo all’Europa e anche agli stessi americani, ma soprattutto il rifornimento delle forze di Kiev con armi sofisticate come i sistemi missilistici Himars, hanno mostrato che, anche senza “boots on the ground” (o forse proprio grazie a questo), gli Usa sono in grado di sostenere i propri alleati.
L’incontro tra Biden e Xi avverrà, infatti, a pochi giorni dal ritiro dei militari russi dalla città ucraina di Kherson annunciato lo scorso 11 novembre, importante sconfitta per Putin, avvenuta proprio grazie agli Himars. Come osservato da molto analisti la cautela è d’obbligo e Kherson potrebbe fare la fine di Mariupol, continuamente bersagliata da missili e da postazioni di artiglieria posizionate sulla riva orientale del fiume Dnipro. Tuttavia, l’indebolimento, anche momentaneo di Putin, potrebbe aprire la strada a un tentativo di ridurre le tensioni tra Stati Uniti e Cina anche per scongiurare ulteriori focolai di crisi che potrebbero riportare il mondo nel 2023 nuovamente verso una recessione.
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