Biden collabora con Putin e mette all’angolo Erdogan, grande sconfitto

Di Marta Ottaviani
17 Giugno 2021
Gli Stati Uniti tornano a fare politica internazionale e cercano la distensione con la Russia. Confermata invece la sfiducia verso la Turchia, che si è allargata troppo
Joe Biden incontra Vladimir Putin per colloqui bilaterali

Alla fine, è stata una settimana dalla quale sono usciti tutti contenti tranne Pechino. Peccato che qualcuno abbia più motivi per essere soddisfatto di altri. Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, chiude il suo primo importante tour diplomatico internazionale a punteggio pieno. Gli omologhi russo e turco, Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan, sono costretti a fare buon viso e cattivo gioco, seppure per motivi diversi.

La Turchia è la grande sconfitta

Quel che è certo, è che adesso a Washington c’è un presidente che è tornato a fare il presidente degli Stati Uniti, proiezione internazionale inclusa. Chi credeva che il processo di disimpegno, portato avanti da Obama e Trump, fosse irreversibile, è stato costretto a ricredersi.

La Turchia di Erdogan esce da questa settimana come la grande sconfitta. Il presidente turco è arrivato a Bruxelles in occasione del vertice Nato in una evidente situazione di difficoltà. È stato l’unico alleato importante di Washington a non avere avuto accesso al presidente per mesi, ancora prima che Biden venisse eletto alla Casa Bianca. Non sono serviti gesti di buona volontà che sicuramente gli sono costati parecchio, come rimuovere dal ministero delle Finanze Beral Albayrak, suo genero e uomo di fiducia, perché aveva un rapporto personale stretto con la famiglia Trump.

Erdogan vuole ricucire con Biden

Il nuovo inquilino della Casa Bianca ha dimostrato, per alcuni in modo sorprendente, di essere un vero duro e più di lui lo ha fatto Tony Blinken, il segretario di Stato, che in pochi mesi si è trasformato in un vero proprio incubo per la cancelleria turca e non solo. Ankara sta pagando con gli interessi tutti gli strappi che si è concessa sia durante la presidenza Obama, che non ha fatto nulla per arginare le evidenti ambizioni della Mezzaluna in politica estera e i rischi a queste correlate, sia durante l’amministrazione Trump. Una Turchia di cui gli Stati Uniti evidentemente non si fidano e che vogliono vedere ridimensionata nelle sue ambizioni e soprattutto nei suoi strappi, come l’acquisto di sistemi missilistici dalla Russia, quando rappresenta ancora il secondo esercito (numerico) della Nato.

Erdogan ha messo sul piatto tutto quello che poteva: dal controllo congiunto Turchia-Usa sull’impiego degli S-400, alla garanzia di una gestione trasparente dell’aeroporto di Kabul, adesso che gli americani se ne sono andati. In cambio, la Turchia chiede la riammissione al programma F-35, ossia partecipare alla costruzione di caccia da guerra di ultima generazione, con tutti i contratti di cui potrebbero usufruire le aziende turche coinvolte e che adesso vedono congelati perché Ankara è stata sospesa dal programma dall’amministrazione Trump.

L’America collabora con Putin

Tutte proposte legittime e strategiche, se dall’altra parte ci fosse un partner di cui ci si fida. Ma è evidente che è proprio la fiducia che è venuta a mancare e, se Ankara ha deciso di andare per la sua strada, verrà costantemente considerata come un partner da monitorare, dove il rapporto di forze, però, è tutto a favore di Washington. Il presidente turco, però, porta a casa una apparente normalizzazione, la speranza che gli investimenti americani tornino nel Paese e facciano riprendere l’economia e la possibilità di vendere i droni turchi “di famiglia” ad altri paesi dell’Unione Europea dopo la Polonia. Tutti aspetti che lo possono solo aiutare in vista della rielezione a presidente della Repubblica, prevista nel 2023.

Ma il risultato più importante, il presidente americano lo ha raggiunto ieri. Biden è riuscito nella non facile impresa di trasformare Putin in un leader collaborativo, farlo arrivare in anticipo all’incontro e alle conferenze e accettare domande libere dai giornalisti. Un cambiamento a 180 gradi per il presidente russo, che ai più esperti e abituati ai suoi punti stampa, è apparso ai limiti del riconoscibile, anche per l’aplomb e la cortesia con i quali ha risposto alle domande più spinose.

Biden vuole staccare Russia e Cina

Se proprio dobbiamo dirla tutta, rapporti più sereni con gli Stati Uniti allo zar fanno solo molto comodo. Putin con l’invito di Biden a Ginevra ha ottenuto un riconoscimento internazionale che colloca la Russia ancora come grande potenza, anche se, a tutti gli effetti, non lo è più. E questo è un riconoscimento di cui Mosca ha un bisogno quasi psicologico, mentre il suo presidente, in calo nei consensi e con le elezioni per il rinnovo della Duma a settembre, ha un bisogno decisamente più pratico.

Soprattutto, Biden sa di avere dato a Putin la possibilità di mantenere la giusta distanza dalla Cina, il vero nemico numero uno per il presidente Usa. Alla fine, l’incontro di ieri si è risolto con un win-win, giocato molto bene anche dal punto di vista della comunicazione e del protocollo. Toni distesi, incontri concentrati e ridotti temporalmente al minimo indispensabile, quando le previsioni della vigilia indicavano esattamente l’opposto, e un clima di collaborazione come non si vedeva da tempo. Alla fine, tutti a casa contenti. Gli Stati Uniti tornano a fare gli Stati Uniti. La Russia fa finta di fare ancora l’Urss e Pechino sa che non si può fidare di nessuno.

Da qui a parlare di nuovo ordine mondiale ce ne corre, ovviamente. Biden sa benissimo di non avere un solo competitor davanti, ma un competitor vero (la Cina) e altri aspiranti tali (Russia, Iran e, nei suoi sogni, la Turchia). Dovrà muoversi su un terreno minato, con equilibri che cambieranno di mese in mese e la consapevolezza che Pechino userà tutti i mezzi leciti e illeciti per contrastarlo. Intanto, però, America is back. E in un mondo che rischiava di andare a senso unico, è una gran bella notizia.

@martaottaviani

Foto Ansa

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