Bertolaso apre la strada al suicidio assistito in Lombardia, «non serve una legge»

Di Caterina Giojelli
18 Febbraio 2025
L’assessore al Welfare conferma: il Ssn ha fornito il farmaco letale a Serena, «la magistratura era d’accordo». Ma la Consulta non riconosce un diritto a morire e alla prestazione
Guido Bertolaso, assessore al Welfare di Regione Lombardia (foto Ansa)
Guido Bertolaso, assessore al Welfare di Regione Lombardia (foto Ansa)

Per la prima volta in Lombardia una paziente ha avuto accesso al suicidio medicalmente assistito con un farmaco letale fornito dal Servizio sanitario nazionale. Come è possibile dal momento in cui il Ssn non ha competenza riguardo all’identificazione e la prescrizione del farmaco?

«Abbiamo dimostrato che anche senza una decisione di giunta e una legge regionale, il rispetto del dettame costituzionale può essere eseguito. Ne ho parlato anche con la magistratura ordinaria di Milano che ha pienamente approvato il percorso adottato», è stata la spiegazione dell’assessore al Welfare Guido Bertolaso.

Il caso di “Serena”, primo suicidio assistito in Lombardia

A nome di chi parla Bertolaso, quando la stessa direzione Welfare all’esame delle commissioni Affari istituzionali e Sanità della Lombardia dello scorso 23 settembre sul fine vita ha dichiarato di non avere le competenze per spingersi oltre in mancanza di un quadro normativo? E dopo che il Consiglio regionale aveva votato la non competenza della Regione sull’argomento sulla base di solide testimonianze di giuristi e costituzionalisti? «Certe situazioni che ho trovato di fronte nella mia vita mi hanno portare a prendere decisioni che in alcuni casi non sono quelle che la politica si aspetta», ha ribadito l’assessore.

Il caso è quello drammatico di “Serena” (nome di fantasia), 50enne malata di sclerosi multipla da oltre 30 anni, che assistita dall’Associazione Luca Coscioni ha avuto accesso all’iter previsto dalla sentenza 242 della Consulta fino alla fornitura (e all’autosomministrazione) del farmaco. La ricostruzione del Corriere della Sera è precisa: i responsabili di Ats e Asst visitano la donna a domicilio, inviano la documentazione a un comitato etico, viene confermata la presenza dei quattro requisiti fissati dai giudici. A questo punto l’Asst Fatebenefratelli Sacco di Milano conferma la fornitura del farmaco che insieme alla strumentazione necessaria viene ritirato dal dottor Mario Riccio (lo stesso anestesista, consigliere generale dell’Associazione Luca Coscioni, che aveva assistito Welby nel 2006). È Riccio ad assistere la donna che il mese scorso si è autosomministrata il farmaco in casa.

Forte (Fdi) a Bertolaso: «Il Ssn non ha competenza nell’identificazione e la prescrizione del farmaco»

Non era mai successo: «Quel che riporta il Corriere della Sera è molto grave», ha dichiarato subito il consigliere regionale lombardo di Fratelli d’Italia Matteo Forte annunciando un’interrogazione scritta a Bertolaso, «perché contraddice quanto la stessa direzione del Welfare ha dichiarato in un’audizione del 23 settembre scorso, quando con la presidente Baffi presiedevo i lavori per la discussione sul progetto di legge proposto dall’Associazione Luca Coscioni».

In quell’occasione, ricorda Forte, «era emersa una cosa molto chiara: il Servizio sanitario può arrivare al momento della valutazione delle condizioni previste dalla Corte costituzionale per non procedere penalmente contro chi eventualmente aiuta materialmente il malato a porre fine alla propria vita. In ogni caso, per tutto quel che riguarda l’identificazione e la prescrizione del farmaco, ad oggi non esiste alcuna competenza del Servizio sanitario. Le parole precise, riportate sul verbale di quella audizione sono: “Noi arriviamo fino al momento della valutazione”».

La dg Welfare in audizione: «Noi arriviamo solo alla valutazione»

Tempi aveva raccontato qui come la direzione Welfare avesse ottemperato al “diritto sancito dalla sentenza” fino alla fase della valutazione delle dieci richieste pervenute alle aziende sanitarie territoriali (dieci in un anno e mezzo su 27 Asst): due casi di Sla, tre di sclerosi multipla, un caso di sindrome dolorosa cronica, una patologia irreversibile (un tumore), un parkinsonismo atipico, una fibrosi polmonare idiopatica, un caso di cui non è stata riportata la casistica. Otto donne su dieci. Cinque casi tra i 50 e i 59 anni, due casi tra i 60 e i 69, un caso tra 70 e i 79, due casi tra 80 e 89 anni.

Solo in tre casi su dieci le quattro condizioni sancite dalla sentenza della Consulta erano state riscontrate positivamente. In due casi la valutazione aveva dato esito negativo. Negli altri casi la commissione aveva verificato la volontà del richiedente di adottare altri percorsi, in particolare le cure palliative. In un caso il paziente non era più reperibile. In ogni caso, in mancanza di una norma nazionale che riconosca il suicidio quale prestazione dovuta dallo Stato, “noi arriviamo fino al momento della valutazione”.

Né la Corte né il Parlamento hanno riconosciuto un diritto al suicidio assistito

«Né la Corte costituzionale né il Parlamento hanno infatti riconosciuto un diritto a morire che comporti la possibilità di accedere al suicidio medicalmente assistito con farmaco letale fornito dal Servizio sanitario», aveva ribadito Forte, auspicando che Bertolaso avesse «modo di smentire quanto riportato dal Corriere».

Non è andata così. A Tgcom l’assessore ha confermato la procedura dichiarando di aver «semplicemente seguito il dettame della Corte costituzionale, una sentenza della Consulta significa che diventa un diritto costituzionalmente acquisito», e aggiungendo: «Il dibattito politico è una questione che non riguarda la componente tecnica e il significato della sentenza della Corte che ha affermato che, nel caso in cui corrispondano i quattro requisiti previsti dalla sentenza, si deve dare seguito al fine vita richiesto».

Bertolaso scavalca legislatore e giunta. Con la benedizione dei magistrati

Un’interpretazione della sentenza già smentita dai costituzionalisti in audizione in Lombardia in assenza di un quadro normativo nazionale a cui l’assessore ha deciso di dare una cornice scavalcando Parlamento, giunta e legge regionale: «Sento parlare Luca Zaia di regolamenti e direttive, noi abbiamo creato un comitato tecnico, presieduto da Giovanni Canzio, presidente emerito del tribunale di Milano, dove vi erano alcuni scienziati di fama internazionale tra i quali Mantovani e Zangrillo, che hanno indicato quelle che sono le sequenze operative tecniche per adempiere al dettame della Corte».

Il comitato etico ospedaliero «ha dato le indicazioni e ha seguito personalmente la persona che ha richiesto il fine vita. Tutto questo si è svolto in assoluta coerenza con la Costituzione. Da un punto di vista scientifico e giuridico credo che si sia trattato di un tragitto indiscutibile e rappresenterà un punto di riferimento se si dovessero ripetere casi del genere». Per concludere con «la magistratura ordinaria di Milano che ha pienamente approvato il percorso adottato».

Dopo la Toscana l’Associazione Coscioni ci riprova in Lombardia

Un ennesimo assist all’Associazione Coscioni che dopo aver trovato il via libera della maggioranza di sinistra in Toscana, nuova “Svizzera” d’Italia, oggi si presenterà al Tar contro la questione pregiudiziale di costituzionalità sul fine vita sollevata da Matteo Forte e approvata col voto compatto del centrodestra in Lombardia alla fine di novembre: «Se fosse stata in vigore la nostra legge di iniziativa popolare “Liberi subito”, Serena avrebbe potuto seguire una procedura chiara e definita invece di dover affrontare, insieme al personale sanitario, una corsa a ostacoli iniziata nel maggio 2024. Chiediamo al presidente Attilio Fontana di tornare sulla materia, riesaminando il contenuto della nostra legge e emanare un atto di giunta, come preannunciato dal presidente Zaia in Veneto».

Un atto, come ribadito più volte da giuristi e Avvocatura di Stato, che non è dovuto. In Toscana il centrodestra ha presentato ricorso al collegio di garanzia statutaria per la verifica di conformità, rispetto allo statuto della Regione, della legge sul suicidio medicalmente assistito. Legge che potrebbe essere impugnata dal governo: «Non può esserci una competenza regionale, deve esserci una competenza nazionale», ribadisce il vicepremier Antonio Tajani. Al contrario Matteo Salvini su Facebook chiede il parere dei giudici da tastiera: «Sarebbe giusto, secondo te, che il Parlamento approvasse una legge sul “fine-vita”, per stabilire criteri, modi e tempi per permettere ai malati terminali di decidere, in piena coscienza, di porre fine alla propria esistenza?».

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.